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Telecom Italia: senza rilancio a 360 gradi, lo scorporo della rete è insufficiente se non inutile

Italia


Riceviamo e volentieri pubblichiamo un contributo che ci è stato inviato in risposta al nostro editoriale di ieri dal titolo ‘Le telecomunicazioni italiane sull’orlo del precipizio. Da dove ricominciare?’ L’autore ci ha chiesto di rimanere anonimo.

 

 

Ieri Key4biz ha lanciato un allarme sulle condizioni sempre più degradate delle TLC italiane, entrate in un buio tunnel da cui non sanno più come uscire. È indubbio che le cause (e le responsabilità) sono molteplici, fra loro aggrovigliate in una matassa che sembra infittirsi  sempre più. Ma da qualche parte occorre pure iniziare a cercare un bandolo e quello più importante ha un nome: Telecom Italia. Da anni l’azienda si dibatte in difficoltà sempre più serie. Oggi lascia intendere di essersi decisa, dopo averne negato per anni l’utilità, a ricorrere alla separazione societaria della rete d’accesso. Ma occorre essere chiari, al limite della durezza: né Telecom né l’intero comparto TLC possono permettersi l’illusione consolatoria di avere trovato una soluzione “facile” che potrebbe rivelarsi piuttosto una tragica utopia.

Lo scorporo della rete è una soluzione parziale dei problemi delle TLC nazionali che potrebbe rivelarsi insufficiente se non addirittura inefficace. 

Vediamo perché.

Il problema regolatorio sembra essere la prima motivazione di questo passo, ma potrebbe essere sopravvalutato. Ciò che occorre, e forse ci si poteva pensare prima, è passare dall’attuale Equivalence of Output (EoO) alla piena Equivalence of Input (EoI), che significa fornire lo stesso servizio a tutti gli operatori nello stesso tempo, sotto gli stessi termini e condizioni, e con gli stessi livelli di qualità, attraverso i medesimi sistemi informatici. L’esperienza inglese di BT, attraverso Openreach che ha lanciato la EoI, ha mostrato che già una separazione divisionale determina inefficienze per l’operatore storico. Oltre a quel livello di separazione nessuno sa quanto è prudente andare, specie per una azienda oggi molto provata come Telecom Italia.

Ma c’è di più: mentre Telecom sembra apprestarsi allo scorporo societario della sua rete, la Commissione europea starebbe studiando soluzioni potenzialmente adatte ad incentivare gli incumbent ad investire, riducendo la pressione regolatoria.

Finalmente la Commissione sembra comprendere quanto la propria politica sulle regole si sia rivelata depressiva degli investimenti in infrastrutture e cerca di salvare il salvabile degli obiettivi sulla banda ultra larga della sua Agenda Digitale. Ciò che Telecom mira ad ottenere con il break up della rete potrebbe dunque rivelarsi inutile per questi fini regolatori, fermi restando incertezze e rischi connessi a un’architettura societaria mai attuata in Europa.

Rimane tuttavia, senz’altro pressante, la necessità di attrarre capitali freschi attraverso la CDP o altri investitori infrastrutturali, ad esempio i Fondi sovrani che investirebbero in Italia ma fino ad oggi non lo fanno perché non vengono formulati piani industriali di lungo periodo completi e convincenti. Considerata l’odierna sottocapitalizzazione di Telecom, che ne limita fortemente i margini di manovra, se l’investimento dovesse interessare solo una “TI Rete”  scorporata, del valore soltanto di circa un terzo dell’intero Gruppo, e non l’intera azienda (quindi anche la controllante “TI Servizi”) il rischio concreto è un forte ridimensionamento di prospettive industriali e, prima o poi, anche occupazionali nell’intero settore. Il solo salvataggio della rete sarebbe dunque troppo poco per un paese che non può rinunciare a quel fondamentale volano della ripresa che sono le TLC. Gli investimenti in “TI Servizi”, e la sua ristrutturazione dalle fondamenta, non sono obiettivi meno importanti per evitare che questa importante impresa si avviti in una crisi irreversibile.

I problemi di Telecom Italia dovrebbero essere affrontati in modo complessivo, con occhio “sistemico” e con coraggio imprenditoriale, uscendo dai prolungati tentennamenti: nell’attuale crisi dei mercati, oltre che del settore TLC, le ricette parziali e lo sguardo al breve termine potrebbero non bastare più. Occorre una reale scossa, il rilancio di una capacità di “vision” per troppo tempo accantonata, in un comparto in cui, viceversa, per competere efficacemente, occorre essere più dinamici che in qualsiasi altro settore economico della società moderna.

Visto il problema delle TLC italiane da una prospettiva più allargata che si faccia o no, lo scorporo societario della rete risulta una scelta molto meno rilevante, e comunque parziale, di quanto si voglia credere: i veri problemi di Telecom Italia sono quelli di un rilancio a 360 gradi dell’azienda. È francamente difficile negare che i seguenti siano alcuni fra i provvedimenti più urgenti su cui concentrare l’attenzione:

a) Completare l’integrazione fisso-mobile. A distanza di molti anni dalla sciagurata fusione TIM-Telecom rimane, purtroppo, solo l’enorme crescita dell’indebitamento. I vantaggi previsti all’epoca non sono stati ottenuti, perché tuttora le logiche aziendali non vanno nella direzione di una piena integrazione di processi e di politiche commerciali. Occorre finalmente superare gli “steccati” interni all’azienda a partire dalla capacità di confezionare offerte di pacchetti di servizi congiunti fisso-mobile, avviando senza indugio il completamento, in tutti i sensi, dell’integrazione societaria. A regime non dovranno esserci più tracce dei vecchi distinti business fisso e mobile, ma un unico “business convergente”.

b) Invertire rapidamente la politica delle dismissioni all’estero. Il mercato italiano è in contrazione, sia sul versante del fisso che su quello del mobile, e non ci si può attendere che questa tendenza rallenti nei prossimi anni. Non soltanto i “gioielli” sudamericani vanno valorizzati, ma occorre volgere lo sguardo a paesi in crescita, a partire dall’Africa. Occorre recuperare una sufficiente capacità investitoria e, considerata la situazione del debito ancora alto, è su questo obiettivo di crescita nei mercati emergenti che occorre mobilitarsi identificando nuove forme di partnership. Per facilitare il conseguimento di questi obiettivi, si dovrà anche stimolare una politica industriale di settore che i precedenti Governi, purtroppo, hanno fatto totalmente mancare (positivi in questo senso appaiono i recenti segnali del Presidente Letta, da non lasciare cadere nel nulla).

c) Accettare la sfida degli OTT. Anche gli altri incumbent europei soffrono la crisi economica, sebbene non quanto Telecom Italia. Soffrono anche la concorrenza di operatori delocalizzati e agili come gli OTT. L’approccio di Telecom Italia, negli anni passati, è apparso sterilmente recriminatorio. Non che gli altri operatori europei non abbiano elevato alte le giuste proteste per una concorrenza non sempre leale di questi soggetti extraeuropei, facilitata da una totale assenza di regole in internet che facilita gli abusi sia verso i concorrenti che verso i clienti. Ciò nonostante i più dinamici fra i Telco europei hanno attivato da tempo iniziative volte a rimodernarsi sul versante dei servizi, accettando la sfida degli OTT. Basti pensare a Telefonica che già dal 2011 ha avviato a Londra, ossia nel vitale mercato britannico che stimola l’avvio di start up innovative e di collaborazioni universitarie, la nuova iniziativa “Telefonica Digital” con l’obiettivo di fare cambiare pelle alla casa madre entrata in crisi e di renderla così più competitiva proprio sul versante dei servizi over-the-top. Purtroppo all’orizzonte non si intravvede ancora nulla di questo da parte di TI.

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