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Una nuova Hollywood nei Balcani: l’esplosione della fiction turca ridisegna i confini dell’audiovisivo

Turchia


Dati e tendenze di grande interesse per l’evoluzione del mercato internazionale della fiction emergono dalla lettura di un recente studio condotto da Eurodata Tv Wordlwide, agenzia specializzata in analisi e tendenze del mercato dei media a livello internazionale (di proprietà di Médiamétrie). Nel 2013 il genere si è aggiudicato il primato all’interno dei palinsesti televisivi, coprendo ben il 42% dei programmi più visti, davanti ad intrattenimento (37%) e informazione (21%). All’interno di questa grossa fetta di programmazione a dominare gli slot dei vari canali pubblici e privati sono le serie con il 61% di gradimento, seguite dagli sceneggiati (14%) e dai film-tv (13%).

 

Ma la tendenza più interessante e, per certi versi, sorprendente, che emerge dallo studio riguarda il mutato assetto dei flussi di approvvigionamento della produzione di fiction a livello internazionale. Nonostante la grande qualità e il forte appeal delle serie targate Hbo, Fox, Showtime ecc., gli Stati Uniti devono infatti fare i conti con la presenza sempre più robusta di prodotti che giungono da mercati emergenti come Israele, Turchia e Corea del Sud dove si registra un innalzamento significativo dei volumi produttivi e soprattutto una maggiore capacità di circolazione all’estero dei propri format ed opere seriali finite. Mercati che sono ormai entrati in competizione diretta con i più maturi mercati occidentali, inclusa la vivace area scandinava e il suo filone “giallo nordico”.

 

In questi Paesi la quota di mercato nazionale è molto solida e di gran lunga superiore alle serie di importazione americana; ma le produzioni locali medio-orientali anche in ragione di prezzi di acquisto contenuti e competitivi sono sempre più richieste in Occidente (Stati Uniti compresi) alimentando la circolazione di prodotti ed arricchendo di nuove idee il mercato della fiction a livello internazionale.

 

Il rapporto Eurodata assegna alla Turchia – Paese che in questi giorni è sotto i riflettori per le complicate elezioni amministrative e per la decisione (poi sospesa) del governo di censurare il social media Twitter – il ruolo di “nuova frontiera della produzione audiovisiva”. Un successo che viene da lontano ed è passato attraverso varie tappe. Storicamente possiamo collocare l’origine del boom nel 2006 quando il canale satellitare arabo Mbc, presente in oltre 22 Paesi mediorientali, compra i diritti della soap opera turca Gumus che nell’acro di pochi anni registra un successo clamoroso di pubblico. L’ultima puntata è stata vista da oltre 85 milioni di spettatori. Un secondo passaggio avviene nel 2011 a distanza di 5 anni, quando le soap turche oltre a registrare enormi ascolti in casa hanno cominciano a trovare – doppiate in arabo – una calorosa accoglienza anche tra lo sterminato pubblico televisivo di gran parte dei Paesi islamici (in alcuni invece sono state censurate in quanto considerate sovversive e immorali).

 

Grazie a questa ondata di successo e di crescente popolarità la produzione audiovisiva turca si è rafforzata aprendosi anche ai mercati non islamici trovando terrendo fertile prima nell’area dell’Europa centro-orientale (Ungheria, Romania e Repubblica Ceca) e poi anche oltreoceano, moltiplicando così i volumi di esportazione. Il salto di qualità si traduce immediatamente in un aumento dei prezzi di vendita. Se prima del boom, il prezzo medio ad episodio si aggirava sui 300, 500 dollari, in questi ultimi anni siamo saliti ad oltre 100 mila dollari a episodio. La stessa tv pubblica turca nel 2012 ha investito l’equivalente di 4 milioni di euro (fonte Euronews) per C’era una volta l’impero Ottomano, serie venduta a Dubai alla Mbc per la cifra record di 75 mila dollari a episodio generando peraltro un circolo virtuoso anche sullo star system, ragione per la quale alcuni noti protagonisti delle fiction turche cominciano seriamente a pensare ad una carriera internazionale.

 

La commercializzazione all’estero dei programmi made in Turchia – come rilevato anche dal quotidiano economico Italia Oggi – avrebbe fruttato nel 2013 ben 150 milioni di dollari (110 milioni di euro) grazie all’esportazione di 70 programmi in 70 Paesi. Punta di diamante della produzione turca di esportazione è la serie Magnificent Century ai primi posti in ben sette classifiche dei programmi più visti. Segue The End, acquistata in versione originale in 35 paesi ed attualmente presente anche nella library di Netflix, leader mondiale dello streaming vod  (40 milioni di abbonati di cui 33 negli Stati Uniti). Stando al rapporto potrebbero inoltre vedere la luce adattamenti negli Stati Uniti, in Russia, in Germania e in Francia. Così si scopre che fra le serie di importazione, quelle targate Usa vengono dopo quelle turche e prima di quelle della Corea del Sud.

In un recente reportage, Euronews riportando i dati di una ricerca della Fondazione turca per gli studi economici e sociali, ci ha mostrato come la popolazione mediorientale sia sempre più influenzata dalla cultura turca. La Turchia è diventata, non a caso, la prima destinazione turistica per questi Paesi. Ben il 74% dei mediorientali residenti in 16 paesi diversi guarda almeno una serie tv turca. La maggior parte di loro conosce il nome di più attori e attrici turche. Il progressivo successo oltre confine delle serie televisive turche sta di conseguenza generando forti esternalità anche sul versante turistico, dove si assiste ad un incremento delle presenze attratte dalle location dove sono ambientate le storie dei loro beniamini televisivi (in particolare Istanbul e l’area del Bosforo).

 

Che cosa giustifica quest’attrazione e quale la ragione di questa popolarità crescente? Se l’interesse arabo nelle serie turche è dovuto principalmente a ragioni di affinità storica (il richiamo all’impero ottomano) e culturale, lo sfondamento sui mercati occidentali indica la presenza di standard qualitativi più elevati, di imprese più strutturate, di intrecci narrativi più solidi e moderni e non necessariamente legati al passato (come nel caso de La Valle dei Lupi incentrata sul conflitto israelo-palestinese). Storie che esprimono stili di vita e modelli differenti da quelli abituali e che proprio per questa ragione catturano sempre più attenzione e suscitano forte curiosità da parte del pubblico internazionale.

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