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Le startup israeliane fanno il pieno di investimenti esteri

Israele


Le startup israeliane sono finite nel mirino degli investitori esteri, soprattutto americani. Un movimento simile non avveniva dal 2000, dallo scoppio della bolla internet. Nel terzo trimestre 2013, le aziende innovative israeliane hanno ricevuto 660 milioni di dollari, segnando una crescita del 34% rispetto al 2012, secondo IVC Research Center, il principale centro di ricerca in Israele dedicato al settore.

Tra il 2003 e il 2011, sono state vendute nove startup a investitori esteri per oltre 400 milioni di dollari. Quest’anno sono già sei.

L’interesse dei giganti americani dell’hi-tech, in particolare americani, continua a rimanere alto.

L’ultima acquisizione in ordine di tempo è di PrimeSense, l’azienda dei creatori di Kinect, comprata a fine novembre da Apple per 360 milioni di dollari.

Qualche settimana prima, Facebook ha rilevato Onavo, per oltre 150 milioni di dollari.

A settembre, IBM ha completato l’acquisizione del fornitore di servizi di sicurezza informatica Trusteer per un miliardo di dollari e ad agosto Google ha integrato l’applicazione GPS mobile Waze al proprio servizio di mapping.

Nel frattempo sempre più aziende hi-tech di origine israeliana hanno deciso di quotarsi sui mercati esteri, in particolare al Nasdaq o al London Stock Exchange.

 

Yossi Vardi, uno dei primi imprenditori hi-tech israeliani, osserva che “il settore è in piena espansione, specie negli USA, dove importanti fondi stanno investendo nelle tecnologie“.

“I grandi attori del mercato sono in forte competizione, alla ricerca di nuove aziende innovative, e vengono in Israele per trovarle e acquistarle”.

 

“La maggior parte degli investimenti arrivano dall’estero e soprattutto dai fondi di venture capital americani”, sottolinea Koby Simana, direttore del centro di ricerche IVC.

 

La stretta collaborazione tra le startup e le università israeliane come il Technion (Istituto di tecnologie), spiega in gran parte il successo di Israele in questo campo.

Lo scorso anno anche l’Italia ha stretto un accordo con il governo israeliano per una più forte collaborazione nel settore dell’innovazione tecnologica.  

Una zona situata tra Haifa e il nord di Tel-Aviv, che si estende per un centinaio di km, è stata soprannominata la ‘seconda Silicon Valley’, per via dell’alta concentrazione di startup, centri di ricerca e sviluppo che arrivano a quasi 300.

 

Aziende come Intel, IBM, Microsoft e Yahoo! hanno aperto i loro uffici introno al Technion e reclutano direttamente gli studenti anche prima che abbiano finito il loro corso di studi.

 

Ma qual è la chiave del successo israeliano?

 

Questi giovani sono ambiziosi, non hanno paura di correre dei rischi, vogliono continuamente innovare. E’ questo tipo di mentalità, ancora di più rispetto ad altri fattori citati solitamente – progresso tecnologico, dotazioni informatiche, afflusso di capitali pubblici e stranieri – che spiega ampiamente il successo del modello israeliano“, indica Vardi, uno dei membri del consiglio d’amministrazione di Technion.

 

Alcuni analisti ritengono tuttavia che gli acquisti massici di startup israeliane da parte di grandi gruppi stranieri limitino le ricadute positive del settore per l’economia israeliana nel suo insieme.

 

“E’ vero che ci sono state alcune ‘uscite’ (acquisti per somme notevoli da parte di grosse multinazionali) spettacolari, ma nella maggior parte dei casi, gli imprenditori che sono riusciti a mettere queste startup in piedi, ne hanno create altre e ricominciato il ciclo, creando ricadute positive per l’economia israeliana“, replica Koby Simana.

In aggiunta: “Non conosco altri settori economici in Israele che attirano investitori stranieri dai mercati americani, europei e asiatici“.

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