‘No woman no drive’: il web a sostegno delle donne saudite. Spopola il video che ironizza sul divieto di guida

di Alessandra Talarico |

Le donne dell’Arabia saudita reclamano una libertà per noi scontata: quella di guidare. Poche le donne che hanno aderito alla giornata di protesta del 26 ottobre per sfidare un divieto unico al mondo. Contro di loro dati ‘scientifici’ deliranti.

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“Siamo così immersi nella nostra piccola palude nazionale da dimenticarci che a pochissima distanza da noi, praticamente appena fuori dall’uscio, c’è un luogo chiamato mondo”. Così Michele Serra, su La Repubblica, invita stamani a festeggiare “la coraggiosa ribellione delle saudite al volante”, che definisce una “sfida a una delle tante amputazioni che le femmine non vogliono più subire”.

Difficile non essere d’accordo. Così com’è non si può non condividere la riflessione di Rothna Begum di Human Rights Watch, secondo cui “…è difficile immaginare che, nel XXI secolo, l’Arabia Saudita voglia continuare a impedire alle donne di guidare”.

 

Difficile immaginarlo, eppure una realtà. Un divieto – quello che impedisce alle donne di guidare – unico al mondo e contro cui hanno cercato di ribellarsi le donne saudite lo scorso 26 ottobre. Poche decine, in realtà, hanno aderito alla giornata di ‘mobilitazione’ per il diritto delle donne di guidare, scandita dallo slogan ‘Dio non ha detto che non posso guidare’. Molte, troppe, hanno ceduto alle pressioni delle autorità che hanno minacciato di utilizzare, contro chi avesse trasgredito, le pene previste per i dissidenti politici.

 

Il consulente legale e psicologo dell’associazione psicologi del Golfo Sheikh Saleh al-Lehaydan ha addirittura evocato dati scientifici secondo cui “la guida delle donne danneggia le ovaie, il bacino e compromette la fertilità”. Le donne al volante, secondo lo psicologo, partorirebbero dunque bambini “affetti da disfunzioni cliniche di diverso grado”.

 

Affermazioni deliranti, per chi segue la vicenda dall’esterno, ma che nel Paese sono diventate il pretesto per frenare quest’anelito di libertà: più  di cento i religiosi ultraconservatori che hanno chiesto di fermare quella che hanno definito “l’occidentalizzazione delle donne”, evocando un complotto e lo “zampino dello straniero” .

 

Le donne che hanno comunque sfidato il divieto sono state fermate dalla polizia e costrette – insieme ai loro tutori (padri, mariti, fratelli) – a firmare una dichiarazione in cui si impegnavano a non reiterare il reato. In rete, però, sono stati postati molti video di donne alla guida nel giorno di protesta, mentre su YouTube sta spopolando il video satirico “No woman, no drive“, parodia delle celebre “No woman, no cry” di Bob Marley, realizzata da Hisham Fageeg e che in meno di 48 ore ha superato quota 3,5 milioni di visualizzazioni.

La petizione online per reclamare l’annullamento del divieto ha raggiunto intanto le 16 mila firme, mentre la campagna @oct26 su Twitter ha superato i 40 mila follower.

 

Il divieto di guida è entrato in vigore ai tempi della guerra del Golfo con un decreto ministeriale con cui venne soltanto ‘formalizzata’ una consuetudine radicata nel Paese. Consuetudine che le donne saudite cominciarono a sfidare sulla scia dell’esempio delle tante soldatesse Usa che guidavano Jeep o camion. Da lì nacque la prima protesta delle donne: una cinquantina quelle che si misero al volante e che, di conseguenza furono arrestate. La protesta, lungi dal sortire gli effetti sperati, sfociò infatti in una fatwa che divenne la base del divieto ancora in vigore.

 

Anche nel 2011, in piena ‘primavera araba’, le donne decisero che era giunta l’ora di sfidare il divieto, pagando col carcere la loro voglia di libertà: ne è l’esempio la giovane Manal Alsharif, che sfidando i pubblicò in rete un video di sé stessa alla guida, invitando tutte le donne saudite a imitarla e ad attivarsi con la campagna Women2Drive. Manal venne arrestata e carcerata per nove giorni con l’accusa di “infangare la reputazione del regno all’estero” e di “sobillare l’opinione pubblica”.

 

L’unico progresso registrato a oggi è la possibilità di girare per strada in bici, una ‘concessione’ che sa di beffa per le donne saudite, che possono salire in sella per girare nei parchi, sul lungomare e in altre aree, ma sempre a condizione che siano vestite in modo ‘modesto’ e che siano accompagnate da un custode di sesso maschile.

Per la ‘vera’ libertà, quella che per noi è quasi scontata, la strada è ancora lunga.