Reti. Monito alla Ue dal think tank CERRE: ‘Rivedere gli obiettivi delle liberalizzazioni’

di Alessandra Talarico |

Nuovo studio analizza gli effetti della liberalizzazione nel settore delle reti (energia, tlc, trasporti, poste, ferrovie) e suggerisce alla Ue di concentrarsi sulla corretta applicazione delle regole esistenti più che sulla creazione di nuove.

Europa


Telecoms

Nel settore delle reti – che siano energetiche, di telecomunicazioni, ferroviarie o idriche – la nuova Commissione europea dovrebbe puntare a una nuova regolamentazione “più matura e più robusta che permetta a consumatori e utenti di accedere a servizi di qualità forniti a prezzo convenienti ma allo stesso tempo in grado di generare ricavi sufficienti per permettere agli operatori di investire”. E’ questa una delle conclusioni di un rapporto del Centre on Regulation in Europe (CERRE) – un think tank nato del 2010 che riunisce 42 organizzazioni (imprese, università, autorità nazionali).

 

Lo studio, molto articolato, è stato elaborato tra gli altri da Bruno Liebhaberg, Pascal Lamy e Jacques Delors, che analizzano gli effetti della liberalizzazione nel settore delle reti (energia, telecom, trasporti, poste, ferrovie), giungendo alla conclusione che i risultati di tale processo sono troppo forti in alcuni settori (come le telecom) e insufficienti o disordinati in altri (energia e trasporti).

 

Come prima cosa, Liebhaberg suggerisce quindi alla prossima Commissione di indagare, alla luce dell’esperienza maturata in questi ultimi 20 anni, le implicazioni concrete della liberalizzazione per i settori esaminati e di “prepararsi a riequilibrare i suoi obiettivi politici”.

In secondo luogo, notano gli autori del rapporto, in molti dei settori analizzati l’azione regolamentare “dovrebbe concentrarsi sulla semplificazione e sulla corretta attuazione e applicazione delle regole esistenti più che sulla creazione di nuove”.

La nuova Commissione, prosegue l’analista, dovrebbe altresì favorire “in maniera più decisa” gli investimenti nei settori cruciali dell’energia, delle telecomunicazioni  dei trasporti.

Bruxelles, insomma, dovrebbe concentrarsi “sugli aspetti veramente transfrontalieri, come le politiche ambientali, il sostegno alle energie rinnovabili e all’industria delle reti nel suo insieme, massimizzando il valore aggiunto che questa può garantire all’Europa”.

 

Per quanto riguarda nello specifico gli aspetti inerenti il mercato delle telecomunicazioni, il CERRE si sofferma  tra le altre cose anche sulla net neutrality, sottolineando come dovrebbero essere evitate regole troppo rigide per valutare piuttosto un ambiente più flessibile e i benefici della sperimentazione di modelli di business più innovativi.

“Una politica europea sulla neutralità della rete è necessaria per evitare la frammentazione e l’incompatibilità tra le regole dei diversi Stati. Le autorità antitrust nazionali (e la DG Comp a livello europeo) dovrebbero affrontare le possibili pratiche anti competitive, ma un’applicazione rigida della net neutrality sarebbe anacronistica dal momento che gli accordi commerciali per il trattamento preferenziale stanno già prendendo piede. Mancano quindi argomenti convincenti a sostegno di regole eccessivamente rigide sulla neutralità della rete”, sottolinea il report.

 

Per quanto riguarda, quindi, la Digital agenda europea, il CERRE evidenzia una certa incoerenza tra le specificità della regolamentazione generale e gli obbiettivi digitali che “sembrano più che altro politici e quindi sono molto difficili da mettere in pratica”.

“E’ molto interessante che a livello di adozione si intenda far sì che il 50% degli europei sottoscriva un abbonamento ai servizi di almeno 100Mb entro il 2020…non è chiaro però quale sia la reale domanda di servizi innovativi e contenuti e perché si ritenga rilevante tale soglia”.

In secondo luogo, aggiungono gli analisti, “non viene data una chiara direzione su come raggiungere gli obiettivi” dell’Agenda.

“Se un obiettivo definisce la necessità della disponibilità universale di un determinato livello di qualità, allora si potrebbe definire come servizio universale”, spiegano ancora dal CERRE, prendendo ad esempio l’obiettivo relativo alla copertura del 100% della popolazione con connessioni da 30Mbs.

“Questo obiettivo sembra esprimere piuttosto un obiettivo politico, che dovrebbe essere finanziato con le tasse dei contribuenti e non dovrebbe essere fatto come servizio universale per evitare distorsioni all’interno dell’industria, almeno non nel prossimo futuro”, è la conclusione degli analisti, secondo cui bisognerebbe uscire dalla guerra tra fazioni tra chi ritiene arcaico il concetto di servizio universale e chi vorrebbe invece mantenerlo immutato a tutti i costi.

Ci sarebbe bisogno di un “cambiamento di prospettiva”, partendo dai bisogni e dai diritti legittimi dei cittadini – per esempio quello di comunicare – e armonizzandoli col costo e l’evoluzione tecnologica. Per esempio tutti gli operatori dovrebbero sottostare ai medesimi obblighi. Sarebbe infine necessario  che dovunque i regolatori siano “forti, indipendenti, e dotati di risorse sufficienti”.