#dleaders: una rete di tutele, poteri e limiti degli IPRs nell’era digitale

di di Diana Fabrizi - #DLeaders |

Il 18 giugno s’è tenuto a Bruxelles il terzo appuntamento di Digital Democracy Leaders, organizzato da Prima Persona, Fondazione Magna Carta, Youth Intergroup, in collaborazione con Microsoft, Itg,EU40 ed Ego.

Europa


Economia digitale

“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”…se lo scienziato del 1700 Antoine Lavoisier fosse nato e vissuto nell’era di Internet, probabilmente avrebbe enunciato la stessa legge di conservazione della materia anche in relazione all’innovazione tecnologica.

Perché concentrarsi sul concetto di trasformazione? Semplice: da un lato l’Europa, gli Stati, i cittadini cambiano rapidamente e, con essi, anche il principio di rappresentanza; dall’altro lato, l’innovazione produce radicali mutamenti in tempi sempre più rapidi al punto che non si può sottovalutare la potenzialità del digitale applicato in ogni settore e che si dovrebbe iniziare a sostituire al mito della Rete il mondo della Rete.

 

Si può (e si deve) partire da qui per spiegare e approfondire il progetto ITG2013-Innovation through generation che, ideato da tre giovani under-30 (Diletta Alessandrelli, Stefano Cardillo, Diana Fabrizi) promosso da UtopiaLab e organizzato con la collaborazione di Microsoft e Gruppo PPE Italia, si è sviluppato attraverso una serie di tavole rotonde tematiche a Roma fino all’incontro conclusivo (o, per certi versi, di avvio per una nuova fase!) “Digital Democracy Leaders” svoltosi lo scorso martedì 18 giugno al Parlamento Europeo di Bruxelles (Leggi Articolo Key4biz).

 

Tanti gli spunti, tante le tematiche affrontate, tanti i giovani – popolari e socialisti – che si sono confrontati con le Istituzioni europee (tra i quali i due vice-Presidenti del Parlamento Europeo, Roberta Angelilli e Gianni Pittella). Unico l’obiettivo di creare una community condivisa e partecipata, unica la voce giovanile che ha avanzato compatta le proposte agli eurodeputati, unica la consapevolezza che “il passato è Internet, il futuro è l’innovazione” (com’è appunto stato ribadito più volte nel corso dell’incontro #DLeaders). Il progetto ITG2013 si occupa proprio della relazione tra tecnologia e società, soffermandosi in particolare su politica e nuove generazioni, e delle trasformazioni che l’innovazione sta producendo nelle vite quotidiane: relazioni umane, comunicazioni sociali, campagne politiche, senso civico, affari economici, mercato concorrenziale, rapporti esteri e così via. Il più importante e innovativo strumento politico mondiale nell’era digitale è senza alcun dubbio l’utilizzo sempre più diffuso di internet, come i social media (Facebook, Twitter, MyObama, Dashboard, etc.) hanno così ampiamente dimostrato ma, allo stesso tempo, un altro fondamentale settore in cui l’innovazione porta avanti seri mutamenti e crescente sviluppo è l’e-government, ritenendo prioritaria specialmente per le nuove generazioni l’accessibilità agli open data.

 

Al giorno d’oggi si avverte altresì il bisogno di un’Unione Europea politica ed economica in grado di trovare vantaggio dalla moneta unica e dal mercato integrato, oltre al recupero della leadership nel campo dell’innovazione: dovrebbe essere la mission, la priorità per la nostra società e per le nuove generazioni. Il mondo digitale dovrebbe pertanto fondarsi su tre pilastri, uniti tra loro da un humus normativo europeo: la sicurezza online, la trasparenza, la certezza giuridica sul tema. Un simile processo generalmente si interfaccia con un’altra grande tematica affrontata anche da ITG2013: gli Intellectual Property Rights (IPRs), dal momento che la regolamentazione copre “anything under the sun made by man“, come ha stabilito la Corte Suprema degli Stati Uniti.

 

La Proprietà Intellettuale gioca un ruolo incredibilmente vitale nel mercato globale e nello sviluppo economico ed esiste in molteplici aspetti degli affari e della vita sociale: si devono intendere i “diritti relativi alle opere letterarie, artistiche e scientifiche, alle interpretazioni degli artisti interpreti e alle esecuzioni degli artisti esecutori, ai fonogrammi e alle emissioni di radiodiffusione, alle invenzioni in tutti i campi dell’attività umana, alle scoperte scientifiche, ai disegni e modelli industriali, ai marchi di fabbrica, di commercio e di servizio, ai nomi commerciali e alle denominazioni commerciali, alla protezione contro la concorrenza sleale; e tutti gli altri diritti inerenti all’attività intellettuale nei campi industriale, scientifico, letterario e artistico” (art. 2 Trattato istitutivo WIPO, la Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale). C’è da rilevare come tale nozione, sebbene sia attualmente la più ampia e valida, può tuttavia estendersi, in virtù di una lista non tassativa delle figure concettuali riconducibili alla categoria nonché di una “mobilità tematica” inerente al Diritto Industriale (e, di riflesso, propria anche della Proprietà Intellettuale), ad altri istituti e nuovi strumenti di protezione nazionale e transnazionale, tra i quali i diritti della cd. personalità economica o il diritto alla privacy e alla sicurezza dei dati personali (anche online).

 

Come il diritto di proprietà, anche gli IPRs hanno nel tempo subito (e continuano tuttora a subire) i mutamenti e le influenze che ne determinano il contenuto e la protezione. Oggi il principale ruolo di cambiamento dell’oggetto della protezione è svolto dalla scienza e dalla tecnica, che di fatto hanno proposto una rilettura in chiave moderna della Proprietà Intellettuale alla luce dell’inevitabile aggiornamento del diritto determinato dall’innovazione tecnologica, il quale solleva sensati dubbi sull’adeguatezza o meno degli strumenti di tutela esistenti. Attraverso le nuove tecnologie si viene a delineare un quadro trasformato (o, appunto, aggiornato) dell’oggetto della protezione degli IPRs e si pone una questione fondamentale: la crisi della materialità della proprietà. L’identità della tutela della Proprietà Intellettuale si trova così completamente mutata, passando da diritto personale a diritto dell’industria culturale. Per comprendere facilmente questo passaggio basti pensare, ad esempio, al rapporto tra l’industria culturale e la pirateria online: la masterizzazione dei cd musicali o il download di film attraverso la Rete (eMule, Megaupload o altri software open source di file-sharing) è divenuto un fenomeno di massa che ha suscitato una sottile questione giuridico-economica, ovvero se la pirateria debba essere valutata diversamente a seconda che il bene sia materiale o immateriale.

 

Partendo dal presupposto che la Proprietà Intellettuale non esiste in rerum natura in quanto è una costruzione del diritto costituita da alcune discipline per la tutela di determinati interessi, è opportuno definirne i limiti (ancora troppo labili) della protezione nel rispetto dei diritti di proprietà e di libertà. Nell’intento di identificare tali limiti bisogna anzitutto stabilire quale ruolo vada destinato alle tecnologie digitali nell’accesso alla conoscenza. In tal modo sarà inoltre possibile passare da un’attività meramente conoscitiva delle nuove tecniche a un’attività pratica di applicazione delle stesse. Gli strumenti tecnologici sono senz’altro in grado di rendere efficace ed effettivo un rafforzamento degli IPRs, se pensiamo ad esempio al Digital Rights Management (DRM, letteralmente “gestione dei diritti digitali”): nel linguaggio informatico-economico può assumere vari significati ma, nell’accezione più ampia, denota sistemi tecnologici in grado di definire, gestire, tutelare e accompagnare le regole di accesso e utilizzo su contenuti digitali; nel linguaggio della prassi, la gestione dei diritti comprende anche la possibilità di stipulare ed eseguire contratti, nonché di sanzionare la violazione degli stessi.

 

Allo stesso tempo, comunque, le tecnologie della comunicazione possono aprire nuovi scenari e prospettive di maggiore condivisione dei contenuti culturali, come ne rappresentano un esempio le licenze Creative Commons: sono licenze di diritto d’autore, ispirate al modello copyleft, redatte e messe a disposizione del pubblico a partire dal 16 dicembre 2002 dalla Creative Commons (CC), un’organizzazione no-profit statunitense fondata nel 2001. Queste licenze, in sostanza, rappresentano una via di mezzo tra copyright completo (full-copyright) e pubblico dominio (public domain): da una parte la protezione totale realizzata dal modello all rights reserved (tutti i diritti riservati) e dall’altra no rights reserved (assenza totale di diritti).

 

La funzione assegnata alla disciplina della Proprietà Intellettuale di incentivare la circolazione delle informazioni significa in sostanza stimolare sul mercato dei prodotti culturali e tecnologicamente avanzati un modello di competizione nel quale i diversi concorrenti sono obbligati ad una rincorsa continua all’innovazione. Anche il premio Nobel per l’economia Joseph E. Stiglitz si è espresso a favore di una funzione di correlazione tra gli IPRs e il mercato: «Senza la protezione della Proprietà Intellettuale, gli incentivi ad impegnarsi in certi tipi di sforzi creativi sarebbero indeboliti. Ma ci sono costi elevati associati alla proprietà intellettuale. Le idee sono l’input più importante nella ricerca, e se la proprietà intellettuale rallenta la capacità di usare le idee degli altri, allora il progresso scientifico e tecnologico ne soffriranno. In effetti, molte delle più importanti idee non sono protette dalla Proprietà Intellettuale. La crescita del fenomeno dell’open source su Internet dimostra che non solo le idee di base, ma anche i prodotti di enorme valore commerciale immediato possono essere prodotti senza protezione della Proprietà Intellettuale». Nell’ultimo decennio si sono susseguiti importanti sviluppi legislativi che hanno rafforzato la tutela degli IPRs nel nostro Paese (anche nel mondo virtuale). Oltre agli istituti previsti e disciplinati dal Codice di Proprietà Industriale (d.lgs. 30/2005 e successive modifiche) e da altre norme, sono, infatti, state approvate talune disposizioni che prevedono e assicurano maggiore garanzia: con il D.lgs. 68/2003 è entrato in vigore il recepimento della direttiva 2001/29/CE sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e di altri diritti connessi nella società d’informazione (la cd. “Direttiva delle Società di informazione”); con il D.L. 35/2005 (“Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale”), convertito in L. 80/2005 è stato istituito l’Alto Commissario per la lotta alla contraffazione, poi sostituito dal Consiglio Nazionale Anticontraffazione (CNAC) istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico con L. 99/2009 (Legge Sviluppo); con l’art. 15, co.7, L.99/2009 si stabilisce la mappatura della responsabilità delle persone giuridiche da reati di contraffazione e l’inasprimento delle sanzioni amministrative previste dal d.lsg. 231/01; con la L. 350/2003 (Legge Finanziaria 2004) è stata stabilita l’utilizzazione dell’etichetta “made in Italy”, e successivamente è stato introdotto il reato di abuso tutelando penalmente il “full made in Italy”, cioè il prodotto interamente progettato, confezionato, compiuto sul territorio italiano; la successiva L. 95/2010 (Legge Reguzzoni-Versace) ha delimitato l’etichettatura dei prodotti finiti a determinati settori, come il tessile, stabilendo così la tutela amministrativa del “made in Italy settoriale“.

 

Altre rilevanti misure sono state approvate contro la pirateria, nonostante lo sforzo normativo apprezzabile e condivisibile, vi è tuttavia da rilevare una preoccupante inadeguatezza normativa nel settore dell’innovazione tecnologica, in particolare nel contrasto alla pirateria digitale, che risulta tanto sul piano nazionale – dai numerosi interventi critici della dottrina e dell’industria culturale italiana (Confindustria Digitale, FIMI, ANICA solo per citare alcuni dei principali stakeholders del settore) – quanto a livello internazionale, dal momento che l’Office of the United States Trade Representative (USTR) ha inserito l’Italia nella c.d. watch list del “2013 Special 301 Report”, il rapporto annuale che verifica le condizioni di adeguata ed effettiva protezione degli IPRs (Leggi Articolo Key4biz).

 

Purtroppo, in base all’ultimo Report 2013 dell’USTR: «Italy remains on the Watch List in 2013. Piracy over the Internet remains high in Italy, with several content industries reporting that Italy has among the highest rates of online piracy in the world. While the Italian Communications Authority (AGCOM) made progress in 2011 and early 2012 on draft regulations to combat piracy over the Internet, that process has since stalled. As a result, rights holders continue to face serious challenges in combating piracy over the Internet in Italy». L’USTR ha bollato l’Ucraina come “paese prioritario” per l’elevato utilizzo illecito di prodotti tutelati dalle leggi che regolano il copyright: il Governo di Kiev, primo al mondo per violazioni degli IPRs, è stato bacchettato per la mancanza di un sistema trasparente di recupero delle royalties, per il massiccio impiego di software piratati (persino dalle stesse agenzie governative che dovrebbero invece salvaguardare la Proprietà Intellettuale), e soprattutto per l’assenza di azioni di contrasto alla pirateria digitale.

 

Nel Report 2013 non mancano riferimenti alla Cina e alle sue attività di spionaggio industriale e alla Russia, presente in graduatoria per il diciassettesimo anno consecutivo. Entrano quest’anno in graduatoria anche Algeria, Argentina, Cile, India, Indonesia, Pakistan, Thailandia e Venezuela. La tutela dei contenuti digitali è necessariamente e strettamente correlata al fondamentale ruolo svolto dalle figure soggettive che, a vario titolo, prestano servizi della società dell’informazione. Si continua a discutere sulla responsabilità degli Internet Hosting Provider: sono prestatori di servizi della società di informazione, gratuiti o a pagamento, che “ospitano”, come meri intermediari, contenuti forniti da terzi e la cui attività consiste dunque nell’allocare su un server web (definito host) le pagine web di un sito, rendendolo così accessibile dalla rete Internet e ai suoi utenti. L’Hosting è riconducibile, in rapporto di species ad genus, all’Internet Service Provider. La soluzione (ad oggi non ancora trovata) del tema oscilla tra i due estremi opposti dell’applicazione incondizionata del beneficio dell’irresponsabilità – previsto dalla Direttiva 31/2000/CE, cd. direttiva sul commercio elettronico – e la disapplicazione, a determinate condizioni, di tale beneficio. Di regola l’Internet Service Provider (ISP), ossia il fornitore di servizi Internet, gode del beneficio dell’esonero da responsabilità a condizione che il prestatore di servizi non sia effettivamente a conoscenza che l’attività o l’informazione è illecita e che non sia al corrente di fatti o circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione. In questi casi, non appena al corrente di tali fatti, l’ISP deve agire immediatamente (su richiesta dell’autorità amministrativa e, in particolare, dell’AGCOM) per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso.

 

Così come il legislatore comunitario, anche quello nazionale ha tipizzato unicamente la figura soggettiva dell’ISP passivo quale beneficiario dell’esclusione di responsabilità. Tuttavia, nell’elaborazione giurisprudenziale più recente è emersa l’esigenza — in relazione alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale dei contenuti digitali — di individuare una figura soggettiva “atipica” (l’ISP attivo) per poter escludere l’applicabilità del beneficio dell’irresponsabilità per i contenuti dei terzi di cui al D.Lgs. 70/2003. Tale esigenza, avvertita e concretizzata anche da recenti e importanti decisioni giurisprudenziali, si riferisce nello specifico alla peculiare attività dei seguenti fondamentali attori dei mercati virtuali e precisamente: – gli User Generated Content, aggregatori di contenuti “caricati” da terzi (esempio: YouTube), – i motori di ricerca (esempio: Google), – i social network (esempio: Facebook). In linea con questa posizione si è espressa anche la Corte di Giustizia Europea nella decisione del 12 luglio 2011 relativa al caso L’Oreal c. eBay, che ha inequivocabilmente definito la figura dell’ISP attivo sottratto al beneficio dell’irresponsabilità per i contenuti di terzi di cui alla Direttiva 31/2000/CE.

 

Inoltre, tra il 2010 e il 2012, la Commissione Europea ha promosso due consultazioni pubbliche per sondare ed evidenziare le criticità emerse dall’ormai obsoleta direttiva sull’e-commerce. Dal quadro tracciato fin qui emerge tutta la criticità delle garanzie giurisdizionali sancite dalla normativa vigente sia italiana sia comunitaria: sono necessari seri e urgenti interventi di revisione della direttiva sul commercio elettronico e di armonizzazione orizzontale (a livello comunitario) delle procedure di rimozione selettiva dei contenuti digitali illeciti da parte degli Hosting – in Italia ci sono stati reiterati tentativi da parte di AGCOM che, però, non disponendo di un espresso potere provvedimentale e sanzionatorio, continua a non ottenere da una norma primaria l’estensione esplicita dei propri poteri al di fuori del ristretto contesto dei contenuti audiovisivi. Esistono dunque alcuni provvedimenti fondamentali da prevedere ed adottare nel breve periodo per la tutela amministrativa del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettroniche e, conseguentemente, dello sviluppo dell’Agenda Digitale comunitaria (oltreché italiana). In una società moderna caratterizzata da profondi mutamenti economici, sociali, tecnologici e sempre più volta all’innovazione dovrebbero crescere – parallelamente al ruolo di Internet nel mercato – anche l’incidenza degli strumenti di tutela degli IPRs e la disciplina di un auspicabile “mercato unico digitale” in ambito europeo, necessario per raggiungere obiettivi di crescita, occupazione, armonizzazione. Per l’Europa oggi è tempo di grandi sfide: ogni crisi, ogni fase simile a quella odierna, è anche un’opportunità di migliorare, di riflettere sui motivi che hanno determinato tale situazione e pertanto di riformare ed operare i necessari cambiamenti. La rivoluzione digitale e l’economia del web hanno prodotto negli ultimi anni un impatto considerevole anche nelle modalità di lavoro delle imprese, e certi approfondimenti lo confermano chiaramente: in alcuni Paesi del e-G8 negli ultimi cinque anni l’apporto medio dato da Internet ha contribuito per il 21% alla crescita del PIL e per il 25% alla creazione di posti di lavoro (in Italia la media risulta inferiore). Studi analoghi hanno inoltre suggerito agli stakeholders (interni o esterni) una raccomandazione per poter utilizzare al meglio internet come motore della crescita: prendere parte al dialogo sociale che si sta sviluppando attorno al web a livello nazionale e internazionale, avendo cura di affrontare tematiche complesse e delicate quali l’identità digitale, la Proprietà Intellettuale, la neutralità della rete, la disponibilità di talenti e di competenze, la salute generale dell’economia. Molte di queste tematiche sono state oggetto degli approfondimenti del progetto ITG2013 e della roundtable #DLeaders sull’innovazione e sulla cittadinanza digitale a Bruxelles.

 

Mercato e innovazione sono, quindi, reciprocamente collegati ma, ad essi, si deve aggiungere un terzo elemento fondamentale: la concorrenza. E, proprio nell’era di Internet, l’innovazione e la concorrenza svolgono un ruolo determinante nella produzione e nella diffusione delle tecnologie e degli strumenti telematici. Il rapporto tra tutela degli IPRs e difesa dell’innovazione è inoltre sancito espressamente dal Trattato istitutivo WIPO: «Le Parti contraenti prevedono un’adeguata tutela giuridica e precostituiscono mezzi di ricorso efficaci contro l’elusione delle misure tecnologiche utilizzate dagli autori nell’esercizio dei diritti contemplati dal presente trattato o dalla Convenzione di Berna, allo scopo di impedire che vengano commessi, nei confronti delle loro opere, atti non autorizzati dagli autori stessi o vietati per legge».

 

L’impatto degli IPRs nella società digitale sta diventando così forte che spesso discussioni pubbliche sulla Proprietà Intellettuale abbandonino la cornice meramente giuridico-legale e, partendo dalla Rete, prenda posto nella vita sociale. Con l’evoluzione delle tecnologie informatiche anche il legislatore è stato chiamato ad occuparsi di nuove fattispecie e problematiche giuridiche sorte o legate all’utilizzazione del web e si è trovato a vagliare l’applicabilità o meno delle regole tradizionali. Il settore disciplinare della concorrenza è stato particolarmente colpito dall’espansione del mercato digitale, dal momento che molte pratiche illecite sulla rete risultano essere quelle volte a violare un altrui diritto di privativa o a danneggiare in altro modo l’altrui attività imprenditoriale. Appare infatti estremamente semplice violare la Proprietà Intellettuale (e Industriale) online sia per ragioni di “facilità” tecniche (ad esempio, i costi bassissimi della riproduzione pirata di brani musicali o software) sia per mancanza di adeguata ed uniforme normativa ad hoc.

 

Su Internet sono sempre più ricorrenti alcune fattispecie illecite riconducibili alla categoria generale del cd. cybercrime, il “crimine informatico” che può vantare varie definizioni ma, in modo conciso, può esser definito come un crimine commesso utilizzando un computer, una rete o un dispositivo hardware. Nel trattato del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica viene utilizzato il termine cybercrime per definire reati che vanno dai crimini contro la privacy (i dati riservati), alla violazione di contenuti e del copyright (il furto e la manipolazione di dati o servizi tramite azioni di hacking o virus, il furto di identità). Tuttavia, altri suggeriscono una definizione più ampia che comprende attività criminose come le frodi (bancarie o legate all’e-commerce), l’accesso non autorizzato, le molestie (anche ai minori), la pedopornografia e il cyberstalking o pedinamento informatico. Il manuale delle Nazioni Unite sulla prevenzione e il controllo del crimine informatico nella definizione di crimine informatico include frode, contraffazione e accesso non autorizzato. Un’interessante nota elaborata nell’ambito del Gruppo di lavoro della Giunta Assonime (Associazione fra le Società Italiane per le Azioni) su Digitalizzazione e attività d’impresa, e pubblicata in data 12 aprile 2013, analizza diverse strategie integrate adottate recentemente dalle istituzioni dell’U.E. e destinate alla difesa degli Intellectual Property Rights contro le violazioni online, non limitandosi semplicemente a ricostruire il quadro normativo comunitario: «I diritti di proprietà industriale e intellettuale hanno un valore economico fondamentale per le imprese.

 

L’innovazione tecnologica e, in particolare, la digitalizzazione hanno profondamente modificato le modalità di diffusione di informazioni, beni e servizi e il modo in cui i consumatori vi hanno accesso. Nell’Unione europea è in corso un’ampia riflessione su come adeguare la tutela dei diritti di proprietà industriale e intellettuale alle sfide che emergono nel nuovo contesto». In particolare, il report di Assonime chiarisce che la Commissione europea, nell’avvicinarsi al tema della proprietà intellettuale online, parte dalla considerazione secondo cui l’assenza di confini della rete mal si concilia con la frammentazione ancora presente nei mercati comunitari. La Commissione ha già compiuto un passo degno di nota nei confronti della digitalizzazione di opere ancora protette dal copyright, ma non facilmente accessibili al pubblico. Inoltre, in previsione del raggiungimento (auspicabilmente in tempi rapidi) di un’armonizzazione delle normative nazionali sulla materia, ha proposto un “Codice europeo del diritto d’autore”. Tra gli altri aspetti del mercato digitale che preoccupano la Commissione un posto di rilievo riguarda il crescente fenomeno della contraffazione, sicuramente favorito dalla diffusione degli strumenti messi a disposizione dalla rete e dal fatto che non sempre le imprese sono in grado di realizzare sistemi di monitoraggio dei propri prodotti. Nel tentativo di rispondere a tali esigenze, nel giugno 2012 l’«Osservatorio europeo sulla contraffazione e la pirateria» è divenuto l’«Osservatorio europeo sulle violazioni dei diritti di proprietà industriale», con il duplice obiettivo di raccogliere dati sul mancato rispetto delle disposizioni a tutela degli IPRs e, al tempo stesso, di favorire lo scambio di esperienze sulle best practices. Oltretutto, sulla pirateria online la Commissione ha promosso un protocollo d’intesa per la lotta contro la vendita in rete di merci contraffatte che coinvolge gli operatori del settore per impedire l’offerta di prodotti in violazione di diritti nelle piattaforme presenti sulla rete. Tale approccio da un lato può apparire troppo soft, ma dall’altro ha il vantaggio di non essere particolarmente oneroso ai danni degli Internet Service Providers (già tutelati, come ISP passivi, dalla Direttiva 2000/31/CE sull’e-commerce), a differenza di quanto era previsto dal trattato ACTA (Anti-Counterfeiting Trade Agreement).

 

L’accordo internazionale appena citato contro la contraffazione dei beni di lusso e dei prodotti coperti da diritti di Proprietà Intellettuale fu fortemente voluto dalla Casa Bianca, “attaccato” da migliaia di attivisti che hanno protestato con manifestazioni in piazza e online, e rigettato dal Parlamento Europeo il 4 luglio 2012 con 478 voti contrari, 156 astenuti e solo 39 a favore. A proposito di ACTA, vi è da rilevare come gli intenti iniziali dell’accordo anti-contraffazione apparivano perfettamente condivisibili in un’ottica di opportuna regolamentazione del mondo di Internet: cooperazione internazionale nel perseguimento di violazioni del copyright, sanzioni concordate congiuntamente, nuove norme sul diritto d’autore. Ciò che, però, ha fatto scatenare le proteste in piazza e sul web del “Popolo della Rete” – alcune legittime, al punto da raggiungere ben 3 milioni di firme nella petizione online contro il provvedimento, altre illegali, come gli attacchi a siti istituzionali da parte del network di hacker Anonymous – è stato il fatto che, dopo quattro anni di trattative internazionali e negoziati segreti voluti da associazioni quali la RIAA (Recording Industry Association of America), le disposizioni contenute nell’ACTA sono state annunciate nel mese di agosto 2011 (periodo già discutibile per la tempistica) e, con esse, è risultato chiaro che la sua entrata in vigore avrebbe legittimato un monitoraggio così ampio delle comunicazioni su Internet da poter causare la fine di siti tendenzialmente “liberi” come YouTube o Twitter: secondo l’accordo, infatti, gli ISP avrebbero dovuto controllare tutto il traffico dei propri utenti per accertare (e sanzionare penalmente) l’eventuale download di materiale coperto da copyright. Tale potere attribuito ai fornitori d’accesso ad internet ha suscitato fin da subito tra gli internauti il timore di un’intromissione potenzialmente illecita nelle comunicazioni degli utenti e quindi di un “attentato alla loro privacy”. Dal punto di vista istituzionale, cinque mesi dopo la bocciatura dell’ACTA da parte del Parlamento europeo, anche la Commissione ha ritirato il suo appello alla Corte di giustizia europea «per alcuni articoli controversi che avrebbero potuto danneggiare i diritti fondamentali dei cittadini UE». Il caso (anche mediatico) suscitato da ACTA è stato sintomatico di quanto sia necessario un bilanciamento tra intenti e modalità, tra presupposti e tempistiche, al fine di rendere valido e condiviso un serio processo di normativizzazione della Rete contro gli illeciti riconducibili al cybercrime.

 

Premesso che Internet è ormai protagonista indiscusso delle nostre vite e della nostra quotidianità, il legame fra politica e web è un fenomeno evidente e in continua evoluzione, che non riguarda solo le tecniche meramente comunicative ma anche nuove modalità di affrontare esigenze sociali e promuovere punti programmatici derivanti dalla svolta digitale che ha coinvolto tutti i settori. Politicamente, qualsiasi Governo che si rispetti dovrebbe al giorno d’oggi discutere ed approvare un’affidabile Agenda Digitale, contenente provvedimenti che siano ovviamente rispettosi degli IPRs. Valutando le esperienze più recenti nel nostro Paese, il precedente Governo Monti aveva posto le basi con l’apprezzabile provvedimento Crescita 2.0 delineante la cd. Agenda Digitale Italiana, il quale ha però subito vari ritardi e rinvii. Dalle recenti dichiarazioni del nuovo Premier Enrico Letta e di alcuni Ministri, così come da talune disposizioni contenute nel “Decreto Fare” approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 15 giugno, sembra che il nuovo Esecutivo abbia tutta l’intenzione di proseguire sulla linea di un organico processo di digitalizzazione del Paese che porterebbe ad enormi benefici socio-economici nonché ad una disciplina della tutela della Proprietà Intellettuale nelle reti digitali. In un quadro di tutela degli IPRs già abbastanza frammentato il provvedimento Crescita 2.0 ha rappresentato un’ulteriore occasione perduta, a causa del mancato riconoscimento giuridico di alcune misure opportune a difesa dei contenuti digitali. Crescita 2.0 dedicava difatti tante minuziose norme a diversi settori di crescita innovativa (identità digitale, PA digitale/ open data, istruzione digitale, sanità digitale, divario digitale, pagamenti elettronici e giustizia digitale) trascurando, invece, sorprendentemente, un settore strategico per lo sviluppo del paese quale la tutela dei contenuti digitali: in particolare non è prevista l’espressa attribuzione ex lege di un generale potere provvedimentale (ossia non solo regolamentare e di vigilanza ma anche ordinatorio, accertativo e sanzionatorio) all’AGCOM – esteso, quindi, oltre i limitati confini degli audiovisivi a tutti i contenuti digitali diffusi online -, così come non è menzionata l’esigenza di una riforma della normativa comunitaria – e il conseguente adeguamento di quella interna – in materia di responsabilità e irresponsabilità degli ISP.

 

Basta osservare l’evoluzione negli USA ed in Europa (soprattutto nel Regno Unito) per comprendere come i contenuti digitali – musicali, editoriali, audiovisivi e ovviamente anche quelli generati dagli utenti – protetti dagli IPRs stiano diventando i protagonisti indiscussi dell’innovazione anche in termini di modelli di business. In questo “panorama digitale”, l’Italia ha un enorme bacino di creatività e di contenuti culturali a trecentosessanta gradi che di fatto possono esser considerati come una vera e propria risorsa del Paese e che andrebbe valorizzato (anche tramite la creazione di un’«Agenda della Cultura Digitale», come proposto dal Presidente della FIMI – Federazione Industria Musicale Italiana sulla scia dell’iniziativa Digital Britain promossa dal Governo inglese nel 2009), nonostante finora tutto ciò sia rimasto spesso ai margini del dibattito sull’innovazione. Già nel 2009 il Governo britannico, nell’ambito dell’iniziativa Digital Britain, ha dedicato una parte consistente dell’analisi al digital content e alle potenzialità per il Paese di disporre di una strategia sulla messa a disposizione dei contenuti britannici sulle reti per incrementare l’economia e l’export del British sounding. La cerimonia di chiusura delle Olimpiadi di Londra (esempio di Digital Britain), di fatto un concerto commemorazione della cultura pop britannica, grazie ai canali digitali di download e streaming ha generato nelle settimane successive un incremento delle vendite degli artisti britannici in tutto il pianeta. Per la “missione” che il nuovo Governo si troverà ad affrontare, sarà certamente necessario non ricominciare ex novo ma, piuttosto, proseguire quanto di buono è già stato previsto – integrandolo e migliorandolo – nonché accelerare le tempistiche e l’attuazione di tanti temi rimasti in sospeso – in primis lo status dell’Agenzia digitale. Bisogna infatti tener conto che l’approvazione di un’Agenda Digitale Italiana rappresenta già di per sé una novità significativa, determinata da un nuovo approccio politico e dal cambiamento epocale che la tecnologia sta rappresentando giorno dopo giorno: l’avvicinamento della politica ai cittadini si sta compiendo, attraverso forme di partecipazione alla vita democratica del Paese allargate e dirette (come nel caso dei progetti di consultazioni pubbliche “partecipate” – anche online – che alcuni Ministeri del nuovo Governo stanno avanzando). In ambito comunitario, infine, la Commissione Europea ha presentato ed avviato tra il 2010 e la fine del 2012 la strategia Europa 2020, strategia ideata per promuovere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva da raggiungere entro il 2020, nella quale una delle iniziative faro è rappresentata dall’ambiziosa Agenda Digitale Europea.

 

Il lungo iter è iniziato nel dicembre 2010, quando i Ministri europei hanno evidenziato una sinergia tra le iniziative faro della strategia Europa 2020 “Agenda Digitale europea” e “Unione dell’Innovazione”. In particolare, essi hanno rilevato la necessità di collegare le due iniziative attraverso una strategia europea integrata dell’innovazione, per la quale è necessario un Single Digital Market pienamente funzionante al servizio delle imprese europee e dei consumatori europei. In altre due occasioni, nel 2012, il Consiglio europeo ha invocato un rafforzamento della leadership europea nell’economia digitale ed il completamento del mercato unico digitale entro il 2015, sviluppando in particolare la modernizzazione del regime europeo di copyright. Nel frattempo, il 18 giugno 2012 la Commissione ha presentato la scheda di valutazione per l’Agenda Digitale Europea, dal quale emergono tuttavia alcune carenze che hanno portato l’istituzione europea ad adottare il 18 dicembre 2012 sette nuove priorità digitali per il biennio 2013-2014, tra le quali risalta la proposta di una strategia e una direttiva comunitaria in materia di sicurezza informatica. L’attuazione dell’Agenda Digitale Europea dovrebbe pertanto: diffondere i benefici apportati dall’era digitale a tutte le fasce sociali; rendere l’accesso ad internet molto più veloce per i cittadini europei; sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per favorire innovazione e crescita; migliorare il tasso di fiducia nella sicurezza su internet attraverso una risposta europea più efficace al cybercrime e alla protezione della privacy. L’obiettivo globale della Strategia europea in materia di cybersecurity – sottolineato dal Garante della Privacy UE Peter Hustinxs (Presidente EDPS-European Data Protection Supervisor) – deve infatti essere il consolidamento di un rapporto di fiducia degli utenti internet (persone e organizzazioni) basato sul concetto che “non vi è sicurezza senza privacy”. Il parere dell’EDPS presentato lo scorso 17 giugno 2013 all’UE ribadisce quanto sia decisivo non generare conflitti tra il rispetto della vita privata e la protezione dei dati personali, insistendo su questo punto: “Anche se alcune misure per assicurare la cyber-sicurezza possono necessitare il controllo di alcuni dati personali, in particolare gli indirizzi IP per indentificare alcuni individui, la cyber-sicurezza può giocare un ruolo fondamentale per assicurare il rispetto della privacy e dei dati personali disponibili sul web, a condizione però che il trattamento di questi dati avvenga in modo proporzionato, necessario e legale“.

 

Sebbene la direzione dei legislatori (così come della dottrina maggioritaria) sia sempre più rivolta al mantenimento degli Intellectual Property Rights, vi sono comunque posizioni, come quelle sostenute da Boldrin e Levine, che ne propongono l’abolizione sulla base che copyright e brevetti costituiscono un male inutile perché non generano maggiore innovazione ma solo ostacoli alla diffusione di nuove idee. Il fondatore della Free Software Foundation, Richard Stallman, sostiene che, nonostante il termine Proprietà Intellettuale sia sempre più diffuso ed utilizzato, dovrebbe essere complessivamente rifiutato, poiché «opera in modo onnicomprensivo per raggruppare assieme leggi assai disparate» (come quelle su copyright, marchi e brevetti). E’ senz’altro vero che questi ambiti legislativi siano nati separatamente, si siano evoluti in modo diverso, abbiano differenti regole e sollevino differenti questioni di pubblico interesse, ma è altrettanto corretto – per chi scrive – che proprio l’eterogeneità delle figure collegate agli IPRs rappresenta il motivo principale per avvertire un’esigenza di uniformazione della tutela a livello nazionale e transnazionale, prestando particolare attenzione alle nuove fattispecie nate dal processo di innovazione tecnologica che abbiamo esaminato nei paragrafi precedenti. Il governo italiano dovrebbe appunto promuovere la riforma della disciplina della Proprietà Intellettuale anche, ed anzi soprattutto, attraverso la revisione dei trattati internazionali. Ora la Rete dovrà attendere un concreto percorso di educazione dei cittadini all’offerta legale, indispensabile sia per risolvere i problemi di consapevolezza sia per avviare un programma di formazione e alfabetizzazione digitale. D’altra parte, l’attesa (possibilmente breve) riguarderà anche una nuova proposta di aggiornamento della regolamentazione che, anche sulla base dei progetti di Agende Digitali in fase di attuazione, riesca non solo a raccogliere le esigenze di legislatori, utenti e providers – nel mondo reale e virtuale – ma anche ad uniformare tutta quella “rete di tutele” degli IPRs frammentata tra i vari ordinamenti giuridici nazionali e i diversi settori disciplinari. E i giovani Digital Leaders sono pronti per collaborare su questi obiettivi!

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