FOXCONN: dopo la minaccia di controlli aumento dei salari in Cina

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VINTI

Spesso si afferma che contro i grandi interessi economici non c’è molto da fare e che petizioni, denunce e pressioni politiche poco possono incidere sullo stato delle cose, soprattutto quando si parla di globalizzazione. Eppure, dopo le mobilitazioni dei consumatori Apple in tutto il mondo, le denunce formali presentate all’azienda da parte di grandi associazioni per i diritti civili come Change.org e SumOfUs.org, qualcosa sembra si stia muovendo.

 

Giungono infatti dalla Cina notizie molto incoraggianti in relazione alle condizioni salariali e di lavoro delle migliaia di impiegati nelle fabbriche di componenti per iPhone e iPad sotto proprietà della Foxconn. Negli impianti di Shenzen la mensilità degli operai sarà aumentata e passerà dagli attuali 1800 yuan (circa 290 dollari) ai 2.200 yuan. Tre anni fa la paga mensile di un operaio Foxconn era di soli 900 yuan (poco meno di 150 dollari al mese, 5 dollari al giorno scarsi).

 

Un risultato importante, in considerazione delle pessime condizioni lavorative ed abitative in cui si trovano i dipendenti della grande azienda cinese. Qualche giorno fa la Apple stessa, che ha in Foxconn il suo più grande fornitore, ha dovuto rendere conto all’opinione pubblica americana di quanto stava accadendo in Cina, in termini di rispetto dei diritti individuali e del lavoratore, annunciando di aver richiesto l’intervento della Fair Labor Association, un revisore indipendente che si occupa di garantire che siano rispettati i diritti dei lavoratori.

 

I rappresentanti dell’associazione hanno avuto mandato di effettuare un’indagine presso i fornitori addetti all’assemblaggio finale, come appunto la Foxconn a Shenzhen e Chengdu. Le prime ispezioni sono iniziate lunedì scorso, proprio presso gli impianti di Shenzhen. Una coincidenza, che proprio dopo tali ispezioni la Foxconn abbia deciso di aumentare i salari mensili dei propri dipendenti? Probabilmente no.

 

L’azienda si difende affermando che le condizioni di vita e di lavoro nelle sue fabbriche sono tra le migliori in Cina e in quasi tutto il Sud Est asiatico. Gli stipendi anche, secondo i portavoce Foxconn, sono tra i più alti del Paese. Sicuramente si tratta di processi demografici e giuridici che in ogni Paese, Italia compresa, hanno avuto un loro percorso storico ed in generale legato a preesistenti condizioni sociali e culturali. La Cina non è diversa ed andare a lavorare per la Foxconn significa per molti giovani e meno giovani cinesi delle campagne riuscire ad emanciparsi da situazioni di depressione economica accentuata e da una cultura tipicamente contadina.

 

La globalizzazione delle merci necessità ora di una globalizzazione dei diritti, però, se non vogliamo che intere fasce di popolazione mondiale, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo e quelli emergenti, cadano in una condizione di semischiavitù. Le aziende occidentali devono farsi carico di tale emergenza, perché sono le prime a trarne benefici.

 

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