MEDIA: dopo la censura arriva in Cina l’informazione ‘addomesticata a pagamento’

di Flavio Fabbri |

VINTI

L’informazione in Cina soffre di due problemi principali, secondo il New York Times: la censura e il business dell’informazione a pagamento. Vuoi apparire su una pagina di un giornale, cartaceo e online? Vuoi che si parli di te in televisione o su un sito web? Non c’è problema, per ogni piattaforma c’è una tabella con prezzi e condizioni. Un mercato che, pur se sempre praticato in taluni ambienti, sta ora dilagando a macchia d’olio per il Paese, mettendo in allarme le associazioni per i diritti civili e quel poco di informazione libera che esiste.

 

Che ne sarà della libera informazione e del diritto del cittadino ad essere informato correttamene e nel nome della verità? La censura in Cina è già piuttosto efficace e ramificata all’interno dei palinsesti televisivi e delle redazioni giornalistiche, l’idea ora di media al soldo di multinazionali e feudatari del terzo millennio non è certamente molto incoraggiante per un Paese che conta 1,3 miliardi di cittadini e che deve affrontare delle sfide epocali nei prossimi anni, tra cui un processo di democratizzazione delle masse non privo di incognite.

 

Un sistema di ‘news for sale‘, che addomestica l’informazione vendendo pagine per profili di amministratori delegati a 20 mila dollari, per la versione cinese dell’Esquire, o 4 mila dollari al minuto per far apparire top manager sulla televisione di Stato. Ovviamente anche in Cina le leggi vietano questo tipo di propaganda attraverso i media, ma con i soldi, tanti soldi, si può fare molto anche in un Paese a regime Comunista.