AT&T-Vodafone: per Goldman Sachs eventuale fusione positiva in chiave anti-OTT

di Alessandra Talarico |

Secondo l’analista di Goldman Sachs, Tim Boddy, l’interesse dell’americana AT&T verso Vodafone, anche se più volte smentito, è alimentato dalla necessità di contrastare l’avanzata delle web company.

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Vodafone resta una delle ‘prede’ più appetibili della scena tlc mondiale: non ha un azionista di controllo e ha sede in un paese non contrario alle operazioni di fusione e acquisizione. Ha inoltre in cassa i proventi della vendita a Verizon Communications della sua quota nella joint venture Verizon Wireless. Vendita finalizzata lo scorso 21 febbraio e che ha portato all’operatore britannico 130 miliardi di dollari (58,9 miliardi in contanti e 60,2 miliardi in azioni oltre a 11 miliardi in altre transazioni).

L’interesse verso Vodafone, anche se è stato più volte smentito, resta alto per l’americana AT&T. Un interesse che secondo l’analista di Goldman Sachs, Tim Boddy, è alimentato dalla necessità di contrastare l’avanzata delle web company.

Alla base della sua analisi, Boddy mette innanzitutto il fattore ‘scala’: gli acquisiti di smartphone da parte di AT&T e Vodafone messe insieme rappresentano il 20% del fatturato complessivo che Apple genera dalle vendite di iPhone. Chiaro quindi che le la nuova società che prenderebbe vita da una fusione avrebbe dimensioni tali da garantire una forza contrattuale di non poco conto.

 

La storia, certo, ha dimostrato che le mega acquisizioni non hanno avuto esiti felici in termini di valore per gli azionisti, ma secondo Boddy quest’anno si assisterà a una nuova ondata di operazioni di questo tipo, perché “l’industria mobile deve far fronte a un ecosistema di fornitori concentrato come non mai, dominato da Apple e Google sia per quanto riguarda i sistemi operativi che i servizi”.

 

Goldman Sachs si attende anche un maggior numero di fusioni e acquisizioni ‘in-market’ nei prossimi due anni – un consolidamento che i garanti antitrust, soprattutto in Europa non sempre vedono di buon occhio perché, dicono, riducendo la concorrenza i prezzi ritornerebbero a salire e diminuirebbe la scelta per i consumatori. Gli operatori, tuttavia, devono investire nelle reti, anche perché smartphone e tablet impazzano e questo aumento del traffico va sostenuto con network performanti. Il tutto mentre gli operatori low-cost, come Free in Francia, scombinano le carte coi loro servizi a prezzi stracciati senza nemmeno avercela una rete.