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Web e paradisi fiscali, Amazon e Lussemburgo nel mirino della Ue

Unione Europea


Prima Apple e adesso Amazon. La Ue non molla sulla questione tasse e web company e vuole vederci chiaro nei rapporti che intercorrono tra le multinazionali, soprattutto quelle di internet, e i cosiddetti ‘paradisi fiscali’ europei. Sotto la lente dell’Antitrust due Paesi, Irlanda e Lussemburgo, e i loro legami ‘finanziari’ con le società straniere.

Una mossa importante quella di Bruxelles che arriva dopo la consegna alla Commissione europea del Rapporto del Gruppo di esperti su tasse ed economia digitale.

Il mese scorso la Commissione Ue ha anche avviato tre inchieste approfondite per esaminare se le decisioni delle autorità fiscali di Irlanda, Olanda e Lussemburgo sulle imposte da far pagare ad Apple, Fiat Finance and Trade (società anonima controllata dal gruppo automobilistico), e Starbucks sono conformi alle regole europee sugli aiuti di Stato.

Ora l’Ue vuole vederci chiaro sul trattamento fiscale che il Gran Ducato riserva ad Amazon, già nel mirino della Francia per le pratiche commerciali sulle vendite online di libri in parte risolte con una legge ad hoc approvata a fine giugno ma che lasciano la questione irrisolta in altri Paesi europei.

 

L’accordo tra Amazon e il Lussemburgo

A centro della questione l’eterno problema delle web company, ormai denunciato da più parti, che grazie alle leggi di Stati ‘compiacenti’ riescono a sottrarsi, in grossa parte, dal pagamento delle tasse nei Paesi dove vendono i loro servizi per versarle in quelli che applicano regimi vantaggiosi. Irlanda e Lussemburgo le mete preferite.

Secondo quanto riferito dal Financial Times, che cita due fonti a conoscenza dell’inchiesta dell’antitrust, adesso la Ue vorrebbe approfondire le pratiche di ottimizzazione fiscale di Amazon che ha la sua sede europea proprio nel Lussemburgo che gli consente di beneficiare di condizioni particolarmente favorevoli.

Negli ultimi bilanci il gruppo statunitense sottolinea l’efficienza della struttura fiscale del Paese, che ha consentito una riduzione dell’imposizione di 8 punti percentuali al 31,8%.

 

Lo scorso anno, indica il FT, la divisione europea del gruppo ha realizzato 13,6 miliardi di utili. Ma quanto ha versato di imposte? Dai dati del 2012, per esempio, risulta che in Italia ha versato solo 950 mila euro.

“Stiamo cercando di capire che tipo di accordo il Lussemburgo abbia siglato con Amazon”, avrebbe dichiarato un funzionario della Ue. La società americana e le autorità del Paese non hanno commentato la notizia.

La Ue sarebbe in particolare preoccupata che il trattamento riservato al colosso dell’eCommerce si possa configurare come un aiuto di Stato.

L’Autorità europea intende approfondire in particolare la pratica del cosiddetto transfer-pricing, che consente di ridurre al minimo l’imposizione fiscale grazie ai trasferimenti infragruppo, avvalendosi di volta in volta dei regimi di tassazione agevolati dei diversi Paesi in cui hanno sede le società di uno stesso gruppo.

 

In occasione dell’ufficializzazione dell’inchiesta su Apple, il Commissario Ue alla Concorrenza Joaquin Almunia ha dichiarato: “Nel contesto attuale di restrizione di bilancio è particolarmente importante che le grandi multinazionali paghino la giusta parte di imposte”.

“Le regole Ue – ha proseguito Almunia – impediscono agli Stati di prendere misure che permettono a certe imprese di pagare meno imposte rispetto a quelle che dovrebbero se le regole fiscali dello Stato membro fossero applicate in modo equo e non discriminatorio”.

 

Double Irish With a Dutch Sandwich

Ovviamente da parte di Amazon, ma anche di tante multinazionali soprattutto web company, non c’è nulla d’illegale in tutto ciò. Si tratta semplicemente si fruttare le lacune delle varie legislazioni per spostare i capitali nei Paesi dove la tassazione è più vantaggiosa. Spesso si adotta la cosiddetta strategia del “doppio irlandese con panino olandese” (Double Irish With a Dutch Sandwich), che consiste nel trasferire i denari verso le sussidiarie irlandesi e olandesi, per poi traghettare il tutto ai Caraibi.

Per colpire le multi nazioni di internet che eludono il fisco, in Italia è già in vigore la cosiddetta Web Tax, per la parte riguardante la tracciabilità dei pagamenti per i servizi online, ma è stata congelata, per la forte opposizione politica, per le disposizioni che prevedono l’obbligo di partita Iva italiana per gli acquisti di eAdvertising per le quali si attende una previa verifica di compatibilità con il diritto dell’Ue.

Uno dei maggiori oppositori della Web Tax è stato appunto il premier Matteo Renzi. Adesso si spera che la questione tasse e web company venga affrontata in modo prioritario nel semestre di presidenza italiana della Ue appena cominciato.

 

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