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Le telecomunicazioni italiane sull’orlo del precipizio. Da dove ricominciare?

Italia


La crisi batte ormai sul mondo dal 2008 e uno dei settori che più ha accusato la recessione è proprio quello delle telecomunicazioni.

E’ una considerazione che vale per l’Europa (non per il resto del mondo), ma che per l’Italia registra dimensioni drammatiche.

Le Tlc italiane perdono molto di più che nel resto d’Europa e contribuiscono molto di meno al PIL nazionale rispetto a qualunque altro paese tra i big five europei (appena il 2,7%).

Eppure c’è stato un lungo periodo in cui le Tlc italiane erano tra le più apprezzate a livello internazionale.

Oggi questo patrimonio non esiste più. Le Tlc italiane perdono quattrini su tutta la linea, sono in crisi d’identità, con alle spalle un vuoto di anni di decisioni governative in direzione delle infrastrutture di rete e con un passato recente di straordinaria conflittualità tra competitors a proposito del futuro della rete e della sua governance.

Il mercato accusa una contrazione sia sul fisso che sul mobile e questo proprio a cavallo dei più imponenti avanzamenti tecnologici del settore e della più ampia domanda potenziale in vista degli obiettivi della pur asfittica agenda digitale (non che la Digital Agenda europea se la passi meglio…).

Nulla di tutto questo è successo altrove nel mondo.

Oggi le Tlc italiane sono un patrimonio in cerca di futuro.

I quattro operatori principali accusano stati di difficoltà, gravi, anche se differenziati, che richiedono un ripensamento delle strategie e una nuova riformulazione delle politiche industriali del paese. Resta da vedere se gli operatori saranno in condizioni di esercitare le dovute pressioni sulla classe politica e se quest’ultima, in palese crisi d’ossigeno, sarà capace di un guizzo di efficienza per il futuro del paese che vada al di là della punta delle scarpe.

Ora, l’argomento del giorno è lo scorporo della rete, tema a cui tutti i soggetti arrivano con la lingua penzoloni. Difficile dire ciò che accadrà, ma ancor più difficile considerare come plausibili le soluzioni che si paventano qua e là.

Su tutto, pesa sull’industria di settore un sistema di impoverimento progressivo che ha ridotto all’osso i margini. E la colpa non è solo degli OTT, che parassitariamente bruciano banda.

Sarebbe sin troppo facile. Vi sono, come abbiamo visto sopra molte ragioni, cui va aggiunta una circostanza abbastanza unica in Europa.

Da lunghi anni nel mobile (una volta considerata come la gallina dalle uova d’oro) si assiste ad una condotta di abbattimento dei prezzi delle offerte, che appaiono ampiamente al di sotto dei costi. Sono operazioni che possono verificarsi per brevi periodi; operazioni che possono sostenere estemporaneamente delle scelte di politica commerciale, ma che non possono essere adottate sistematicamente in barba a qualunque regola di mercato.

Naturalmente ciascuno è libero di ripianare i debiti della propria azienda, tanto più se può attingere ad altri settori del gruppo di appartenenza ben più redditizi.

Ma se il fenomeno supera una certa scala è di diretta competenza delle autorità antitrust, che hanno l’obbligo di verificare l’eventuale verificarsi di processi di alterazione delle regole del mercato e della concorrenza.

L’Europa si è mossa con fermezza nelle ultime settimane, nei confronti di alcune imprese cinesi finite sotto l’occhio delle autorità di Bruxelles.

L’Italia e le sue Tlc hanno bisogno di mercato e competizione, senza cui è difficile immaginare condizioni attrattive per qualunque investitore.

E hanno innanzitutto bisogno di un sistema di regole meno rigido, adatto a un mercato maturo quale quello delle Tlc.

Su questo vedremo anche quale sarà l’orientamento di AgCom, nel quadro dei desiderata che la UE sta palesando per il futuro del settore, la cui prospettiva più importante (e forse l’unica che potrà assicurargli un futuro internazionale) è quella del mercato unico digitale europeo. 

Ma su questo ci aspettiamo anche l’avvio di un processo di largo respiro del Governo, sì questo Governo, perchè l’Italia ha bisogno di una nuova politica industriale che guardi alla prospettiva della ‘società connessa’ e al cambio di passo che essa comporta.

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