Android, un sistema ‘aperto’ ma con troppe restrizioni. La Ue indaga

di Alessandra Talarico |

Secondo il Wall Street Journal, Google obbligherebbe i produttori a precaricare nei loro smartphone una suite completa di servizi mobili targati Mountain View e a dare loro un posizionamento di primo piano, a svantaggio dei concorrenti.

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Android è davvero un sistema operativo ‘aperto’?

Alcuni documenti rivelerebbero che lo sarebbe solo in apparenza, visto che Google imporrebbe rigide condizioni ai produttori di smartphone che vogliono utilizzarlo, e la Commissione europea sta proseguendo nell’esame di queste restrizioni, per valutare un possibile, nuovo fronte di abuso di posizione dominante da parte della società californiana.

Secondo gli ultimi dati Gartner, con 758,7 milioni di smartphone venduti nel 2013 e una quota di mercato del 78,4%, in aumento rispetto al 66,4% del 2012, Android resta l’Os mobile più diffuso al mondo.

Ma Google avrebbe imposto rigide restrizioni ai produttori che sarebbero stati obbligati inserire di default nei loro smartphone l’accesso alle app e agli strumenti di ricerca Google, e in posizioni di primo piano. In questo modo, la società ha il pieno controllo delle attività degli utenti, che sono in qualche modo obbligati a usare il motore di ricerca Google, incrementando le entrate pubblicitarie.

 Un sistema di imposizioni che, oltre a contraddire la natura ‘aperta’ e procompetitiva di Android, contravverrebbe alle regole antitrust in vigore in Europa.

 

Per accedere al Play Store, dunque, i produttori di dispositivi Android come Samsung devono firmare con Google un “Mobile Application Distribution Agreement”. Come spiega il Wall Street Journal, i termini dell’accordo non sono stati svelati completamente ma alcuni elementi dei contratti sottoscritti da Samsung e HTC sono stati ammessi come prova durante una causa sui brevetti che vedeva opposti Google e Oracle.

Gli accordi risalgono al 2011-2012 e Google ne utilizza ancora di simili ma non è chiaro se le versioni attuali includono le stesse condizioni. Certo è che i due produttori, da contratto, sono stati obbligati a preinstallare sui loro smartphone una dozzina di applicazioni Google e a inserire come motore di ricerca di default Google Search. Dai documenti emerge inoltre l’obbligo di posizionare il motore di ricerca e il Play Store in una posizione ‘immediatamente adiacente’ alla schermata Home.

Condizioni che, di fatto, escluderebbero, penalizzandole, le app dei concorrenti (come il motore di ricerca Bing di Microsoft, ad esempio, o MapQuest di AOL).

 

E’ da dire, che alcuni produttori non hanno accettato i termini imposti da Google: Amazon, ad esempio, nel suo tablet Kindle Fire, usa una versione ‘personalizzata’ di Android, che non include Google Search, YouTube, Maps o il Play Store.

 

L’Antitrust europeo ha iniziato a indagare sulle presunte pratiche anticoncorrenziali di Google lo scorso anno, dopo la denuncia formale presentata da Fairsearch Europe, un gruppo che conta tra i suoi membri Expedia, Microsoft, Nokia, Oracle e TripAdvisor.

Google, dal canto suo, si è difesa all’epoca sottolineando che: “Android è una piattaforma aperta che favorisce la concorrenza. Produttori, operatori e consumatori possono scegliere come usare Android e quali app vogliono usare”.