‘Internet. Regola e anarchia’: poteri forti e assenza di norme, quale futuro per il web?

di di Miriam Viggiano (Avvocato e dottore di ricerca in diritto pubblico interno e comunitario) |

La riflessione giuridica, ma anche politica, italiana fa fatica a stare dietro un fenomeno che è in continua evoluzione.

Italia


World Wide Web

Si è tenuto in questi giorni a Napoli, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Federico II, il convegno per la presentazione del volume “Internet. Regola e anarchia” scritto dalla costituzionalista Giovanna De Minico.

Si è trattato di un evento importante per il capoluogo e l’accademia partenopea data l’indubbia valenza del tema discusso e le personalità di rilievo nazionale che hanno presenziato all’incontro: Giuliano Amato, Angelo Cardani, Giovanni Pitruzzella, Massimo Villone, Lucio De Giovanni, Gaetano Manfredi e Giuseppe Guizzi.

 

Perché discutere oggi di un libro su Internet, peraltro, in un Dipartimento di diritto?

 

Il motivo è che la riflessione giuridica, ma anche politica, italiana fa fatica a stare dietro un fenomeno che è in continua evoluzione. La discussione dialettica fra studiosi e tecnici appare, dunque, fondamentale per fare il punto della situazione, capire dove si sta andando e, eventualmente, cambiare direzione.

 

I molti temi esaminati nel volume sono fuoriusciti dall’ambito, troppo spesso, autoreferenziale del mondo accademico per essere esaminati, sezionati e messi alla prova all’esterno. Gli stessi sono stati oggetto anche di costruttive critiche, che confermano come la complessità e la felicità delle intuizioni dell’autrice costituiscono rebus sic stantibus un importante strumento di lettura del fenomeno, ma anche una valida base per successivi studi e approfondimenti.

 

Il primo punto, precondizione non sempre scontata per giuristi e tecnologi evidenziata, fra l’altro, anche da Lucio De Giovanni (direttore del dipartimento di giurisprudenza) e da Gaetano Manfredi (ingegnere e prorettore dell’ateneo federiciano), è che argomenti interdisciplinari devono essere trattati in maniera interdisciplinare. Come i giuristi non possono fare a meno delle conoscenze tecniche di cui sono portatori solo ingegneri o informatici, così ingegneri e informatici non devono mai saltare il vaglio degli esperti di diritto, perché non tutto ciò che è tecnologicamente possibile è anche giuridicamente e socialmente auspicabile.

 

Il secondo punto – come è emerso nel libro e nel dibattito – è che “regole e anarchia” in Internet non sono binomi alternativi, perché la rete è una realtà eterogenea e, come tale, deve essere visualizzata in tutte le sue diverse angolazioni: non possono esistere aut aut generalizzati.

In proposito, Amato ha parlato di un atteggiamento regolativo “a spicchi”, nel senso che nessuno mai si azzarda – giustamente – a intervenire su Internet nel suo complesso, ma di volta in volta singoli settori del web sono oggetto di attenzione ed eventualmente di provvedimenti.

Sotto tale profilo, tutta la sensibilità dello studioso di diritto costituzionale è riemersa nelle considerazioni svolte sui temi della democrazia in rete e sulla reale configurabilità di un diritto di accesso a Internet.

 

È stato evidenziato, con una certa preoccupazione, lo sviluppo di un nuovo trend lontano dalla declamata libertà e democrazia telematica riferendosi alla nascita di certe comunità d’interesse in rete fondamentalmente “chiuse”, che sviluppano determinate idee, ma non dialogano fra loro e non ammettono in alcun modo il contraddittorio.

Il senso di queste parole non deve essere però equivocato.

La carica innovativa del web risiede proprio nel fatto che chiunque può aprire un blog, dire ciò che vuole e far parlare chi desidera al suo interno. Chi dissente può a sua volta aprire un altro blog o un’altra pagina web in cui obiettare e far valere la propria voce.

 

Tuttavia, e qui sarebbe il problema, non esistono effettivamente strumenti in rete per restituire ai soggetti lesi dalla diffusione d’informazione sbagliate o false un minimo di riscontro, obbligando ad esempio il gestore di un blog o di una pagina web a rettificare le notizie se frutto di errori come accade, invece, per la carta stampata.

Anche Cardani (presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) è intervenuto sul profilo della democraticità della rete, ricordando il ruolo affrontato dall’Agcom con riferimento al problema della par condicio in periodo elettorale. Il presidente ha toccato un punto cruciale nel dibattito della regolazione di Internet, ossia se sia possibile e quando – con particolare riferimento alla par condicio – importare le regole previste in materia per gli altri mezzi di diffusione (televisioni e giornali) alla comunicazione in Internet.

 

Sul punto è intervenuto anche Villone (costituzionalista e senatore della repubblica nelle legislature XII, XIII, XIV, XV) per rappresentare che le regole sulla parità di accesso fra le forze politiche ai mezzi di comunicazione di massa trovano la propria ratio nell’esigenza di garantire a tutti la disponibilità di beni che hanno delle effettive barriere all’accesso sia tecniche che economiche (come ad esempio la limitatezza delle frequenze disponibili sull’etere per la tv e il costo per poter aprire un canale televisivo o una propria testata giornalistica). In merito, ci si è chiesto se la disciplina richiamata avrebbe ancora un significato per un mezzo come Internet che non presenta i limiti degli altri mezzi di comunicazione, considerando che gli spazi virtuali della rete sono ipoteticamente accessibili da parte di chiunque.

 

Senza entrare nel merito delle tesi riportate dagli studiosi citati (Amato, Cardani e Villone), sicuramente una vera democraticità della rete non è, e non sarà possibile, se l’accesso – inteso come diritto alla connettività almeno in banda larga – non sarà consentito a tutti in condizioni di parità. È per questo che nel volume oggetto del dibattito si sostiene l’ormai irrinunciabile qualificazione dell’accesso a Internet come diritto sociale, nel senso di dover riconoscere un dovere d’intervento dei pubblici poteri per poter consentire a tutti i cittadini di usufruire delle risorse telematiche e partecipare allo sviluppo sociale.

 

Trattandosi, tuttavia, di diritto sociale “condizionato” dalle risorse economiche disponibili, rimane irrisolto il nodo del finanziamento per lo sviluppo, funzionale all’accesso, della rete. Tale finanziamento non potrà mai essere effettuato – come ha giustamente rilevato in senso critico Amato – ricorrendo a forme d’indebitamento del soggetto pubblico sulle spese correnti, poiché esiste un preciso divieto in merito. Il ricorso all’indebitamento può essere fatto solo per le spese d’investimento e, in tal senso, l’ammonimento mosso all’autrice si è trasformato in un suggerimento mutuato proprio dalle considerazioni svolte dalla stessa nel volume, laddove si sostiene, come comprovato in altre esperienze europee, che gli investimenti finalizzati allo sviluppo delle reti in banda larga (ADSL) e ultra-larga (fibra ottica) producono ricchezza, aumento del Pil e posti di lavoro.

 

Il tema dello sviluppo delle nuove reti, della regolazione e della garanzia di un’effettiva concorrenza degli operatori di telecomunicazione, oggetto di buona parte del libro, è stato variamente toccato da Pitruzzella (presidente dell’Autorità per la concorrenza ed il mercato) e da Guizzi (professore di diritto commerciale dell’ateneo di Napoli).

La questione è come assicurare lo sviluppo delle infrastrutture necessarie per la veicolazione del segnale di trasmissione delle comunicazioni elettroniche in modo, in primo luogo, da permettere l’uguale accesso di tutti gli operatori di telecomunicazioni e, in secondo luogo, da evitare investimenti che possano favorire solo l’operatore verticalmente integrato (ex monopolista).

 

Al riguardo, Guizzi ha ricordato i due diversi modelli presenti in Europa: quello anglosassone che richiede l’intervento regolativo dello Stato al fine di stabilire regole eque di concorrenza fra gli operatori che garantirebbe di per sé anche la rimuneratività degli investimenti e quello tedesco della vacanza regolatoria (regulatory holidays) che postula, al contrario, un arretramento dello Stato a favore di un piano per gli investimenti da parte degli operatori di settore.

 

In tale quadro, il fine ultimo dovrebbe essere quello di tutelare il consumatore finale considerando che la tutela della concorrenza è volta proprio alla realizzazione del miglior servizio al prezzo più conveniente. Ciò è sempre più complicato soprattutto in ambiente Internet – come ha sottolineato, fra l’altro, Pitruzzella – anche perché nel cd. commercio elettronico la definizione stessa dei mercati di riferimento è sempre in evoluzione.

L’esempio portato dal presidente dell’Antitrust è quello delle attività e del bacino di riferimento degli operatori cc.dd. Over the top (Amazon, Google, Facebook e Apple) che rappresentano ormai i nuovi veri poteri forti, considerando il fatturato pari a milioni di euro solo in Italia a fronte dell’utilizzazione a costo zero delle infrastrutture di rete già esistenti.

 

È possibile affermare che, a parte le singole soluzioni, il significato autentico della giornata è stato riportare la discussione nell’Università come luogo di conservazione del sapere accademico e di ricerca di nuovi modelli per far fronte ai problemi attuali in prospettiva futura.

Questo è stato l’obiettivo dell’autrice del libro presentato a Napoli e questo dovrebbe essere lo scopo della ricerca universitaria intesa nel suo complesso: (per-)mettere lo studio, il lavoro e il confronto degli studiosi al servizio della società.