#ddaonline: la delegittimazione di Agcom quale ‘gioco a somma zero’ contro il diritto di proprietà

di di Giulia Arangüena |

Italia


Giulia Aranguena de La Paz

La consultazione pubblica di AGCOM sul Regolamento per la disciplina del copyright sulle reti elettroniche è entrata nel vivo e il dibattito, di conseguenza, si sta intensificando.

Purtroppo però, secondo la mia opinione, non si vede alcun rafforzamento delle argomentazioni e del livello concettuale e giuridico delle opinioni espresse. Ma si assiste, soltanto, a un desolante confronto – quasi ad un soliloquio – in cui predominano congetture ideologiche e metagiuridiche di un’unica parte o area di pensiero, squadernate finanche sulla stampa nazionale con la forza dei “galloni accademici” a coprire posizioni partigiane, interessi “piccoli piccoli” e di lobby.

Nulla di male, se tali interessi di parte e le idee che li esprimono fossero declinati con chiarezza prima di contribuire al dibattito. E nulla di male se gli interessi di tutte le parti in “conflitto” fossero pariteticamente rappresentati. Anzi, ben venga il pluralismo ad arricchirci tutti e a rendere la consultazione pubblica quell”efficacie strumento preventivo di mediazione e contemperamento equilibrato di interessi per cui è stata introdotta nell’ordinamento.

 

Invece qui, a parte gli slogan, nulla viene chiarito e neppure è reso adeguatamente manifesto – come invece dovrebbe – che il diritto d’autore on line, in poche e semplici parole, è una delle infrastrutture immateriali più importanti della Rete per aversi un’economia dell’Internet con un recupero di modelli di business plausibili, e che ciò dovrebbe meritare quanto meno uno sforzo comune al di là delle contrapposizioni alimentate senza costrutto.

Così, tra molteplici mistificazioni pare esservi la certezza del solo “fuoco incrociato” contro un’Autorità Indipendente che ha l’ardire di voler fare qualcosa in un Paese completamente bloccato. Anche se poi, in realtà, il bersaglio (ideologico) non è AGCOM. Bensì le “terribili” ed avide Major che invocherebbero una disciplina sul copyright in Rete per continuare a fare profitti a danno di quei “buontemponi” dell’Internet meritoriamente affaccendati in atti di pirateria digitale su film, tracce musicali, e-book, riviste on line, e tutto ciò che è frutto di altrui creazione intellettuale, in nome di una superiore libertà d’espressione e manifestazione del pensiero per la crescita della conoscenza collettiva (e poco importa se, intanto, i novelli Robin Hood 2.0 fanno pure commercio elettronico della creatività rubata ad altri).

 

Pertanto, se volessimo a questo punto fare una sintesi del “dibattito”, si potrebbe dire sinteticamente che il Regolamento sul copyright on line “non s’ha da fà” punto e basta:

1) perché favorisce i “cattivi”, cioè i titolari dei diritti d’autore (che non sono, affatto, sole le “Major”, ma anche tutti coloro che di prodotti creativi e contenuti artistici ed intellettuali tentano di “camparci” e vorrebbero poter investire sul Web se non fosse ancora “Far Web”); e

2) perché – udite udite il solito refrain nazionale – ci vorrebbe una legge del Palamento, l’ennesima, “aggiuntiva” di altra mini-riforma del diritto d’autore, essendo “legalmente inappropriato” un atto di un’Autorità Indipendente istituzionalmente deputata al governo ed al controllo delle reti di comunicazione e di tutti i soggetti che vi operano.

 

In tale prospettiva, mi pare ci sia tutto per poter concludere che si sta velocemente consumando un gioco a somma zero; giacché, a mio sommesso avviso, invocare un’ulteriore legge, in una condizione di stallo politico come il nostro, equivale, realisticamente, a non voler fare nulla spostando ancora in avanti, magari di qualche altra generazione, il problema di un diritto d’autore 2.0 che non c’è, e non “c’ha da essere” neppure in abbozzo o in via mediata (parziale e limitata), attraverso una primissima iniziativa regolamentare.

 

Sicché, visto che la faccenda del diritto d’autore on line sta andando avanti da un certo numero di anni, e che il primo tentativo fatto dalla passata consiliatura di AGCOM si è miseramente arenato (anche) per questa medesima operazione di delegittmazione dell’Autorità a cui stiamo ancora assistendo, più o meno con le medesime argomentazioni di qualche anno fa, è lecito a questo punto domandarsi: ma a chi fa comodo che un diritto d’autore 2.0 non ci sia neppure in nuce?

 

Dobbiamo convenire tutti che le “Major”, o meglio tutti i titolari dei diritti d’autore “analogici” abbiamo un interesse concretamente riconoscibile a che i loro diritti possano essere protetti e tutelati anche sul Web quando scelgono di smaterializzare per via digitale i loro contenuti e sfruttare le potenzialità economiche di Internet.

 

Ma gli altri?

 

Chi sono quelli che si oppongono anche ad un modesto primo intervento in questo importante settore, da parte di un’Autorità Indipendente dello Stato con “delega” al controllo delle reti di comunicazione elettronica?

Le argomentazioni giuridiche sulla presunta mancanza di poteri in capo ad AGCOM in materia de qua, almeno per quanto riguarda il copyright on line sui contenuti audiovisivi, sono davvero labili e smentite da interpretazioni francamente meno offuscate da interessi di parte (parere del Prof. Avv. Oreste Pollilcino della Bocconi, reperibile qui). E può ritenersi, quindi, che lo “scorrimento” del dibattito in atto non si debba più limitare a disquisizioni, più o meno dotte, sui poteri dell’AGCOM, posto che, secondo me, questi rappresentano solo un falso problema e nulla più.

 

Ma poiché si continua ad agitare la bandiera della delegittimazione, probabilmente, è il caso di fare alcune precisazioni di massima e, soprattutto di metodo, essendo arrivato il momento di chiamare le cose con il loro nome e capire chi e, soprattutto, perché vengono alimentate le ostilità avverso questo primo tentativo (probabilmente difettoso di buoni consiglieri giuridici maggiormente avveduti sulle tecniche redazionali delle norme) di gettare una qualche base sul diritto d’autore on line.

A questo proposito sfugge – per l’ostinazione a tenere basso il livello della discussione – che il nocciolo della questione non è AGCOM ed il presunto difetto dei suoi poteri regolamentari, considerato che qui si controverte della possibilità di imprimere, anche in Rete, un modello al rapporto tra un bene e la conseguente utilità economica da un lato, ed il suo titolare dall’altro e, quindi, più semplicemente, di poter trasporre sul Web il medesimo schema del diritto di proprietà privata nel quale tradizionalmente si colloca il diritto d’autore.

E visto che di ciò fondamentalmente si tratta, sarebbe utile – a mio avviso, tenere in maggior conto che è cruciale, non dandosi altri modelli economicamente credibili, mantenere nell’abito di uno schema di diritto proprietario il diritto d’autore sui contenuti intellettuali che vengono pubblicati in Rete.

La cyberproperty esiste e c’è un ampio framework legale nazionale, sovrannazionale ed internazionale con il quale è possibile tutelare e disciplinare il diritto d’autore sulle reti italiane di comunicazione elettronica. Ma mancano regole di secondo livello che offrano concretamente la possibilità di accedere ad un ulteriore fronte di disciplina e tutela.

L’evoluzione del diritto proprietario è un fatto, siamo tutti d’accordo, e si sono già da tempo affacciati modelli diversi quali ad esempio quelli dei c.d. beni comuni (in inglese, appunto, i “commons“) che danno luogo a diritti “sociali” e condivisi. Ma, anche senza affrontare la vastità delle tematiche economiche e giuridiche sottese, è evidente che il richiamarsi implicitamente a teorie idonee a regolare le risorse scarse o i beni pubblici (non appropriabili e non sottraibili) non sia concettualmente adeguato per il diritto d’autore per il sol fatto che ve ne è una utilizzazione smaterializzata per via telematica e tecnologica.

 

La c.d. Western Legal Tradition (contro la quale il Prof. Lessig, con le sue licenze di Creative Commons, ha lanciato la sua sfida) ha già da tempo dimostrato che il diritto può – con gli strumenti e le concettualità per così dire “tradizionali” – approcciare ed agevolare la diffusione dei fenomeni tecnonologici per renderli economicamente praticabili. Si pensi, ad esempio, a quanto è accaduto in tema di contratti telematici che hanno impegnato la dottrina giuridica sin dal profilarsi delle nuove forme negoziali on line, per riuscire a collocare, nell’ambito della teoria generale dei contratti, i nuovi scambi commerciali su Internet e rendere giuridicamente sicuri e affidabili le nuove forme di negoziazione a distanza e aprire la nuova frontiera dell’e-commerce. Si pensi ancora a quanto è successo con i nomi a dominio, che sono stati qualificati nel contesto dei segni distintivi di un’impresa ed oggetto di diritto di proprietà industriale.

Ma, probabilmente, nel caso di specie, trattandosi della più negletta tra le virtù umane, la creatività, il tentativo fatto con molta nonchalance e neppure a viso aperto è quello di rimettere in discussione proprio l’istituto della proprietà privata per renderla “commons”, anzi, visto l’argomento, appunto, “creative commons“, collettiva dunque; sulla base di una visione concettuale aprioristica della Rete o del Cyberspace, come si preferisce, nella quale il diritto deve essere inibito dalla possibilità di integrare il Web nel mondo reale per potervi applicare le stesse regole che valgono off-line; ovvero nella quale non può esservi neppure un’interazione tra Internet e diritto in nome di una prevalenza, tutta da dimostrare, del solo aspetto tecnologico quale unico strumento di controllo, capace di soggiogare strutture sociali, diritto e mercato (a vantaggio di pochissimi “eletti”, nel senso vero di unti dal Signore).

 

Tuttavia, al di là di ciò che si agita in maniera implicita e troppo poco manifesta sotto il dibattito in atto sul diritto d’autore on line, e che non è neppure portato alla luce adeguatamente come meriterebbe, ritengo in tutta franchezza che la Rete non sia solo infrastruttura materiale, o questione di fibra e di potenza e velocità di connessione.

Talché, parlare di copyright on line e cominciare a renderlo possibile, anche in primissima e primordiale fase, probabilmente, vale qualche sforzo di lungimiranza per ottenere un nuovo e più affidabile ambiente di mercato, posto che non mi pare più tollerabile, per mancanza di regole di secondo livello, farsi morire in mano l’occasione di utilizzare l’immenso mercato di Internet, mantenendolo insicuro e poco affidabile dal punto di vista economico come è tuttora in buona parte.