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Il femminismo 2.0 passa dai selfie? Forse, ma attenti a non esagerare…

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La mania dei selfie – ossia scattarsi delle foto per poi postarle sui social network – potrà anche essere fastidiosa, ma non è un disturbo mentale.

La notizia, circolata in rete sulla base di un presunto studio dell’American Psychological Association è, infatti, una bufala fatta girare dal sito ‘The Adobo Chronicles‘ qualche mese fa. Lo stesso sito, nelle sue referenze, sottolinea: ‘Tutto quello che leggete su queste pagine è basato sui fatti, tranne le bugie’, ma nessuno – tranne, evidentemente, il sito Snopes – prima di diffondere la notizia, ha pensato bene di fare qualche verifica, forse perché inconsciamente tutti pensiamo che alle persone che continuano a inondare le loro bacheche di autoscatti manchi effettivamente qualche rotella.

 

Ma non è così, definitivamente, anzi: c’è addirittura chi sostiene paragonare la ‘selfite’ a un disturbo mentale altro non sia che un modo per screditare l’ondata di ‘girl pride 2.0‘, che ha trovato nei selfie un nuovo strumento di affermazione, soprattutto quando si tratta di aiutare le donne ad accettare il proprio corpo e a contrastare gli irrealistici ideali propinati dalla pubblicità. Secondo un sondaggio di Today, secondo il 65% delle ragazze, i selfie aiutano a innalzare l’asticella dell’autostima (soprattutto se alla pubblicazione seguono molti ‘like’) ridando anche alle donne la possibilità di gestire la propria immagine e la propria fisicità.

 

Non tutte le donne, in realtà, sono d’accordo su quest’ultimo assunto: Erin Gloria Ryan sul sito Jezebel sottolinea che la mania dei selfie in realtà non sarebbe altro che ‘una richiesta d’aiuto, un’indulgenza narcisistica’ che prova solo quanto questo ‘grande pasticcio’ della rete stia contribuendo a farci chiudere ancora di più in noi stessi.

 

È vero anche che molti vip grazie ai selfie hanno potuto scrollarsi di dosso le agenzie di PR e diventare gestori della loro immagine: nella rete sono caduti quasi tutti, dal presidente Usa Barack Obama al suo vice John Biden, da Papa Francesco agli attori della notte degli Oscar (con tanto di sponsorizzazione milionaria dalla Samsung).

Senza contare le molte degenerazioni della selfie-mania – dal selfie dopo il sesso al ‘belfie‘ (ossia le foto del lato b) – e il rischio che da semplice voglia di autocelebrarsi si passi senza rendersene conto a un’ossessione da autoscatto, come quella confessata da Danny Bowman. Il ragazzo, figlio di due psicologi, ha confessato di scattarsi anche 200 foto al giorno e di aver pensato al suicidio perché non riusciva a venire bene. Il caso di Danny, ceto, è un caso estremo riconducibile, questo sì, a un vero e proprio disturbo ossessivo compulsivo.

La selfie-mania, insomma, potrà anche non essere un disturbo mentale così come potrebbe anche essere una nuova forma di emancipazione femminile o di arte (duckfaces a parte), ma certo è che a volte è davvero difficile distinguere se chi lo posta vuole solo mostrarci il suo nuovo tagli di capelli o mostrarsi e basta, così per riempire un vuoto con tanti like.

 

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