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Fiction, in 4 anni il fatturato ha perso il 24%. Sempre maggiore l’esportazione dall’estero

Italia


La crisi economica comincia a pesare anche sulla produzione di contenuti televisivi. E’ quello che emerge da ‘Il mercato audiovisivo e la fiction: quali leve per lo sviluppo?‘, IV Rapporto sulla Fiction presentato oggi a Roma dall’Istituto di Economia dei Media della Fondazione Rosselli per conto dell’APT (Associazione produttori televisivi presieduta da Fabiano Fabiani), Sviluppo Lazio e RomaFictionFest.

La produzione registra una diminuzione dell’8,8%, con un calo d’investimenti dei broadcaster per il settore dai 270 milioni del 2011 ai 255 milioni di euro del 2012.

La diminuzione è legata anche alla contrazione del mercato pubblicitario, che ha chiuso il suo anno peggiore negli ultimi 20 anni, con un -14.3% di investimenti nel mercato audiovisivo, che arriva a -15.3 per la Tv.

 

Dal 2008, anno d’inizio della crisi, il fatturato delle imprese di fiction si è ridotto di circa un quarto (-24%), attestandosi a 650 milioni di euro, secondo la stima del 2012.

Si tende inoltre a non considerare la fiction d’interesse imprenditoriale, tanto è vero che s’importa più che esportare produzione: in 5 anni, dal 2006 al 2011, le importazioni di fiction sono cresciute del 67% su base nazionale, mentre l’export è calato del 58%, parliamo di un deficit di oltre 200 milioni di euro.

L’Italia è il Paese europeo che importa il maggior numero di ore di serie di fiction tv e che spende la cifra maggiore in acquisto di serie straniere, specie dagli Stati Uniti.

 

Ancora più negativo è il trend dell’intero comparto audiovisivo nello stesso arco di tempo.

Parliamo di una perdita del 31% come evidenzia il Rapporto illustrato da Bruno Zambardino che con Flavia Barca, entrambi della Fondazione Rosselli, ha coordinato il gruppo di autori – Marta Palazzolo, Monica Sardelli – del quale ha fatto parte lui stesso.

 

L’industria italiana della fiction appare, quindi, in evidente difficoltà, e il mercato tende verso la concentrazione: le prime 20 aziende coprono oltre il 70% del mercato.

 

Il fatto poi che aumenti l’importazione e si riduca l’esportazione determina un duplice effetto ‘perverso’: da un lato i palinsesti accolgono una quota sempre maggiore di prodotto estero (dai costi inferiori a quelli domestici), restringendo gli spazi per la fiction nazionale; dall’altro, a parte casi isolati, lo scarso appeal della nostra produzione all’estero preclude le possibilità di reperire risorse sui mercati internazionali attraverso lo strumento delle coproduzioni, considerata invece una strada maestra per invertire la rotta e rafforzare la presenza italiana all’estero.

 

I volumi produttivi annui si sono ridotti di un terzo nell’arco di cinque stagioni, restringendo ulteriormente gli spazi di concorrenza tra le imprese; nel periodo settembre 2011-agosto 2012 solo il 33% della fiction trasmessa sulle reti italiane (pari a 580) era di produzione italiana, mentre il 51% (918) era di marca americana e il 16% (283) proveniente dal resto d’Europa; sulle reti ammiraglie dei broadcaster si addensa prodotto domestico pregiato (con ascolti che vanno sopra la media di rete), mentre sulle reti cosiddette ‘cadette’ si addensa quello estero di matrice prettamente seriale. Da rilevare anche che i dati evidenziano come l’Italia sia relegata in una posizione marginale rispetto ai principali competitor europei, vale a dire Regno Unito e Francia. A fronte, infatti, di un ridimensionamento del volume di affari, le performance risultano differenti da Paese a Paese: si va quindi dai 720 milioni nel regno Unito ai 537 della Francia (un mercato rivelatosi più stabile degli altri negli anni della crisi mondiale), mentre l’Italia è a quota 270 milioni, con variazioni negative più marcate rispetto alla media.

 

Il decremento degli investimenti in produzione non corrisponde, però, a un calo proporzionale nei ricavi delle reti televisive.

Gli autori sottolineano, infatti, che nel periodo considerato si osserva addirittura un miglioramento. Solo che le risorse aggiuntive non sono andate a rafforzare gli investimenti in fiction nazionale, nonostante i buoni ascolti suggerissero il contrario, ma si sono dirette su altri generi della programmazione tv del broadcaster o altre voci di costo.

In definitiva il 2012 ha visto un accentuarsi delle politiche di contenimento dei costi e di quelle mirate alle riduzioni dei budget d’investimento destinati dai broadcaster alla produzione indipendente. Ed estendendo nel tempo l’analisi, con un calo verticale negli ultimi 5 anni con inevitabili conseguenze sui fatturati delle aziende e sui livelli occupazionali diretti e dell’indotto.

 

Sempre a causa della crisi, aumenta il tempo che si trascorre davanti alla televisione. L’Italia detiene il record europeo per minuti di fruizione giornaliera, rispetto agli altri principali Paesi: 253 minuti ogni giorno rispetto ai 246 dello scorso anno.

 

Il Rapporto evidenzia anche che il mercato audiovisivo online è in forte crescita e non è più quello amatoriale.

Su YouTube (1 miliardo di utenti) solo il 22% dei contenuti è di natura ‘amatoriale’, altro 22% è occupato da settore Media, il 13% da Clip musicali, il 13% da Video pubblicitari, il 10% da Fiction, il 6% da Tutorials altro 6% da Discorsi e Conferenze, il 3% da Film e un restante 5% da video di Altra tipologia.

Nel 2012 la piattaforma di Google ha investito 200 milioni di euro in produzione di contenuti originali e canali premium professionali. A febbraio 2013 sono stati 6,4 i milioni di utenti che hanno visualizzato almeno un contenuto video, con 53,8 milioni di video fruiti e una media di 27 minuti di tempo speso per persona (nel giorno medio 8 minuti per persona).

Internet sta diventando un canale di distribuzione affidabile e l’ingresso di Google, Netflix, Amazon e Apple impone nuove regole nelle relazioni tra vecchi e nuovi player con nuovi spazi sempre maggiori di creatività come l’enorme fenomeno delle web series.

 

Fabiano Fabiani, presidente dell’Associazione Produttori Televisivi (APT), ha dichiarato: “Riteniamo fondamentale che la definizione di audiovisivo debba comprendere tutti i generi della produzione: fiction, intrattenimento leggero, cartoni animati, documentari e cinema. La legislazione deve fare suo questo concetto ed equiparare i generi per quanto riguarda regole e risorse. Abbiamo motivi fondati per credere che tale disparità sia illegittima, anche dal punto di vista della normativa europea”.

 

Un segno di fiducia si coglie dalle dichiarazioni di Claudio Pompei (Capo Ufficio Stampa della Camera di Commercio di Roma): “Guardiamo al futuro con un pizzico di ottimismo, ragione per cui la Camera di Commercio sostiene le iniziative che riguardano un settore strategico per lo sviluppo del nostro territorio; nonostante la gravità della crisi, infatti, il fatturato delle imprese di fiction nel Lazio equivale ai tre quarti della produzione nazionale”. 

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