Le due facce di TIM Brasil, tra vendita e scorporo della rete

di di Raffaele Barberio |

La partita di TIM Brasil vede fronteggiarsi due schieramenti opposti: uno favorevole alla cessione dell’asset brasiliano e al mantenimento della proprietà della rete, l’altro punta a scorporare la rete e restare in Brasile.

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Raffaele Barberio

Da alcune settimane TIM Brasil è al centro di un’attenzione pubblica senza precedenti e di un dibattito da cui emerge chiaramente la contrapposizione tra vendita di TIM Brasil e scorporo della rete.

TIM Brasil rappresenta l’asset estero più importante di Telecom Italia, ma opera nel paese sudamericano dove è presente con un’altra società mobile concorrente, Vivo, anche Telefonica, maggior azionista di Telecom Italia attraverso Telco.

 

Per questa ragione l’autorità Antitrust brasiliana ha intravisto un conflitto e ha posto obblighi precisi: Telefonica può stare in Telecom Italia se quest’ultima si libera di TIM Brasil. Altrimenti, Telefonica deve dismettere la propria partecipazione in Telecom Italia per poter controllare al 100% le proprie attività nel settore mobile brasiliano attraverso Vivo.

Il punto di vista di Telefonica sembra, al riguardo, molto chiaro: vendere TIM Brasil (al miglior offerente o con procedura di spezzettamento degli asset), per tenere la rete di Telecom Italia.

Il ricavato andrebbe a coprire il debito pregresso e la rete rimarrebbe il core delle operazioni di Telecom Italia.

In sostanza un no fermo di Telefonica allo scorporo della rete.

D’altra parte senza TIM Brasil e senza rete, cosa sarebbe Telecom Italia?  

 

Dalla parte opposta c’è Fossati (Findim), che nel corso degli ultimi giorni ha lanciato valutazioni al rialzo di TIM Brasil. Anche molto al rialzo, che è un po’ come dire: talmente alto che sarà impossibile trovare un acquirente. Un modo come un altro che esprime una precisa volontà di non vendere.

Il punto di vista di Fossati è chiaro: si manterrebbe TIM Brasil (che produce utili ed è in crescita) e si scorporerebbe invece la rete.

Telecom Italia si concentrerebbe, in questo modo, sui servizi di rete e manterrebbe “la gallina dalle uova d’oro” brasiliana.

 

In mezzo c’è il governo, che ha un posizionamento articolato.

Da un lato il Viceministro alle Comunicazioni, Antonio Catricalà, che parteggia per l’ipotesi di scorporo.

Un’ipotesi che riconoscerebbe alla nuova società di gestione della rete, la capacità di trasformarsi nella “gallina dalle uova d’oro”, questa volta italiana.

Quindi una buona operazione per il paese nel suo complesso, nella visione del viceministro, che da canto suo auspicherebbe il mantenimento dell’attuale controllo su TIM Brasil.

Dall’altro, il Presidente Enrico Letta che non ha espresso un orientamento preciso in materia, se non attraverso le iniziative stop&go di legge sull’Opa e di difesa della rete come “asset strategico” del Paese (Golden Power, peraltro contestato dalla UE).

 

A latere, la Cassa Depositi e Prestiti la cui posizione è formalmente distante dall’argomento, priva di un ruolo formalmente attivo, ma con un posizionamento che consiste “nell’essere nei pensieri di molti“, come soggetto deputato a guidare la nuova società della rete.  

 

Ma sul tavolo la partita preponderante in corso è forse, in questi giorni, un’altra.

E’ infatti impossibile immaginare che la ricerca di una nuova governance in seno a Telecom Italia non coinvolga direttamente i due schieramenti principali che fanno capo da un lato a Telefonica e dall’altro a Fossati e ai soggetti che lo sostengono.

Questo complica maledettamente la partita perché si tratta di due schieramenti che si posizionano su versanti apparentemente inconciliabili, se rapportati alla madre di tutte le battaglie che è rappresentata, appunto, dalla vendita o meno di TIM Brasil.

Una partita tutta da seguire.