Datagate, tutti contro tutti. Spiato anche il Papa?

di Paolo Anastasio |

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Tutti contro tutti. L’affaire Datagate si sta trasformando in uno scambio di reciproche accuse planetario, che coinvolge tutti e getta un’ombra sui rapporti diplomatici fra gli Usa e i suoi alleati. Intanto, secondo rivelazioni pubblicate da Panorama domani in edicolo, anche Papa Bergoglio sarebbe stato intercettato fin sulla soglia del Conclave.

Datagate, spiato anche il papa?

Le spie della National security agency avrebbero intercettato anche il Papa. Lo scrive Panorama nel numero in edicola domani. Nelle 46 milioni di telefonate tracciate dagli Usa in Italia – tra il 10 dicembre 2012 e l’8 gennaio 2013 – ci sarebbero anche quelle da e per il Vaticano. Il timore è che siano state intercettate le conversazioni fin sulla soglia del Conclave. Da Oltretevere, però, arriva una secca smentita. “Non ci risulta nulla su questo tema e in ogni caso non abbiamo alcuna preoccupazione in merito”, ha detto padre Federico Lombardi.


Secondo Panorama, tra le telefonate intercettate, ci sarebbero anche quelle in entrata e in uscita dalla Domus Internationalis Paolo VI a Roma, dove risiedeva il cardinale Jorge Mario Bergoglio insieme con altri ecclesiastici.

Bergoglio era già stato controllo in precedenza dall’intelligence Usa nel 2005, secondo rivelazioni di Wikileaks.

 

L’Nsa al contrattacco: “Intercettazioni fornite dai paesi europei”

Dagli Usa, Keith Alexander, numero uno della Nsa (National Security Association), ha tirato in ballo gli alleati, furiosi per le pesantissime rivelazioni dei giorni scorsi che parlano di milioni di conversazioni di ignari cittadini e leader politici (fra cui Angela Merkel) registrate. Alexander ha dichiarato che “Le informazioni sui cittadini europei non sono state raccolte da noi, ma fornite dai nostri partner del Vecchio Continente”. Sembra inoltre che anche Washington sia costantemente spiata: durante un’audizione al Congresso, un alto funzionario dell’intelligence Usa ha detto che anche gli alleati europei spiano i leader e i servizi segreti americani.

Anche Vladimir Putin, l’ultimo a finire nell’occhio del ciclone con l’accusa da parte dell’Ue di aver donato ai leader europei all’ultimo G20 di San Pietroburgo (vedi articolo Key4biz) dei gadget spia (chiavette Usb e cavi), non ci sta e rispedisce le accuse al mittente. Ier a stretto giro è arrivata la replica del Cremlino, secondo cui le accuse di spionaggio nei confronti della Russia sono soltanto “un chiaro tentativo di sviare l’attenzione da un problema realmente esistente, l’attività di spionaggio Usa oggetto di discussione ora tra le capitali europee e Washington”, ha replicato Dmitri Peskov, portavoce di Putin. 

Dalle analisi effettuate finora sui gadget russi dati ai leader del G20 non risultano particolari minacce. Lo ha detto il portavoce della Commissione europea Frederick Vincent precisando che le analisi sono ancora in corso e che si tratta di una procedura standard dopo una missione in un paese terzo. “I risultati delle prime analisi non rilevano minacce particolari”, ha detto il portavoce, dopo l’uscita ieri di notizie di stampa, smentite da Mosca.

 

In tutto questo, il presidente Barack Obama sostiene che era all’oscuro di tutto. Secondo il Wall Street Journal, l’Agenzia per la sicurezza avrebbe messo fine al programma di spionaggio questa estate, dopo che la Casa Bianca, su esame dell’Amministrazione Obama, è venuta a conoscenza dei fatti. Ma per cinque anni 35 leader mondiali, Angela Merkel inclusa, sono stati monitorati.

Intanto ieri il premier Enrico Letta ha deciso di fare chiarezza sulla questione, dando mandato al sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega per la sicurezza della Repubblica, Marco Minniti, di convocare per domani, 31 ottobre, alle 10,00, il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (Cisr) (vedi articolo Key4biz). All’ordine del giorno, “questioni inerenti alla sicurezza delle telecomunicazioni, alla luce del caso Datagate e delle rivelazioni sullo scorso G20”, si legge in una nota di Palazzo Chigi.

 

Gli 007 Usa furiosi con la Casa Bianca

 

L’intelligence americana, visto l’atteggiamento di Obama, è furiosa con la Casa Bianca. Lo scrive oggi il Los Angeles Times in un pezzo dal titolo ‘Per i funzionari dello spionaggio, Obama diede il suo ok al controllo dei leader Ue’. L’articolo contiene lo sfogo di diversi 007 americani, in forma anonima, ai quali non è andato giù il modo in cui l’inquilino della Casa Bianca si sta smarcando dallo scandalo provocato dalle rivelazioni della ‘talpa’ Edward Snowden, tentando di dare a loro tutta la colpa.

 

“Barack Obama ci ha abbandonato al nostro destino, prendendo le distanze da questo scandalo. Il presidente – prosegue questa fonte – potrebbe non aver ricevuto briefing specifici sullo spionaggio dei leader, come dice la Nsa. Ma certamente tutto il Consiglio Nazionale della Sicurezza della Casa Bianca sapeva cosa stava accadendo. Sostenere il contrario è semplicemente ridicolo”.

 

Altre fonti citate dal giornale ammettono di non sapere esattamente come sono andate le cose per quanto riguarda l’ascolto delle telefonate dei leader. Tuttavia, spiegano quali sono le procedure che regolano questo tipo di operazioni. “Ancora non è chiaro – raccontano due ex alti funzionari dell’intelligence – come è stata condotta questa sorveglianza. Ma se un leader straniero si trova sotto controllo e le sue telefonate sono intercettate, il relativo ambasciatore degli Stati Uniti nel Paese alleato e il membro del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca che si occupa dei rapporti con questi Paesi certamente ricevono rapporti regolari”.

 

Insomma, come spiegano queste fonti, “qualsiasi decisione di spiare i leader stranieri di Paesi amici viene assunta con il contributo del Dipartimento di Stato, che è tenuto a considerare il rischio politico dell’operazione. Qualsiasi informazione raccolta considerata utile viene quindi consegnata alla Consigliere del Presidente per la lotta al terrorismo Lisa Monaco, a lei come ad altri funzionari di spicco della Casa Bianca”.

 

E da queste poche parole si capisce quanto alta sia la tensione tra i diversi apparati del governo americano. Ormai a Washington è già cominciata la lotta per trovare un capro espiatorio, una testa da far rotolare, a cui attribuire ogni responsabilità, in modo da calmare la rabbia degli europei e contemporaneamente cercare di salvaguardare il più possibile l’immagine già offuscata del presidente Barack Obama.