Alwaleed bin Talal

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Il principe saudita Alwaleed bin Talal bin Abdul Aziz Alsaud è il più celebre finanziere mediorientale mai esistito.
La sua fortuna è legata al petrolio, ma non ha mai disdegnato di frequentare il mondo del capitalismo, né di investire nelle società simbolo della global economy americana.
Gli affari del mondo arabo sono ancora strettamente intrecciati con la grande finanza internazionale e il loro peso è capace di influenzare i mercati internazionali e di segnare l’andamento delle Borse mondiali.

Il principe è alto circa un metro e settanta, ha 45 anni, pesa 63 chili ed ha in leggero tick per il quale muove di scatto la testa. Chi lo conosce bene sostiene che ha la tendenza a esagerare e ha un ego piuttosto grande.
Forse è comprensibile, non capita a tutti che ogni settimana una ventina di beduini si mettano in fila per baciargli la spalla (segno di rispetto per i membri della famiglia reale), leggere poesie adulanti e chiedere denaro.
Il principe Alwaleed è il nipote del re Abdul Aziz al Saud, che ha creato l’Arabia Saudita moderna unificando il regno nel 1932.
Il padre del principe, il principe Talal, fratello dell’attuale re Fahd, era una specie di pecora nera nella famiglia reale saudita, sposò la figlia del primo ministro libanese e scappò in Egitto per un periodo.

Come ogni membro della famiglia reale saudita, il principe Alwaleed ha cominciato la vita con un rosario d’argento in mano.
Si è laureato al Menlo College, a San Francisco, al tempo una delle scuole preferite dai ricchi sauditi, e ha conseguito un master in scienze politiche dalla Syracuse University.
Il principe dice di aver fatto il suo primo milione di dollari speculando in patrimoni immobiliari a Riyadh e con la compravendita di azioni, dimostrando una grande abilità per gli affari, visto che all’inizio del 1991 era ricco abbastanza da comprare al volo oltre 790 milioni di dollari di azioni della Citicorp, quando la banca si trovava sull’orlo della rovina, all’inizio degli anni ’90.

Quelle azioni adesso valgono dieci volte tanto.
Con due matrimoni finiti alle spalle, il principe è stato per molto tempo lo scapolo più concupito del jet-set internazionale.
All’inizio del 1999 ha sposato la principessa Kholood, un¿avvenente araba di 20 più giovane di lui che discende dalla stessa tribù di nonno Abdul Aziz.
Da allora pur continuando a frequentare il jet set, navigando tra Cannes e Montecarlo sul suo yacht di 90 metri comprato da Donald Trump, conduce una vita più appartata.
In pubblico appare sempre più spesso vestito nel tradizionale abbigliamento arabo, kefya biancorossa in testa, lunga galabya bianca fino ai piedi, mantello nero, sandali, anziché nella sua uniforme preferita: Lacoste nera, jeans, scarpe da jogging.

Il principe ama rimanere sveglio tutta la notte e vaga a piedi per il deserto. Lo aiuta a rilassarsi.
Porta con sé un telefonino Motorola che i suoi ragazzi possono rintracciare da un segnale radio irradiato da una torre di oltre settanta piedi dietro al suo campo.
Nel suo accampamento nel deserto, ci sono telefoni cellulari, fax, stampanti, pc, computer portatili, e un furgone satellitare su misura Chevy Suburban da 700.000 dollari.
E poi ci sono televisioni. A sinistra del suo comando, un grande schermo tipo home video trasmette la Bloomberg, alla sua destra, un’altra è sulla Cnbc.
Un piccolo computer grande una trentina di centimetri ai suoi piedi è acceso sull’Ar (l’Arab Radio Television), di cui il principe è comproprietario.

Il principe sta aiutando a portare l’economia della rete in Medioriente e in Africa.
La Siria, per esempio, non ha ancora telefoni cellulari né cercapersone
Molta della comunicazione digitale in questa parte del mondo è controllata da una società che il principe possiede per il 25% chiamata Silki La Silki, in italiano: cavo e non cavo.
Il presidente della società Abdul Aziz Al Hagbani, dice che Silki La Silki controlla un internet provider chiamato PrimeNet, il cui quartier generale si trova in ufficio al centro di Riyadh.
Un vero internet provider completo di sei server 450 Sun Enterprise, dispositivi Cisco e motori di memoria e dati Oracle.

Accanto alla costruzione di una rete di telefoni a pagamento in Siria e in Arabia Saudita, Silki La Silki sta inoltre lavorando su una rete satellitare che coprirà 99 Paesi del Medioriente e dell’Africa. Ma il pezzo veramente promettente di questa società potrebbe essere Arabia Online.
Attraverso Silki La Silki, il principe ha recentemente comprato il 50% delle attività di Arabia Online, che sono gestite da Ramzi Zeine, un giordano, per più di 200 milioni.
Arabia Online ha circa 400.000 singoli utenti al mese e sta crescendo nella maniera in cui dovrebbe un nuovo sito internet di successo.

Un portale simile, come il sudamericano StarMedia, ha una capitalizzazione di mercato di 1,9 miliardi di dollari. Diciamo che Arabia Online – che, contrariamente a StarMedia non ha potenzialmente rivali – ha una capitalizzazione di mercato di solo la metà e un mercato potenziale di 270 milioni di arabi.
Allora quel 50% di quota che il principe ha comprato potrebbe essere uno dei più grossi colpi mai fatti dal principe.
L’infatuazione del principe per la teconologia è in realtà un risultato di due profondi desideri in conflitto tra di loro: vuol vivere in Arabia Saudita e vuol essere in contatto istantaneamente con qualsiasi cosa al mondo.

Il principe non è soltanto un sceicco benestante grazie al petrolio, che ha avuto la fortuna di indovinare colpi vincenti nel mercato finanziario arabo, ma ha concluso una serie di importanti operazioni in tutto il mondo.
Oggi, il principe Alwaleed è diventato un membro dell’élite miliardaria d’alto rango.
Dietro Bill Gates, con Michael Dell e Steve Ballmer. Sembra che il principe sia il più ricco uomo d’affari del mondo al di fuori degli Stati Uniti.
Il principe è inoltre uno dei leader mondiali dell’industria dell’informazione tecnologica.
Da investitore, detiene circa due miliardi di dollari di Apple, Motorola, Aol e Teledesic.
Al Waleed appartiene a quella categoria di investitori che comprano le aziende quando sono sottovalutate.

Il principe abita in un palazzo completato nel 1999, al costo di circa 150 milioni di euro, situato nei pressi di Riyadh.
Il palazzo in sé sembra un po’ come il più chic Four Season della terra, che non è una coincidenza, dal momento che il principe possiede il 24% di questa lussuosa catena di hotel.

Lo staff, 180 persone, porta con sé walkie-talkie e tutto questo per il principe, sua moglie e i due figli avuti da un matrimonio precedente: il principe Khalid, di 24 anni, e la principessa Reem, di 20.
Quando il principe viaggia, si porta con sé una doppia dozzina di persone. Possiede un Boeing 737 e un 767, in più un elicottero.
Quando viaggia, sta in uno dei suoi hotel: il Four Season, il Plaza di New York, del quale possiede il 41%; il Fairmont a San Francisco (17%) o il George V di Parigi (100%).

In questo momento la famiglia reale saudita è una delle più ricche e riservate sulla terra. Governa completamente l’Arabia Saudita (o il “regno”, come viene spesso chiamato il Paese).
L’economia della nazione fa quasi interamente affidamento sul prezzo del petrolio.
La sua società è una delle più conservatrici del mondo – c’è pochissima libertà politica, la stampa è censurata, e le donne non compaiono in pubblico se non sono velate e sotto scorta. Molti membri della famiglia reale, compreso il principe, sono a favore dell’allentamento di queste strutture.

Guardando il portafoglio del principe, si nota che la grande maggioranza delle sue partecipazioni sono suddivise in tre gruppi: media, tecnologia e attività bancarie.
Il principe sostiene che questa scelta non è casuale.
Al Waleed dice di essersi avvicinato a questi gruppi per via delle società, aggiungendo di essere sempre alla ricerca della stessa cosa: aziende mondiali con un nome di marca, praticamente sane ma che hanno delle momentanee difficoltà.
E¿, naturalmente, un vero manager di un portafoglio azionario di gran successo, la sua abilità non è quella di amministrare un’azienda, ma di impiegare capitali

Al Waleed controlla azioni in tutto il mondo, Nord America, Asia, Europa, Africa, Medioriente.
Una grande ricchezza creata attraverso scommesse coraggiose e concentrate. Quasi la metà della ricchezza del principe, valutata in circa 20 miliardi di dollari, si trova in titoli Citibank.
Nell’ottobre del 1997, durante il mercato nel suo tipico calo autunnale, il principe ha fatto altre due scommesse nel settore tecnologico, comprando pezzi di Netscape e Motorola.
All’inizio nessuna delle due mosse è parsa particolarmente astuta. Ha comprato qualcosa come 12 miliardi di azioni della Motorola e nei 12 mesi successivi il titolo è prontamente caduto rovinosamente.
Ma da quell’anno in cui i titoli si sono mantenuti bassi, il titolo ha iniziato ad andare in alto, così adesso il principe ha 538 milioni di dollari di azioni Motorola.

Per quanto riguarda Netscape, anche questo è un titolo che è andato male dopo che il principe ha comprato oltre quattro milioni di azioni per un totale di 130 milioni di dollari. Dopo che Aol ha annunciato che stava comprando la società di browser in uno scambio di azioni, le Netscape hanno cominciato la scalata.
Dopo che è stato completato l’accordo, le partecipazioni di Netscape del principe sono state scambiate per quattro milioni di azioni della Aol.
Due anni fa, ha raddoppiato il suo investimento nella divisione internet di Time Warner, di 1.05 miliardi di dollari.

Tarak Ben Ammar rappresenta da circa dieci anni gli interessi del principe in tutto il mondo.
Nel nostro paese Al Waleed arriva nel 1995, quando la finanziaria Arab Media Corporation (di cui è azionista al 30% mentre la restante quota appartiene alla società saudita Albaraka), rileva dalla Rai, allora presieduta da Letizia Moratti, i diritti di trasmettere il segnale di Rai International in tutto il mondo con un investimento di circa 90 milioni.
La Arab Media Corp. ha impiantato ad Avezzano, nel Fucino, un centro di produzione di programmi televisivi che offre lavoro ad oltre 500 persone.
Da qui attraverso Telespazio i programmi vengono inviati via satellite alle televisioni dei paesi arabi che li acquistano e li ritrasmettono su scala nazionale.

Dopo l’attentato alle Twin Towers il principe non solo ha deciso di non vendere, ma si è addirittura lanciato in una frenetica corsa all’acquisto, a caccia di occasioni.

Sono profondamente dispiaciuto per quello che è successo- ha detto il principe- ma sarebbe stupido vendere. Anzi, mi sembra che ci siano grandi opportunità per comprare.
Al Waleed prima del crollo dei titoli tecnologici dopo l’attentato alle torri aveva accumulato un portafoglio di partecipazioni in primarie società americane valutato 21 miliardi di dollari.

Dopo il crollo repentino delle quotazioni, tra settembre 2001 e marzo 2002, ha investito un miliardo di dollari per accrescere le sue partecipazioni in Citigroup, Aol Time Warner e nella società internet Priceline.com.
Benché quell’investimento abbia generato solo perdite, Al Waleed ha continuato imperterrito a investire in Nord America.

Nel suo portafoglio continuano a figurare investimenti in molte altre società USA, tra cui Hewlett Compaq, Apple e Coca Cola.Figurano però, anche operazioni non propriamente proficue, come i cento milioni di euro per Planet Hollywood, operazione che si è ridotta di valore ad una quarantina di milioni, o ancora Donna Karan.
Le perdite del principe in questi investimenti arrivano a quasi 150 milioni e anche di più, che non è una piccola cifra, pari ai suoi guadagni in uno dei suoi più recenti successi.
A tal proposito Al Waleed sostiene che questi sono incidenti che normalmente succedono agli investitori e che bisogna metterli in conto.

A parte queste operazioni poco azzeccate, il principe fa notare che il suo investimento nella News Corporation di Rupert Murdoch è andato molto forte ultimamente, facendogli guadagnare circa 500 milioni negli ultimi anni.
Possiede poi il 3% della KirchMedia in Germania e il 3% di Mediaset, questo porta la sua partecipazione europea a oltre 500 milioni.

Al Waleed è uno dei soci storici di Berlusconi: entrato nel capitale dell’impero televisivo del premier italiano alla fine del 1995, prima della quotazione in Borsa (luglio 1996), ha sempre mantenuto la quota del 2.27911%, ora ceduta per riporto alla Lehman brothers.
La sua partecipazione in Mediaset è in portafoglio alla società portoghese Kingdom investimentos e serviços, che fa capo alla Kingdom 5-Kr-16 itd.
Nel consiglio d’amministrazione di Mediaset è rappresentato da Tarak Beb Ammar.
Banca di Roma, Ifil, Mediaset e Olcese sono gli esempi più eclatanti e anche quelli ufficiali, cioè dichiarati alla Consob, di partecipazioni arabe in aziende italiane.


Il suo portafoglio è amministrato da Citigroup, di cui Al Waleed è un importante azionista, e dalla finanziaria personale Kingdom holding.
Lo staff della Kingdom Holdings conta soltanto una ventina di professionisti, in maggioranza mediorientali che hanno studiato in America (sauditi, ma anche libanesi, egiziani e palestinesi) e amministrano i suoi investimenti, gestiscono gli hotel e costruiscono progetti.
Il principe è proprietario di una banca, la United Saudi Commercial Bank e fra le sue partecipazioni più rilevanti ci sono le aziende tecnologiche e della new economy come Compaq, Amazon.com, eBay e Priceline, oltre a società della vecchia economia come PepsiCo, McDonald’s, Ford e Gilette.

Al Waleed sostiene, e lo ha dichiarato alla SEC, che i capitali usati dalla Kingdom holding nelle operazioni finanziarie sono di sua esclusiva pertinenza.
Wall Street però è scettica a riguardo. Il principe, infatti, dice di aver cominciato la sua attività di finanziarie nel 1979, con un prestito di 30mila dollari di suo padre, e ipotecando una casa per 400mila dollari.
In qualità di nipote di Ibn Saud, poi, Al Waleed riceve uno stipendio mensile di 15 mila dollari.
E¿ quindi improbabile che in soli 12 anni questo modesto capitale fosse cresciuto a 797 milioni di dollari, il controvalore del 14% del capitale di Citicorp acquistato nel 1991.
La comunità finanziaria è convinta che dietro Al Waleed ci siano diversi membri della famiglia reale saudita.

I suoi critici sostengono che la stella di Al Waleed sia in declino. Il principe, dicono, ha perso l’abilità ad acquistare titoli in ribasso poco prima di ascese vertiginose, i suoi ultimi investimenti sono in difficoltà o a rischio di bancarotta e ha persino cominciato a chiedere dei prestiti, singolare necessità per un uomo che si vantava di mantenere sempre una liquidità minima di un miliardo di dollari in contanti.

Altri sottolineano che il suo impero finanziario è poco chiaro, avvolto nel mistero di società registrate in paradisi fiscali dove viene assicurata segretezza assoluta, mentre qualcuno parla di un capitale ingrandito principalmente a forza di commissioni, tangenti o forse perfino corruzione. Se tutto ciò fosse vero, verrebbe il sospetto che le aspirazioni politiche servano più che altro a difendere un patrimonio costellato di buchi.
Al Waleed nega rigorosamente ogni addebito, sfida a scoprire qualunque azione illecita, difende le scelte fatte in Borsa, insomma scommette che la sua stella continuerà a salire.