Single Market: Jean-Claude Juncker pronto alla sfida digitale

di Alessandra Talarico |

Tra le priorità della sua agenda, il nuovo presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker dovrà assicurare che l’Europa sia in grado di fermare con maggior vigore e autorevolezza gli abusi di mercato delle web company americane.

Europa


Jean-Claude Juncker

Il presidente designato della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, tra i molti dossier caldi che dovrà maneggiare fin dal suo insediamento (dall’immigrazione alla richiesta di maggiore flessibilità nell’applicazione del Patto di stabilità) si troverà anche quello del digitale: un settore in cui l’Europa primeggiava fino a una quindicina di anni fa, ma ora ampiamente dominato da aziende americane ed asiatiche.

Secondo un recente documento interno dell’operatore storico tedesco Deutsche Telekom, l’industria europea delle telecomunicazioni è un disastro: Internet è presidiato da Google, Facebook e Amazon e le alternative offerte dall’Europa sono pressoché nulle. Nel mercato dei software primeggiano Microsoft, Oracle e IBM, mentre in quello mobile a farla da padroni sono la sudcoreana Samsung e l’americana Apple. Anche nel settore più tradizionale della telefonia ‘pura’, la migliore azienda europea a livello mondiale è la spagnola Telefonica, che si piazza al quarto posto dopo il gigante nipponico NTT e la statunitense AT&T.

 

Le stelle dell’industria europea – da Alcatel a Nokia e Siemens – versano in condizioni estremamente difficili.

Ma come è potuto accadere e, soprattutto, come rimediare?

 

Le cause della crisi

 

Gli operatori storici europei, da Deutsche Telekom a Telecom Italia, ritengono che gran parte della ‘colpa’ del declino del settore risieda nell’inadeguatezza delle politiche europee e in un eccesso di regolamentazione che, con il pur nobile intento di tutelare i consumatori, hanno finito per azzoppare le aziende, che non riescono a invertire un trend negativo dei ricavi che dura ormai da 5 anni.

Secondo il Ceo di Deutsche Telekom, Timotheus Höttges, invece di “rafforzare i punti di forza”, come fanno gli americani e mettere le telco nelle condizioni di investire, l’Europa ha fatto tutto il contrario, inondando il settore di nuovi vincoli e regolamenti – dal taglio alle tariffe di terminazione a quello del roaming, dall’acquisto di spettro a suon di milioni all’apertura del mercato a nuovi player che nelle reti non hanno investito un centesimo.

L’intenzione di Bruxelles era quella di stimolare la concorrenza e ridurre i prezzi praticati ai consumatori. Ma il risultato è stato che gli investimenti nelle infrastrutture di nuova generazione – considerate un volano per aiutare l’Europa a uscire dalla crisi e per le quali servono almeno 270 miliardi di euro – non si sono concretizzati ne potranno concretizzarsi nel breve periodo senza un’inversione di tendenza.

 

 

Cosa chiedono le telco

 

Al di là delle disquisizioni teoriche sul single market, resta il fatto che, in pratica, il mercato europeo è troppo frammentato, innanzitutto dal punto di vista delle regolamentazioni: solo per realizzare una rete che vada dal Portogallo alla Slovenia, spiega sempre Höttges, un operatore deve ingaggiare in negoziati che possono durare diversi mesi con 5-6 regolatori diversi per adeguarsi ai requisiti tecnici e alle diverse leggi sulla protezione dei dati. Un processo che deve assolutamente essere semplificato.

 

In Europa, poi, ci sono oltre 170 operatori, contro i 4 attivi in Cina e negli Usa. Le telco europee chiedono da tempo una maggiore flessibilità verso le fusioni tra operatori sia all’interno che al di fuori dei confini nazionali, così da consentire la realizzazione delle economie di scala essenziali per poter competere e investire.

Riducendo, ad esempio, il numero di operatori a 3-4 per paese, si potrebbe infatti ottenere un risparmio sui costi e maggiore potere sui prezzi, ma finora il Commissario alla concorrenza Joaquin Almunia ha gelato le attese dell’industria, opponendosi a concedere ‘carta bianca’ alle telco in fatto di consolidamento all’interno degli Stati membri. Le autorità europee hanno concesso simili accordi solo dietro precise condizioni, come nel caso dell’acquisizione da 1,7 miliardi di Orange Austria da parte di Hutchison Whampoa o della fusione tra 3 e O2 in Irlanda.

 

Tutta questa rigidità ha minato irrimediabilmente la competitività delle aziende europee, che ora sono prede appetibili dei rivali d’oltreoceano. Lo scorso anno, ad esempio, il miliardario messicano Carlos Slim ha acquisito l’operatore storico olandese KPN.

 

La sfida di Juncker

 

L’intenzione di Juncker sembra essere l’eliminazione delle barriere nazionali, per far sì che l’Europa nei prossimi cinque anni diventi un unico territorio, dove i telefonini funzionano in modo semplice ed economico in patria e all’estero; dove i consumatori possano scaricare canzoni e film sull’iPhone senza problemi ovunque si trovino; dove gli utenti della Rete sappiano che i loro dati sono al sicuro ovunque si trovino a navigare.

 

“La via per la crescita dell’Europa è lastricata di smartphone e tablet…ma per forgiare un’Europa completamente tecnologica è necessario creare un mercato unico digitale, che superi la frammentazione di 28 mercati diversi, delimitati dalle frontiere dei singoli paesi”, ha affermato Juncker in campagna elettorale, sottolineando anche che “…Se si chiede agli operatori mobili di offrire i loro servizi non più solo a livello nazionale, ma su scala continentale, parimenti dobbiamo immaginare di farli sottostare a un impianto di regole sinceramente europeo ed unitario…”.

 

 

Tutti contro le web company?

 

Tra le priorità della sua agenda, Juncker dovrà assicurare che l’Europa sia in grado di fermare con maggior vigore e autorevolezza gli abusi di mercato delle web company americane, facendo leva anche sul crescente consenso di diversi leader europei.

“Non vogliamo diventare una colonia digitale dei giganti mondiali di internet“, ha detto recentemente il Ministro francese dell’Economia Arnaud Montebourg, sottolineando la necessità, anzi, l’urgenza, di “regole che garantiscono parità di condizioni” per le aziende europee.

Molto netta anche la posizione del Ministro tedesco dell’Economia Sigmar Gabriel, che ha proposto di fronteggiare Google così come gli Stati hanno fatto con le banche per i loro eccessi: “…La politica – ha detto – deve intervenire là dove, dopo la crisi finanziaria, mercati disordinati e player senza confini minacciano di provocare gravi danni”.

 

Un’Europa digitale in cui le aziende europee possano competere ad armi pari con quelle americane ed asiatiche, ha affermato Juncker, “produrrebbe una crescita aggiuntiva di 500 miliardi di euro e diverse migliaia di posti di lavoro”.

 

Assume pertanto un ruolo fondamentale il prossimo Commissario europeo per l’Agenda digitale, che prenderà il posto di Neelie Kroes: tra i nomi più accreditati quello dell’ex primo ministro finlandese Jyrki Katainen. Chiunque sia, comunque, avrà il non facile compito di traghettare l’Europa verso un vero mercato unico digitale, affrontando le resistenze degli Stati membri per quel che riguarda, ad esempio, la gestione ‘centralizzata’ dello spettro radio (la cui vendita ha permesso ai Governi di ‘fare cassa’) o anche l’armonizzazione delle regole sul diritto d’autore.

Di sicuro, non basterà l’abolizione dl roaming per poter dire: ‘missione compiuta’.