Key4biz

Banda larga: il quadro regolatorio Ue non funziona. Impietoso il confronto con gli Usa

Europa


Mentre l’Europa si affanna a inseguire gli obiettivi fissati dalla Digital Agenda – molto ambiziosa ma, si è detto più volte, di difficile attuazione vista l’eccessiva frammentazione del mercato tlc europeo – gli Usa continuano a correre e ad incrementare il gap in termini di investimenti, tecnologie di nuova generazione, crescita dell’economia digitale.

Un divario che la Ue ha cercato di colmare con l’iniziativa per il Mercato Unico Digitale ma anche in questo caso, secondo il parere di Strand Consult, il pur encomiabile tentativo di sanare gli squilibri si è fermato a soluzioni ‘buoniste’ quali l’abolizione del roaming e l’enfasi sui benefici dell’app economy “senza affrontare questioni che necessiterebbero di una radicale riforma, quali l’eliminazione del modello cosiddetto del ‘ladder of investment’, la rimozione delle barriere al consolidamento e la riduzione delle possibilità di arbitraggio fiscale”.

 

Per enfatizzare le sue tesi, Strand Consult fa un raffronto tra gli Usa e l’Europa, concentrandosi sui vantaggi dell’approccio americano e sui risultati concreti ottenuti oltreoceano dove, per fare un esempio, si realizza circa un quarto degli investimenti in banda larga a livello globale, con i provider che investono il doppio di quelli europei e i cittadini che godono dei frutti di questi investimenti.

Il regime regolamentare europeo, nota la società di analisi, fa poco per incentivare gli operatori a investire, col risultato che fino a un decennio fa la Ue rappresentava un terzo degli investimenti nelle comunicazioni mentre oggi stiamo a meno di un quinto.

Inoltre, dice ancora Strand, l’approccio regolamentare ‘light’ adottato negli Usa per massimizzare gli investimenti in banda larga e innovazione ha permesso agli operatori di ottenere economie di scala, consolidarsi, guadagnare e investire.

L’approccio europeo, incentrato su accesso aperto e controllo dei prezzi, invece, “non è riuscito a incentivare gli investimenti nelle reti di nuova generazione in fibra ottica”. Al momento, il 75% degli europei accede a internet a banda larga solo grazie alle tecnologie DSL e, anche in grandi paesi come la Germania o il Regno Unito, la penetrazione non raggiunge ancora l’1%. L’Europa è quindi lontanissima dagli obiettivi della Digital Agenda, che prevede, tra le altre cose, di raggiungere la totalità della popolazione con almeno 30 megabit al secondo e almeno il 50% della popolazione con 100 megabit entro il 2020.

Oltreoceano, grazie alla leva degli investimenti nel broadband, l’economia digitale vale il 5% del PIL, mentre le esportazioni di beni e servizi digitali valgono 356 miliardi di dollari l’anno, la terza maggiore categoria in termini di export. Due terzi di queste esportazioni arrivano nella Ue, il che vuol dire che gli europei usano i motori di ricerca, i social network e le app americane, non quelle europee.

A ciò si aggiunga che 15 delle 25 maggiori internet company mondiali vengono dagli Usa e solo 1 è europea e che, mentre fino a 10 anni – all’epoca del GSM – fa sei produttori di cellulari europei rappresentavano la metà del mercato globale, oggi di quei produttori non ne resta neanche uno (anche Nokia, ultimo baluardo, è ormai di proprietà Microsoft) e nel 4G l’America ci ha decisamente superati.

 

A conclusione della sua analisi, Strand Consult sottolinea che “senza una riduzione della frammentazione del mercato europeo e senza consolidamento, possiamo solo aspettarci che il gap con gli Usa si allarghi ulteriormente”.

 

Le elezioni europee sono alle porte: resta solo da augurarsi che il nuovo Parlamento e la nuova Commissione accelerino con le riforme necessarie ad arginare il gap.

Exit mobile version