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Scuola e internazionalizzazione, un’Italia a due velocità. Le tecnologie consentono di recuperare il gap

Italia


Gli adolescenti italiani sono meno internazionali dei coetanei europei a scuola e nella vita: indice di apertura all’estero pari a 27,5 punti, battuti da polacchi, francesi, tedeschi, spagnoli e svedesi (media europea: 31,9).

E’ quanto emerge dalla ricerca “Generazione I…n Europa” edizione 2013 dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca, promosso da Fondazione Intercultura e Fondazione Telecom Italia (dati elaborati da Ipsos), è stata presentata oggi a Torino presso l’Unione Industriale davanti ad una platea di addetti ai lavori della scuola e 500 studenti degli istituti superiori. In particolare, l’Osservatorio ha per questo anno intervistato un campione di 2.275 studenti di Francia, Germania, Polonia, Spagna e Svezia in merito alle attività di internazionalizzazione delle loro scuole e sulla percezione che hanno di sé e dell’ambiente che li circonda relativamente alla loro apertura verso altre lingue e culture. I risultati del campione sono stati confrontati con quelli degli 800 studenti italiani intervistati lo scorso anno sugli stessi temi.

 

Dalla ricerca si rileva che l’integrazione a scuola oggi è una consolidata realtà ma al tempo stesso in molti casi una situazione ancora difficile da gestire; parallelamente, la scuola italiana si trova incapace nell’essere al passo con l’Europa nel percorso verso l’internazionalizzazione. Se, infatti, nel 2012 il dato che vedeva il 53% degli istituti italiani attivare almeno un’iniziativa d’internazionalizzazione all’anno era stato considerato un elemento rassicurante, l’amaro risveglio arriva quest’anno nel confronto con le scuole di altre 5 nazioni europee; è infatti un’importante differenza quella che ci divide rispetto agli altri Paesi, compresi quelli che dovrebbero condividere il nostro attuale difficile momento economico: sviluppano iniziative di apertura verso l’estero il 97% delle scuole in Germania, l’89% in Spagna, l’88% in Polonia, l’81% in Francia e il 79% in Svezia. 

 

Nonostante gli istituti italiani risultino i meno attivi tra i Paesi europei considerati, vi è tuttavia una nota positiva su cui riflettere per comprendere in quale direzione procedere per far tesoro degli esempi di buone pratiche: la metà delle scuole italiane che sviluppano attività coinvolge infatti percentualmente più studenti che gli altri Paesi, ad eccezione della Germania (Italia e Francia: 72%; Germania: 84%; Spagna: 66%; Polonia e Svezia: 56%).

 

Roberto Ruffino, Segretario Generale della Fondazione Intercultura, è convinto che “l’internazionalizzazione passa attraverso l’esperienza. Avere al proprio attivo qualche esperienza di progetti internazionali, pone la singola scuola in una posizione più favorevole rispetto ad altre, e ne aumenta la probabilità di partecipazione”.

 

Tra gli interventi più immediati vi sono quelli derivanti dall’utilizzo delle nuove tecnologie che, dati alla mano, favoriscono gli istituti italiani a intraprendere un percorso internazionale (tra le scuole italiane già attive, il 34% ha fatto ricorso alla tecnologia). Su questo punto si è particolarmente soffermato il Segretario Generale della Fondazione Telecom Italia Marcella Logli: “Occorre mettere in campo iniziative e programmi quanto più innovativi e sfidanti, per agevolare la scuola italiana a migliorare i processi di internazionalizzazione e recuperare velocemente il gap che la penalizza a livello europeo. Essere cittadini del mondo deve rappresentare, soprattutto per le nuove generazioni, un’occasione unica di sviluppo ed emancipazione, uno straordinario volano di crescita per nuove opportunità professionali e personali”.

 

In questo, ha aggiunto Logli, “sono essenziali le tecnologie che possono vivificare ed aumentare, se usate in maniera consapevole, il rapporto reale di internazionalità, dove la relazione e il confronto, l’incontro con culture diverse e il riconoscimento dell’altro creano altri tipi di connessioni, intense e significative”.

 

Dalla ricerca emerge anche e soprattutto come via sia tanta voglia di internazionalizzazione tra gli adolescenti italiani. Il nostro Paese si distingue difatti in ambito europeo per le forti aspettative che gli studenti ripongono sulla capacità e sul ruolo della scuola nel favorire una loro emancipazione di carattere internazionale, a differenza degli altri Paesi dove questa richiesta è inferiore perché la contaminazione interculturale è già in atto  (soprattutto la Svezia e la Germania e parzialmente la Polonia, in virtù della vicinanza geografica e culturale con la Germania). E’ alta la percentuale, anche tra gli stessi studenti italiani che hanno partecipato alle attività internazionali, di chi ritiene che questi progetti siano ancora troppo pochi: lo dice il 68% dei nostri ragazzi, molti di più dei francesi (49%), degli spagnoli (43%), dei tedeschi (39%), dei polacchi (37%), degli svedesi (29%).

Da questo atteggiamento discende il giudizio complessivo sull’internazionalizzazione delle scuole molto più negativo da parte degli studenti italiani (56% degli intervistati dà voto insufficiente) rispetto alle opinioni degli studenti degli altri Paesi. In Svezia, l’83% dà un voto più che sufficiente, in Polonia l’83%, in Germania il 75%. Più simili a noi gli altri due Paesi latini, dove però i giudizi positivi superano quelli negativi.

 

Mobilità individuale: ancora troppo poco conosciuta in Italia, stimolata da pochi virtuosi

Il Ministero dell’Istruzione, in una Nota della scorsa primavera (843/2013), ha ribadito formalmente il proprio sostegno a favore delle esperienze di studio all’estero, indicandole come “parte integrante dei percorsi di formazione e istruzione“. Eppure, ancora metà delle scuole italiane non attiva iniziative internazionali.

 

L’Osservatorio ha voluto quest’anno anche comprendere quanto gli adolescenti italiani, nei loro atteggiamenti quotidiani e rispetto al proprio ambiente familiare, siano propensi a diventare dei “cittadini dei mondo” rispetto ai coetanei europei. E anche in questo caso, i dati non sono proprio confortanti.

Stando ai calcoli realizzati nell’indagine, un punteggio ben sotto la media europea (31,9) è quello che riescono ad ottenere i nostri studenti nell’indice di apertura all’estero, calcolato in base a numerose variabili (adesione a scuola ad attività di internazionalizzazione, conoscenza delle lingue, atteggiamenti interculturali, disponibilità e interesse verso esperienze di studio, lavoro e vita all’estero, …). I nostri adolescenti si fermano a un punteggio pari a 27,5; meglio, ma sotto la media europea, francesi (29,0) e polacchi (29,3), al di sopra spagnoli, vera rivelazione di questa ricerca (35,0), tedeschi (35,1) e svedesi (35,5).

 

“I genitori “chioccia” dei ragazzi italiani – si legge nella nota – li rendono fanalino di coda nella classifica dei viaggi all’estero effettuati sia coi genitori che, soprattutto, da soli. A spingerli ad uscire dai confini nazionali ci penserà la crisi economica, che fa dire all’89% degli italiani e all’86% degli spagnoli di accogliere favorevolmente un periodo di lavoro all’estero di almeno due anni (% molto minori negli altri Paesi; 65% in Francia, 71% in Polonia)”.

 

Se gli studenti italiani pretendono che sia la scuola a catapultarli verso esperienze internazionali, quando si tratta di agire autonomamente difficilmente vanno a comprarsi, ad esempio, un libro in inglese o sintonizzarsi su canali non italiani. A differenza dei coetanei di altri Paesi che sono agevolati in questo senso, visto che spesso la TV trasmette programmi non doppiati. In altre nazioni, infatti, vengono trasmessi film, programmi e quant’altro in lingua originale, soprattutto in Svezia e in Germania. (R.N.)

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