Apple e tasse, l’Irlanda si difende: ‘Le nostre leggi in regole, le colpe delle giurisdizioni che consentono l’elusione’

di Raffaella Natale |

Prima di comparire davanti al Senato USA, Tim Cook ha pubblicato una memoria difensiva, disponibile a piè di pagina.

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Sede Apple

Il governo di Dublino ha respinto le accuse contenute nel Rapporto del Senato USA che additano il Paese come un paradiso fiscale che ha permesso ad Apple di sottrarsi al pagamento di miliardi di tasse in tutto il mondo.

Il vicepremier Eamon Gilmore, commentando l’audizione del CEO di Apple Tim Cook al Senato USA, ha dichiarato che “l’Irlanda ha un regime fiscale in regole” e che le colpe sono da attribuire a quei Paesi che presentano ancora delle ‘lacune’ nelle loro leggi che permettono alle multinazionali di ricorrere a “complesse strategie per eludere le tasse”.

Il problema non riguarda l’Irlanda, ma queste giurisdizioni, ha ribadito Gilmore che oggi ha partecipato a un vertice a Bruxelles sull’evasione fiscale mentre su questo tema domani si terrà un Consiglio europeo (Leggi Articolo Key4biz).

 

Il Senato USA ha accusato Dublino d’essere al centro della strategia fiscale messa in piedi da Apple per sottrarsi al pagamento delle tasse, ricorrendo a un complesso sistema di società offshore. Alcune filiali estere erano, e sono tuttora, delle “scatole vuote”, senza alcun dipendente, interamente gestite dal quartier generale californiano.

Secondo il Rapporto del Senato, Apple traghetta in Irlanda la maggior parte dei propri profitti internazionali e, grazie a un accordo col governo, gli viene applicata un’aliquota fiscale inferiore al 2% su tutti gli utili tassabili in questo Paese, ben al di sotto del 12,5% previsto invece per le società irlandesi.

Apple ha aperto il suo primo ufficio in Irlanda 30 anni fa e oggi impiega 4 mila persone nella suo quartier generale a Cork.

 

L’Irlanda d’altronde anche per l’OCSE è un paese ‘tax-compliant’.

 

L’azienda non avrebbe comunque commesso reati, fa sapere il Senato USA. Ovviamente da parte di Apple, ma anche di tante multinazionali soprattutto web company, non c’è nulla d’illegale in tutto ciò. Si tratta semplicemente si fruttare le lacune delle varie legislazioni per spostare i capitali nei Paesi dove la tassazione è più vantaggiosa. Spesso si adotta la cosiddetta strategia del “doppio irlandese con panino olandese” (Double Irish With a Dutch Sandwich), che consiste nel trasferire i denari verso le sussidiarie irlandesi e olandesi, per poi traghettare il tutto ai Caraibi.

In fine, quindi, tutte queste grandi aziende si arricchiscono vendendo servizi prodotti in tutti i Paesi, ma sfuggono al fisco portando le loro ricchezze nei paradisi fiscali.

 

Prima di presentarsi oggi di fronte al senato per l’audizione, Tim Cook ha pubblicato una memoria difensiva, 17 pagine per spiegare all’amministrazione Obama quali misure adottare per far rimpatriare i capitali.

Sull’argomento nei giorni scorsi Cook aveva rilasciato anche un’intervista al Washington Post, dove suggerisce una “semplificazione sostanziosa” delle leggi che regolano il modo in cui sono tassate le aziende americane (Leggi Articolo Key4biz), ma soprattutto chiede un abbattimento dell’aliquota del 35%.

 

Apple ha una riserva di liquidità di 145 miliardi di dollari. Secondo il Senato USA, circa cento miliardi sono tenuti in società offshore.

Il valore totale delle imposte che Apple sarebbe riuscita a sottrarre al fisco americano è stato stimato a 74 miliardi tra il 2009 e il 2012.

L’azienda di Cupertino si è difesa definendosi “uno dei maggiori contribuenti del paese”, aggiungendo che nel 2012 ha pagato sei miliardi di dollari al fisco. Ma in realtà quanti ne avrebbe dovuto pagare se non ci fosse stata di mezzo l’Irlanda?

 

Per maggiori approfondimenti:

Memoria difensiva di Tim Cook (Apple)