Alessandro Luciano (FUB): ‘Ricerca in Italia maltrattata. Mi aspetto molto dal nuovo Governo’

di Paolo Anastasio |

Alessandro Luciano, presidente della FUB, interviene alla giornata di studio Ricerca Scientifica e sviluppo competitivo dell’ICT: Italia è al 38esimo posto nella classifica globale dell'innovazione. Mario Frullone (FUB): Subito un manifesto per l'ICT.

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Alessandro Luciano

“In un periodo prolungato di crisi economica come quello attuale, mi rifaccio a quanto ripete sempre il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, cioè che non ci può essere ripresa economica senza ricerca scientifica. La Fondazione Ugo Bordoni si muove nel solco di questo percorso, indicato dal presidente Napolitano per contribuire alla ripresa del Paese“. Lo ha detto oggi Alessandro Luciano, presidente della Fondazione Ugo Bordoni (FUB) in occasione della giornata di studio “Ricerca Scientifica e sviluppo competitivo dell’ICT” che si è tenuta a Roma nella sede del CNR, aperta dal presidente del Cnr Luigi Nicolais. Scopo dell’iniziativa è coinvolgere istituzioni, Università e mondo delle aziende nella formulazione di un documento programmatico per dare vita ad un gruppo di lavoro permanente sul tema dello sviluppo competitivo dell’ICT in ottica di sistema.

 

Luciano ricorda che nel nostro paese “la ricerca teorica e quella applicata sono state maltrattate in questi tempi di crisi – dice – basti pensare che secondo il World Economic Forum il nostro paese si trova al 38esimo posto nella classifica mondiale sulla capacità di innovazione, a fronte della Germania che si colloca al quarto posto e alla Francia al 19esimo. Il 38esimo posto ci pesa parecchio, occorre un’impennata, e per questo mi aspetto molto da questo nuovo Governo dopo due Governi tecnici”.

 

Abbandonare gli investimenti sull’innovazione, secondo Luciano, “è la cosa più sbagliata che si possa fare – dice – soprattutto se si vuole uscire da una crisi globale lunga e profonda di cui ancora non si vede la fine. A livello globale, sopravvivono soltanto le società in grado di cogliere il senso dell’innovazione, del movimento e del cambiamento. Rimanere immobili oggi significa precludersi il futuro”.

 

Università, ricerca pubblica e aziende innovatrici devono adottare un linguaggio condiviso per affrontare “le sfide tecnologiche ma soprattutto sociali con le quali stiamo convivendo – chiude Luciano – ed è compito della FUB mettere insieme mondo della ricerca e aziende. L’obiettivo è arrivare ad un documento condiviso sulla competitività e il futuro dell’ICT da proporre il 21 maggio”.  

 

“Il rapporto fra Università, mondo della ricerca e aziende in Italia è difficile, perché il nostro tessuto industriale è costituito per lo più di piccole aziende che non hanno risorse da dedicare ad attività di R&D. D’altra parte, le grandi aziende tendono a spostare la ricerca dove il costo è più ridotto rispetto al nostro paese. La ricerca strategica, che in passato negli anni ’80 ha portato alla realizzazione di standard come il Gsm, oggi viene fatta altrove”, ha detto  Mario Frullone, direttore delle Ricerche della FUB.

 

Il paradigma della ricerca nel contesto italiano è quello “dell’ingegnere umanista, pronto alla contaminazione – dice Frullone – in grado di cogliere le opportunità tecnologiche adatte al nostro paese”. La situazione della ricerca nel nostro paese non è drammatica, tanto più che secondo i dati di una ricerca condotta dalla FUB nel 2012 in collaborazione con il Cotec (Fondazione per l’Innovazione Tecnologica) le risorse destinate alla ricerca in rapporto al PIL nel nostro paese sono in aumento del 20% negli ultimi anni.

 

Certo si può fare di più, soprattutto nell’utilizzo dei fondi Ue, che nel nostro paese restano troppo spesso inutilizzati dalle Regioni mentre per quanto riguarda la capacità dell’Accademia di partecipare ai programmi quadro europei, come ad esempio l’FP7, le cose vanno meglio. Quello che manca è la ricerca sulle infrastrutture di telecomunicazioni, che in passato ha portato in Europa al primato in sistemi di comunicazione come il Gsm e l’Umts, anche se qualcosa in questo senso c’è nel programma Horizon 2020.