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La frammentazione non gioca a favore dei mercati di TLC della Ue

Italia


Da qualche giorno, e per tutto il weekend, si è infiammata la polemica sull’attesa decisione dell’AgCom sulle tariffe di unbundling, previste per una ulteriore limatura del 10%. La discussione è accesissima: per gli OLO trattasi di decisione benvenuta. Per Telecom Italia, non opportuna e non solo per l’impatto reddituale che provoca. Una parte della discussione riguarda la tempistica della decisione e il coordinamento della materia con l’Europa. Fin qua, nulla di nuovo, si potrebbe obiettare: in un mercato soggetto a norme e regole, decidere sulla diminuzione di un prezzo di un servizio produce un beneficio a chi compra e uno svantaggio a chi vende.

 

Si tratta del caso classico della punta dell’iceberg. Sotto c’è l’enorme massa del vero problema: l’AgCom italiana è una delle 28 autorità nazionali, nella UE, chiamate a regolare il proprio mercato.

 

Nei 28 stati Ue siamo in 504 milioni di abitanti, 200 in più che negli Stati Uniti. Consultando la lista delle 25 delle nazioni a più elevato PIL pro capite nel mondo, ben 14 di queste sono stati membri della Ue. La zona euro consta di 17 Paesi per una popolazione totale di 329 milioni di abitanti, superiore di 26 milioni di unità agli USA; il cambio euro-dollaro non è mai stato sotto la parità, dal 2003. E si potrebbero elencare innumerevoli record che collocano la Ue tra le aree del mondo in cui si concentra maggiore ricchezza, benessere, e, non sottovalutiamolo, assenza di conflitti bellici.

 

In verità c’è un conflitto in atto, che per purezza delle statistiche non si vuole riconoscere. Siamo in una guerra economica da molto tempo, almeno dal 1999, anno di introduzione della nostra valuta: e i contendenti non sono solo USA e Ue, ma nella partita giocano Cina, Giappone e i grandi Paesi Arabi produttori di petrolio, i cui scambi avvengono in dollari. Occorre domandarsi più spesso come gli altri ci vedano: non nascondiamoci dietro una foglia di fico, l’arrivo della moneta unica è stato un atto di guerra economica, alla quale bisognava prepararsi.

 

Che l’Europa sia ad un punto di flesso, è questione oramai acclarata. Non siamo né carne né pesce: ma con l’introduzione dell’euro abbiamo cominciato un gioco serio, e tutti si domandano quanto coraggio avremo per andare fino in fondo alla partita.

 

Rafforzare l’euro vuol dire fortificare i suoi mercati interni, e tra questi anche quello delle telecomunicazioni. Un settore cruciale per la competizione globale, in cui gli argomenti più dibattuti dovrebbero essere piani e progetti di espansione, investimenti, nuove reti e nuove tecnologie, superamento del digital divide, estensione universale della larga banda in fibra: discussioni che sono già in atto in USA, Giappone e Cina. Eravamo stati i primi della classe con l’introduzione del mobile e del protocollo GSM, ma su Internet abbiamo perso la partita e l’Europa è follower.

 

Come per lo zoom sulle mappe di Google, se uscissimo dalla prospettiva del nostro Paese e guardassimo a tutta l’area della Ue, vedremmo che ci sono troppi operatori a difesa di mercati nazionali, troppe autorità governative che regolano il funzionamento di questi mercati. In termini comparativi, nelle altre aree del mondo con cui siamo in competizione, non accade così. Le economie di scala e la visione sul futuro delle reti sono stimoli che mantengono accese le spinte per lo sviluppo. Invece, da noi, dopo dieci anni di superamento della parità euro-dollaro, poco o nulla è accaduto nel settore delle telecomunicazioni: sovraffollamento e regolazione permangono, e non si vede il riattivarsi di un meccanismo virtuoso di investimenti e di pianificazione del futuro, l’unica vera macchina che è indispensabile far ripartire.

 

 

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