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Sicurezza e geopolitica. Anche in Australia cartellino rosso per Huawei

Australia


Lo spauracchio della Cina e i timori per la sicurezza delle comunicazioni si diffonde a macchia d’olio nel mondo. Dopo il cartellino rosso nei confronti di Huawei (ma anche di Zte) negli Usa (Leggi articolo Key4biz) e lo scetticismo dell’India nei confronti dei produttori cinesi,  anche in Australia Huawei viene esclusa dal novero dei potenziali vendor per la realizzazione della rete nazionale a banda larga. Il primo ministro australiano Tony Abbott ha confermato l’esclusione del vendor di Shenzen dalla lista dei provider di apparecchiature di rete per la realizzazione del National Broadband Network, un progetto da 36 miliardi di dollari per la realizzazione di una rete nazionale a banda larga in fibra del paese dei canguri.

 

Un atteggiamento, quello australiano, diametralmente opposto a quello adottato dal premier italiano Enrico Letta, dopo l’annuncio di investimenti di 1,1 miliardi di euro di investimenti nel nostro paese da parte del produttore di Shenzen (Leggi articolo Key4biz).

 

La Commissione Europea, dal canto suo, da tempo ha messo sotto la lente la politica di prezzi di Huawei e di Zte, su cui pende il sospetto di praticare pratiche commerciali sleali e dumping sui prodotti venduti nel Vecchio Continente (vedi articolo Key4biz).

 

Il caso Australia. In una lettera inviata al leader dell’opposizione Bill Shorten, il primo ministro Abbott esclude la possibilità che il governo possa rivedere l’esclusione del vendor cinese dal progetto. Lo rende noto oggi The Australian, il quotidiano più diffuso del paese, dopo che nei giorni scorsi il ministro delle Comunicazioni Malcolm Turnbull aveva lasciato aperto uno spiraglio sulla possibilità che il nuovo governo in carica potesse cambiare idea e aprire le porte a Huawei, esclusa dalla partecipazione ai bandi per il roll-out della nuova rete dal precedente governo laburista guidato da Julia Gillard su segnalazione della Australian Security Intelligence Organisation (Asio).    

 

Nella lettera si spiega la decisione venne presa all’epoca per ragioni di “sicurezza nazionale, in base allee esclusioni delle agenzie per la sicurezza che rimangono valide”. L’azienda cinese sperava che dopo il cambio di governo a settembre le autorità australiane rivedessero la loro posizione.

 

La decisione di Canberra di “bannare” Huawei in Australia non lascia indifferente l’azienda cinese, che ammette di avere un problema di immagine a livello internazionale, visto che il suo fondatore in passato ha ricoperto cariche di rilievo all’interno delll’apparato militare di Pechino. Il problema, però, non riguarderebbe né il rischio di spionaggio industriale né la sicurezza delle reti. “Non credo che ci sia un problema di percezione nei nostri confronti – dice Colin Giles, ex manager di lungo corso in Nokia, in Huawei con la carica di executive vice president marketing, retail e open channel development – è interessante notare che i produttori cinesi sono tutti low cost. Questo è un problema che dobbiamo superare”. Soprattutto perché Huawei, che è il secondo produttore mondiale di apparati di rete dopo Ericsson, sta puntando all’espansione nel settore degli smartphone, in particolare negli Usa e in Europa. Un settore, quello degli smartphone, nel quale Huawei sta crescendo in modo aggressivo, atteastandosi oggi al terzo posto globale nella classifica dei vendor alle spalle di Samsung e Apple. Secondo stime di Strategy Analytics, la casa cinese detiene una quota del 5,1% del mercato, con 12,7 milioni di device venduti nel trimestre luglio-settembre.

 

John Lord, chairman di Huawei in Australia, in una lettera inviata a tutto il personale dell’azienda ha espresso “forte delusione” per la decisione del governo. Lord ha però ribadito che il business di Huawei in Australia non è mail stato vincolato al progetto Nbn. “Nonostante la decisione che riguarda la Nbn, l’anno scorso abbiamo registrato la nostra miglior performance in Australia, il 50% degli australiani hanno prodotti Huawei in diversi settori delle Tlc”, sostiene Lord, aggiungendo che il personale occupato nel paese è passato da una ventina di persone nel 2004 a più di 700 persone oggi, di cui l’85% sono australiani.

 

Lord ha precisato che non ci sono mai state prove di alcun tipo che l’azienda o la tecnologia prodotta abbia procurato alcun rischio per la sicurezza. Lord infine ha detto che Huawei sta lavorando a otto diversi progetti per reti banda larga nazionali a livello globale, fra cui quelle di Regno Unito, Singapore, Malesia e Nuova Zelanda.

 

“La decisione su Huawei avrà sicuramente delle conseguenze sul libero scambio commerciale fra fra Cina e Australia”, ha detto un diplomatico cinese sotto anonimato. “Perché dovremmo concedere un miglior accesso alle aziende australiane in Cina di quanto no concedano alle nostre?”. 

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