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Innovazione, competitività, tutela dei brevetti, proprietà intellettuale. Intervista a Mario Calderini del Politecnico di Torino

INTERVISTA



 

Abbiamo incontrato Mario Calderini, professore associato di Economics and Management al Politecnico di Torino, al quale abbiamo rivolto alcune domande su temi dell’evoluzione del copyright e dei brevetti industriali, tematiche più che mai attuali: dal ruolo che il Politecnico di Torino sta rivestendo in Italia in tema di innovazione e incubazione di nuove imprese high-tech, al problema della sindrome Cinese, al futuro dell’IT ed alla figura del ricercatore nel nostro Paese, al rapporto privilegiato con le Piccole Medie Imprese e con il mondo della consulenza.


 

Siamo, infatti, a un passo dall’avvento nelle università italiane, della nascita del cosiddetto ¿Transfer Technology Office¿, che rappresenta il ponte naturale tra la ricerca universitaria e la ricerca d’impresa nell’ambito delle tecnologie high-tech e dell’innovazione di processo e di prodotto. In particolare sempre più interessante diventa la relazione tra gli incentivi a brevettare dei ricercatori universitari e la loro attitudine a ricerca di base e gestione strategica dei brevetti. Sempre più importante, come vedremo, sarà la comprensione dei meccanismi che spingono le imprese a brevettare al di là dello scopo puramente commerciale o di difesa industriale, derivante dalla appropriabilità dei brevetti.

 


 

K4B.   Prof. Calderini, a distanza di qualche settimana dalle conclusioni del Triple Helix5 Conference, che ha visto più di 400 delegati da tutto il mondo, possiamo fare un bilancio dell’evento. Cosa ha prodotto questa quattro giorni di dibattiti tra università, imprese e governo sul tema dei brevetti?

 

R.    Al centro delle tante conferenze che si sono svolte vi è stato sempre il confronto tra i modelli vincenti di interazione tra Università, Imprese e Governi (le tre eliche appunto) nell’innovazione economica e la possibilità di esportare questi modelli di business ¿virtuosi¿ anche in Europa e in Italia.

 

I temi centrali del dibattito hanno riguardato le politiche nazionali a sostegno dell’innovazione e della ricerca tecnologica, il ruolo dei sistemi regionali, i futuri modelli di intervento nei distretti tecnologici, ormai in netta affermazione anche in Italia e le più avanzate forme di trasferimento tecnologico e incubazione d’impresa.

 

Abbiamo voluto questo incontro, insieme ad altri come quello in Fondazione Agnelli, perché è in corso in questi mesi un dibattito politico riguardante il possibile coinvolgimento delle università nei processi di crescita e di innovazione di realtà nazionali e locali. Questo dibattito di politica industriale non sembra essere sempre fondato su analisi scientifiche che permettano di capire a priori i meccanismi reali di creazione e sostenibilità dell’innovazione.

 

Nel 2001 c’è stata la cosiddetta legge Tremonti che attribuisce il diritto a brevettare al ricercatore. Questo intervento di politica molto coraggioso, va però in controtendenza rispetto a quanto deciso dalla stragrande maggioranza delle istituzioni politiche mondiali, dove invece il diritto a brevettare è assegnato all’istituzione universitaria e non al singolo.

 

Il grande dibattito in corso riguarda quale sia il modello di business che stimola di più l’attività di brevettazione: da un lato il diritto dato al ricercatore, dall’altro quello assegnato all’istituzione. Nel primo caso se il ricercatore ha tutti i diritti patrimoniali legati al brevetto ha più incentivo a brevettare, nel resto del mondo però non viene fatto perché brevettare costa molto e dunque anche se il ricercatore è messo nelle condizioni di poterlo fare, non ha alla fine le capacità economiche di accedere alla fase di gestione e mantenimento del brevetto nel tempo.

 

Proprio mentre la Germania aboliva il diritto dato al ricercatore a brevettare allineandosi a tutto il resto del mondo, l’Italia introduceva questa norma pur con grande perplessità da parte del nostro mondo accademico. 

 


 

K4B.   In America alla fine degli anni ¿80 ci fu il Bayh-Dole Act la svolta brevettale grazie alla quale l’America ha vissuto la stagione d’oro di cui la Tripla Elica è un¿emanazione. Che differenza intravede tra la politica economica e industriale americana e la politica economica italiana che sembra invece essere addirittura una tra le meno avanzate d’Europa?

 

R.   Prima di qualsiasi differenza di politica economico-industriale vedo tra gli Stati Uniti e l’Italia un¿enorme differenza strutturale in termini di tessuto generativo dell’innovazione. Le condizioni strutturali americane presentano anche oggi mercati finanziari straordinariamente ricchi, che sono stati alla base di fenomeni come la Silicon Valley, l’MIT, la Sloan School of Economics e tutte le altre scuole di eccellenza.

 

In Italia il sistema di incubazione di start-up è oggi principalmente svolto dagli incubatori delle grandi università tecniche, che stanno funzionando bene, ma ahimè sempre con risorse finanziarie molto limitate, nel produrre realtà ad alta tecnologia. Malgrado le aziende partano, poi, il loro impatto economico sul Sistema Paese è molto limitato proprio perché non c’è un mercato finanziario in grado di sostenere queste scintille di innovazione, facendo crescere queste iniziative.

 

Malgrado, dunque, in Italia gli uffici di trasferimento tecnologico ci siano e funzionino, il finanziamento alla ricerca che riceve l’Università di California è 100 volte più grande di quello che ricevono le nostre università tecniche. È dunque il sostenimento all’innovazione che fa la differenza, non il fatto di essere in grado di far partire processi innovativi, quanto quello di farli vivere nel tempo.

  


 

K4B.   Come sta evolvendo oggi la produzione e la commercializzazione dei brevetti in Italia, alla luce degli studi che state conducendo al Politecnico di Torino?

 

R.   In Italia c’è recentemente stata una forte enfasi mediatica e politica nel voler coinvolgere l’università nel processo di trasferimento tecnologico. Si sta cercando di dare al nostro sistema scolastico secondario una nuova veste, più a contatto con i problemi delle imprese e delle istituzioni. Questo è certamente un bene, così come invece è un male il fatto che a valle di questa pressione che è stata messa sull’università, gli uffici di trasferimento tecnologico e le commissioni brevetti hanno un budget quasi nullo.

 

Il trasferimento tecnologico non si fa con zero budget e tanto spirito volontaristico da parte di alcuni docenti universitari. Infatti in Italia il trasferimento tecnologico non sta avvenendo o almeno non in modo tale da permettere a questa attività di lasciare il segno che potrebbe avere a livello di crescita industriale e evoluzione concreta del Sistema Paese.

 

l’impostazione alla brevettazione che c’è oggi nelle università italiane è di conseguenza completamente inadeguata alle esigenze di mercato. l’approccio che è nato al tema del brevetto è il più delle volte di tipo amministrativo-giuridico, che in verità è l’ultimo dei problemi nella gestione dello stesso. Le università italiane svolgono tipicamente verifiche di compatibilità formali di un brevetto (novità, anteriorità, etc.), deposito all’ufficio italiano, attesa dell’anno e mezzo di rito, ma nella maggior parte dei casi senza un deposito del brevetto stesso presso l’ufficio europeo dei brevetti, in quanto nessuno è in grado di prendersi in carico la seconda fase di valorizzazione economica della vita utile di un brevetto, che è la più importante.

 

La verifica delle condizioni formali di brevettabilità non rappresenta il cuore dell’innovazione insita in un brevetto, la sua sostenibilità finanziaria e industriale nel tempo, invece si.

 

l’esame delle caratteristiche di brevettabilità sono poca cosa se non accompagnate da una capacità di visione sul valore economico dello brevetto stesso, di come potrebbe essere messo sul mercato, su quali strategie di licenza potrebbero essere implementate, dal che ne consegue che l’impatto economico della brevettazione universitaria italiana è oggi pressoché nullo.

 

Tuttavia, mentre i brevetti delle istituzioni universitarie sono pochissimi e valgono molto poco, i brevetti delle imprese per la cui realizzazione hanno partecipato anche professori universitari, ma di cui sono titolari le imprese, valgono moltissimo. Questo è un caso in cui il mondo accademico italiano, grazie alla capacità di inventare, associata alla capacità gestionale di valorizzazione economica dei manager d’azienda (si pensi al caso Geox ad esempio che rappresenta una best practice in tutto il mondo), crea un meccanismo virtuoso di innovazione tecnologica e di progresso per il Sistema Paese. 

[Fine 1a parte]

 

 

Per leggere la 2a parte dell’intervista:

 

Innovazione, competitività, tutela dei brevetti, proprietà intellettuale. Intervista a Mario Calderini del Politecnico di Torino (clicca qui)

  (L.D.)

 

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