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#ddaonline, Arturo Di Corinto: ‘L’Agcom deve fermarsi. Serve una legge’

Italia


Per noi autori che viviamo anche di diritto d’autore, è sempre difficile spiegare perché siamo contrari ai “giri di vite” sul copyright. Ma il motivo è semplice: noi autori vogliamo esser tutelati nel nostro lavoro, ma non vogliamo che questo accada a discapito delle libertà altrui.

Il risultato del nostro lavoro in quanto giornalisti, scrittori, intellettuali, è sempre uno strano ibrido tra il talento che esprimiamo e la possibilità di usare quello che altri hanno detto, fatto, scoperto e raccontato. Il nostro lavoro riguarda la capacità di combinare in maniera creativa elementi noti, e riposa grandemente sulla capacità di usare il patrimonio culturale preesistente. Il lavoro che ne risulta è esso stesso sempre manifestazione del diritto all’informazione, all’innovazione, alla ricerca, alla critica, che sono l’altro polo del diritto d’autore. Nel mondo della creatività questi diritti procedono insieme e non possiamo affermare che uno conti di più di un altro.

 

Siamo consapevoli che l’industria culturale è in crisi, cronica, e che l’utilizzo abusivo delle opere d’ingegno anche nostre, ne danneggi i profitti mettendo a rischio l’equilibrio precario tra la produzione di nuove opere e il ritorno economico da esse generato anche per chi ci aiuta a portarle al pubblico. Gli stipendi sono sempre più bassi, saggi e articoli vengono pagati meno, spesso al nero o con un fuori busta; gli stagisti lavorano gratis e dalla pubblicazione dei libri non si guadagna tranne che con i bestseller. Inoltre sappiamo che non sarebbe neanche giusto farci pagare due volte il nostro lavoro quando rilasciamo un prodotto accademico che gli studenti devono “riacquistare”.

 

Noi autori non siamo contro la Siae, ma riteniamo giusto chiederne lo svecchiamento. Non siamo contro gli editori, ma gli chiediamo una più giusta ripartizione dei diritti. Non siamo contro l’innovazione, ma vogliamo contribuirvi. Noi non siamo contro il diritto d’autore che riconosce, tutela e valorizza il nostro lavoro. Per questo usiamo anche le licenze Creative Commons. E non stiamo dalla parte dei “pirati”, che in verità sono quelli che assaltano le navi, e sappiamo che il problema non è costituito dai ragazzini che si scambiano via P2P le nostre opere, ma dalle centrali del crimine che fanno soldi con la contraffazione del lavoro altrui.

 

Quello che non ci piace è invece vedere la legge piegata a interessi di parte. Poiché riteniamo che i tribunali ordinari e le forze di polizia già fanno il loro mestiere (spesso anche bene), non riteniamo giusto che l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni si arroghi il diritto di regolare il mondo degli scambi via Internet come si propone di fare con la famigerata bozza di Regolamento contro la pirateria online che potrebbe essere varata domani 12 dicembre.

 

Personalmente sono molto d’accordo con chi ritiene che sia il Parlamento a dover intervenire sulla delicata questione della repressione della violazione del diritto d’autore online, con una riforma della legge del 1941 e delle successive modifiche. In questo senso accolgo molto favorevolmente gli autorevoli pareri dei presidenti di Camera e Senato Boldrini e Grasso. Devo dire inoltre che non ritengo che l’Agcom possa svolgere tre parti in commedia: regolatore, inquirente e giudicante e perciò ritengo che la proposta del senatore PD, Felice Casson, di fronte alla quale l’Autorità dovrebbe fermarsi, vada nella giusta direzione. Il ddl Casson prevede, infatti, la depenalizzazione del reato quando non a fini di lucro, l’abbattimento delle finestre temporali per la commercializzazione delle opere, l’affidamento agli Interni dell’applicazione delle sanzioni in raccordo con la magistratura.

 

Quello che mi piacerebbe che si capisse, come ha chiarito bene Frank La Rue, l’inviato speciale per la libertà d’espressione e d’informazione in visita in Italia, che la difesa della libertà d’impresa e il legittimo tornaconto economico dei titolari dei diritti, cioè anche il mio, non può essere usato come una clava per stroncare altri diritti: alla privacy, alla manifestazione del pensiero, alla comunicazione.

 

Infine, scusate se lo dico con franchezza: non crediamo che i titolari dei diritti si limiteranno a denunciare abusi massivi senza chiedere di perseguire i singoli scambi o i singoli downloader. Il loro “curriculum” non ce lo fa sperare. E, infine, non possiamo riporre eccessiva fiducia nella terzietà dell’Authority. Sappiamo che la sua composizione è frutto di una lottizzazione politica e sappiamo che seppure i singoli commissari siano competenti, non sono indipendenti, e non sempre sono stati in grado di resistere alle pressioni di lobby organizzate.

 

Perciò la proposta è una sola: mettiamoci insieme, titolari dei diritti, Siae, organizzazioni di categoria e comitati ministeriali e troviamo insieme il modo di tutelare gli interessi di tutti e di “far progredire la società”, che è l’unico motivo per cui gli stati concedono il privilegio del copyright ai loro cittadini-autori. Sedersi intorno a un tavolo non è espressione di debolezza, ma di saggezza. Ed è l’unico modo per evitare di creare un clima di sospetto, che criminalizza i più giovani e può indurli a comportamenti clandestini difficilmente individuabili. Già oggi la gran parte degli scambi illeciti avviene nel deep web. La repressione di quello che si agita in superficie non basta. Occorre creare una nuova cultura, basata sul rispetto di chi lavora.  

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