Piange il telefonino e pure la banda larga: ricavi in calo per tutta la filiera tlc

di Alessandra Talarico |

In sei anni le telco perdono il 18% dei ricavi e l’apporto della filiera al PIL scende all’1,6% dal 2,8% del 2005. Un quadro in chiaro scuro: è il Paese con il più basso utilizzo della banda larga tra i Paesi Ue5, ma siamo leader per la banda larga mobile

Italia


smartphone democracy

Non giungono buone nuove per le imprese italiane attive nel settore delle tlc dal “Rapporto sulla filiera delle Telecomunicazioni in Italia 2013” realizzato da Analysys Mason sulla base dei dati forniti dalle imprese associate ad Asstel, Anitec e Assocontact e da Italtel.

I risultati dello studio, presentati nel corso del 3° Forum della filiera delle Telecomunicazioni, evidenziano come nel 2012 il fatturato complessivo di operatori, fornitori apparati e terminali e call center si sia contratto il 2,4% su base annua, a 48,6 miliardi di euro.

Nel dettaglio, la perdita maggiore (-5%) è quella registrata dagli operatori, che generano complessivamente l’80% dei ricavi del settore e che pure continuano a investire massicciamente nell’aggiornamento delle reti (+6% rispetto al 2011) tanto che l’Italia – nonostante le difficoltà – mantiene il più alto livello di investimenti in proporzione ai ricavi, pari al 16,3%.

Lo stesso indice in Francia si attesta al 12,2%, in Germania al 10% e in Spagna e nel Regno Unito all’11,8%.

 

Un calo sempre del 5% lo hanno registrato i fornitori di apparati, mentre il comparto dei call center, pur evidenziando una crescita del fatturato del 3%, ha mantenuto il margine a livelli molto bassi (circa il 5%), con la conseguenza che anche le imprese di questo settore sono mediamente in perdita. 

 

Dal rapporto emerge un quadro in chiaro scuro: se da un lato siamo il Paese che usa meno la banda larga fissa, siamo invece leader in termini di penetrazione della banda larga mobile.

Compriamo smartphone più di tutti gli altri Paesi Ue, ma la concorrenza – almeno nel settore mobile – e il taglio alle tariffe di terminazione fanno sì che questo successo di pubblico non si trasformi in ricavi per gli operatori.

Dal rapporto emerge infatti che i ricavi da rete mobile sono scesi in un anno del 4,7% (la componente voce retail scende addirittura del 10% e a compensarla non basta la crescita del 3% registrata dal segmento dati). Il tutto mentre, però, la penetrazione delle linee mobili è cresciuta nel 2012 del 27% (a fronte di un calo del 2% nel resto della UE5) e la spesa per i terminali mobili (smartphone e tablet) è aumentata del 20%. Dati che fanno dell’Italia il paese leader in termini di penetrazione della banda larga mobile, che raggiunge il 14% della popolazione, mentre in Francia e Spagna è al 5%, in Germania al 7% e in Uk all’8%.

 

E se il telefonino piange, la banda larga non ride: per la prima volta anche i ricavi da banda larga sono preceduti dal segno meno: – 0,1% nel 2012 dal +3,7% nel 2011.

Con una penetrazione ferma al 55% delle famiglie, l’Italia si conferma il Paese con il più basso utilizzo della banda larga tra i Paesi Ue5 (in Francia la percentuale si attesta al 77%, in Germania all’82%, in Spagna al 67% e nel Regno Unito all’86%), nonostante il fatto che Adsl e 3G raggiungano il 95,6% della popolazione, in linea con la media Ue5 e con gli obiettivi dell’Agenda digitale europea fissati per il 2015. Gli operatori, inoltre, non hanno cessato di lavorare all’incremento della dotazione infrastrutturale: il tracciato di fibra ottica ha raggiunto i 234 mila chilometri (+9% sul 2011) e i Dslam installati sono il 9% in più rispetto al 2011, per un totale di oltre 28,6 milioni di linee fisse (+25% rispetto al 2011). Inoltre, con un mix di reti di nuova generazione fisse (FTTC e FTTH) e mobili LTE, si sta procedendo a diminuire il digital divide garantendo la copertura a circa 4.500 comuni ancora sprovvisti di banda larga. Alla fine dello scorso anno, infine, risultava investito circa il 20% del budget del Piano nazionale banda larga e il digital divide è stato ridotto di 1,2 punti percentuali.

Una conferma, quindi, che tra i gap che affliggono il paese c’è anche da lavorare sull’alfabetizzazione digitale dei cittadini.

 

Dai dati del rapporto emerge poi che il contributo che l’intera filiera offre all’economia tocca il livello minimo degli ultimi 15 anni, attestandosi all’1,6% del PIL (nel 2005, giusto per dare un riferimento, il contributo al PIL si attestava al 2,8%).

 

Se la crisi del settore non riguarda solo l’Italia, ma anche il resto dell’Europa – dove gli operatori denunciano un eccesso di frammentazione che frena gli investimenti e la crescita – nel nostro paese la situazione risulta ben più grave, con un calo dei ricavi del 18% in sei anni. Una percentuale ben superiore a quella registrata nelle altre 4 maggiori economie europee (Francia, Germania, Spagna e Regno Unito).

 

Ne consegue, ovviamente, anche un calo dell’occupazione del 5%, anche se – nota il rapporto – all’interno della filiera continua ad aumentare il lavoro femminile (+1%) e il part-time (+2%).

 

Di fronte a questo scenario, le aziende della filiera chiedono al Governo di garantire che le misure dell’Agenda digitale già decise e approvate in sede legislativa siano finalmente attuate. “Non vi è più alcuna giustificazione per ulteriori ritardi”.