Jeremy Rifkin: ‘Paradosso digitale, Internet delle cose motore dell’anti-capitalismo’

di Paolo Anastasio |

L’economista e futurologo Jeremy Rifkin prevede che nel giro di vent’anni la rivoluzione tecnologica culminerà con la diffusione capillare dell’Internet of things, che rischia di ridurre a zero i costi di beni e servizi mettendo in crisi il sistema.

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Jeremy Rifkin

La rivoluzione tecnologica, che culminerà con la diffusione capillare dell’Internet delle cose, rischia di mettere in crisi l’intero sistema capitalistico basato sui margini di guadagno per chi produce. Margini che, grazie alle tecnologie, si stanno riducendo a vista d’occhio nella nostra economia digitale. Un paradosso messo in evidenza dall’economista e futurologo Jeremy Rifkin, nel suo intervento “The rise of Anti-Capitalism” pubblicato sul New York Times il 15 marzo.  

 

“Si comincia a intravedere un paradosso al cuore del capitalismo, che minaccia seriamente il suo futuro – scrive Rifkin – il dinamismo insito nella concorrenza dei mercati sta riducendo a tal punto i costi che diversi beni e servizi stanno diventando praticamente gratuiti, disponibili in abbondanza e non più soggetti alle forze di mercato. Mentre gli economisti hanno da sempre accolto con favore una riduzione dei margini di costo, non hanno tuttavia mai anticipato la possibilità che la rivoluzione tecnologica potesse praticamente azzerare i costi”.

 

Un fenomeno, quello della riduzione dei costi dovuta alla diffusione delle nuove tecnologie e di sistemi collaborativi di file sharing e open source – a partire dal caso di Napster nel 1999, passando per l’erosione dei margini dell’industria editoriale e dei giornali – che nei prossimi vent’anni rischia di abbattere a zero i margini di costo dell’economia globale. L’Internet delle cose “connette già oggi 11 miliardi di sensori collegati a risorse naturali, linee produttive, reti elettriche, network di logistica e flussi di riciclaggio. Sensori incorporati in case, uffici, negozi e veicoli, che forniscono big data all’Internet delle cose. Entro il 2020, si prevedono almeno 50 miliardi di oggetti connessi”, aggiunge Rifkin. “La gente comune si può così connettere alla rete e utilizzare in autonomia i big data, gli analytics e algoritmi vari per aumentare l’efficienza e abbassare i costi marginali di produzione, condividendo un’ampia gamma di prodotti e servizi praticamente a costo zero, allo stesso modo in cui oggi condividono le informazioni”, prevede Rifkin.

 

Una tendenza, quella del crescente ricorso allo sharing in rete di beni e servizi – ad esempio nel settore dell’energia, dei trasporti, della scuola, della sanità e in generale del no profit – che impatterà in modo consistente sul mondo del lavoro, promuovendo figure professionali più vicine al mondo del no profit che del profit.