Datagate, a rischio il ‘porto sicuro’ per le web company Usa. Reding: ‘Basta scappatoie’

di Alessandra Talarico |

Approvata nel 2000, la disposizione permette alle web company Usa di soddisfare le norme Ue firmando una sorta di autocertificazione in cui dichiarano che i loro standard sulla privacy sono ‘equivalenti’ a quelli europei.

Unione Europea


Viviane Reding

Gli effetti del Datagate si faranno probabilmente sentire sulle nuove regole Ue sulla protezione dei dati, alle quali Bruxelles sta lavorando da oltre un anno e mezzo.

Pare infatti che, sulla scia delle rivelazioni di Edward Snowden, il Commissario Ue alla giustizia, Viviane Reding, sia intenzionato a rivedere la cosiddetta disposizione ‘safe harbour‘ (porto sicuro), che permette alle web company Usa di trasferire i dati dei cittadini europei senza supervisione alcuna da parte delle Autorità del vecchio continente.

 

Approvata nel 2000, la disposizione permette alle web company Usa di soddisfare le norme Ue firmando una sorta di autocertificazione in cui dichiarano che i loro standard sulla privacy sono ‘equivalenti’ a quelli europei.

 

“L’accordo sul ‘porto sicuro’ potrebbe non essere più così sicuro, dopo tutto”, ha affermato venerdì la Reding, sottolineando che “potrebbe essere una scappatoia” che ha permesso alle web company di trasferire dati oltreoceano dove “gli standard di protezione dei dati sono più bassi che in Europa”.

 

La Commissione dovrebbe proporre la sua raccomandazione prima della fine dell’anno e a quel punto si saprà se deciderà di ‘rottamare’ la disposizione, di aggiungere nuove condizioni a salvaguardia dei dati dei cittadini europei o se manterrà lo status quo. Difficilmente, tuttavia, dicono fonti vicine all’esecutivo, si sceglierà questa terza via. Anche perchè la Ue deve ‘rimediare’ ai passi falsi già compiuti nel corso della revisione della direttiva sulla protezione dei dati, sulla quale si è scatenata una forte azione di pressione delle web company Usa che ha portato a eliminare una clausola – ribattezzata anti-FISA – che avrebbe limitato la capacità dell’intelligence statunitense di spiare i cittadini europei (leggi articolo Key4biz).

 

Nel dibattito è intervenuta nei giorni scorsi anche Angela Merkel, per sottolineare la necessità di un rigoroso accordo sulla protezione dei dati a livello europeo, che obblighi le web company a rivelare quali dati personali hanno archiviato nei loro server e a chi li rendono disponibili (Leggi articolo key4biz).

 

La Reding, dal canto suo, ha più volte sottolineato che non c’è più spazio per asimmetrie regolamentari tra la Ue e gli Usa e che in Europa la privacy è un diritto fondamentale, chiaramente sancito dalla Carta dei diritti fondamentali, affermando con chiarezza che le compagnie che vogliono sfruttare il mercato europeo, devono rispettare le norme europee.

Per il Commissario è pertanto essenziale i accelerare i tempi di approvazione della riforma soprattutto alla luce delle recenti rivelazioni sulle attività di monitoraggio da parte degli Usa che sono state “un campanello d’allarme per tutti coloro che hanno cercato di bloccare o annacquare le regole della Ue sulla protezione dei dati e che recentemente hanno iniziato a manifestare il loro sostegno sottolineando, finalmente, quanto siano importanti standard solidi per gli europei. È ora che alle parole seguano i fatti”.