La televisione alla sfida della convergenza: il satellite, la soluzione più efficace

di di Augusto Preta (CEO ITMedia Consulting) |

Sul piano dell'evoluzione del modello - il broadcasting - non vi è dubbio che il satellite appare meglio attrezzato per rispondere alle sempre maggiori sfide competitive che il settore si trova ad affrontare.

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Augusto Preta

Qual è il futuro della Televisione? Come cambia la distribuzione televisiva nell’era della scarsità delle frequenze? Come assicurare un servizio TV capace di offrire significative Experiences? Come coniugare TV e immagine HD superando i limiti del digitale terrestre? Quali i nuovi modi del consumo televisivo con l’arrivo di tablet e smartphone? Ma innanzitutto, come guardare con occhi nuovi il domani di un mezzo che in passato ha rappresentato il focolare elettronico domestico e che in futuro vorrebbe rimanere al centro del consumo dei contenuti digitali?

Questi i temi principali aperti dall’intervista a Luca Balestrieri, Presidente di TivùSat, su cui abbiamo invitato a confrontarsi addetti ai lavori ed esperti del settore.

 

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Fino a tempi recenti l’industria televisiva ha guardato ai processi d’innovazione e di radicale trasformazione che hanno caratterizzato gli altri media in maniera abbastanza distaccata.

In fondo se si guarda ai fondamentali, ancora oggi tutte le rilevazioni dimostrano come almeno in Europa il consumo televisivo, in modalità lineare, continui a crescere, raggiungendo livelli mai visti prima. Il tutto avviene in un contesto nel quale comunque la relazione tra pubblicità e ascolti (costo contatto) nell’offerta lineare continua ad essere molto attraente per gli investitori, non producendo apparentemente quelle dinamiche distruttive che hanno caratterizzato tutti gli altri comparti dei media classici (editoria libraria, stampa quotidiana e periodica, discografia).

 

Inoltre il digitale terrestre ha costituito a lungo nei vari paesi l’unico sentiero percorribile, determinando comunque fenomeni rilevanti, non solo sostitutivi, come la crescita del numero di canali e di nuove modalità di ascolto (offerta tematica), che hanno certamente trasformato e per molti versi messo in crisi la struttura di mercato così come si era manifestata e consolidata per decenni. Ma tutto questo non mettendo in discussione il modello complessivo dell’industria (risorse economiche, catene del valore, main players), che hanno continuato a operare all’interno del settore, pur in uno scenario competitivo più ampio e diversificato.

 

Le trasformazioni in atto, soprattutto a partire dal 2012, fanno però ritenere che questa fase sia ormai passata e se ne apra una nuova, in cui nuovi modelli distributivi si affermano.

Sul piano dell’evoluzione del modello – il broadcasting – non vi è dubbio che il satellite appare meglio attrezzato per rispondere alle sempre maggiori sfide competitive che il settore si trova ad affrontare.

In particolare in Italia, che presenta caratteristiche peculiari in termini di disponibilità di risorse frequenziali, il satellite rappresenta la soluzione più efficiente.

 

Questo vale sotto vari profili: il primo riguarda certamente la qualità dell’offerta, a cominciare dall’alta definizione e poi via via per il 3D e il 4k, il cui lancio su vasta scala è previsto in occasione dei mondiali di calcio del prossimo anno. E’ evidente che queste nuove modalità di offerta richiedono capacità sempre più ampia e potranno determinare, per chi svilupperà tali servizi,  vantaggi competitivi importanti, sia in rapporto ai concorrenti tradizionali (broadcaster), sia come vedremo meglio in seguito, dei cosiddetti over-the-top (OTT).

 

In più, anche in chiave di migliore razionalizzazione ed efficienza dell’etere, il satellite renderebbe meno problematica l’attuale transizione all’LTE, con tutto quello che ne consegue in termini di incertezza sul futuro di molte emittenti locali e sul superamento dei ritardi e difficoltà che gli assegnatari delle licenze si trovano ad affrontare in questa fase.

Ne consegue che il satellite si trova oggi nella possibilità di giocare una partita importante, come protagonista di una stagione nuova per i broadcaster, caratterizzata da una sempre più ampia e aperta concorrenza con i vari attori della nuova catena del valore (telcos, OTT, produttori di apparati) e nella quale la tv connessa, insieme al modello multi-device e la conseguente integrazione con gli schermi secondari diventa un ulteriore elemento di competizione e di sviluppo strategico.

 

E’, infatti, evidente come internet non possa più essere considerata un’opzione, ma una componente destinata a essere sempre più centrale nelle strategie dei broadcaster. Due sono i fattori chiave. La forte crisi economica a livello globale, che riduce, se non azzera, i margini di profitto delle imprese televisive, accrescendo le incertezze per il futuro. In altri termini l’età dell’oro della televisione (commerciale), durata per oltre un ventennio, dalla fine della prima decade degli anni 2000 può dirsi definitivamente conclusa. Il trasferimento dei contenuti su reti meno aperte e controllate, ma in una logica multipiattaforma e multischermo rappresenta una prospettiva più rischiosa ma allo stato attuale l’unica se si vuole ritornare a crescere.

L’altro è la crescita e la diffusione della banda larga (e in prospettiva ultra larga), trainata principalmente dal video. Secondo Cisco, in Europa occidentale il traffico internet su rete fissa crescerà di quasi quattro volte, a un tasso medio annuo del 27% tra il 2011 e il 2016, e il traffico video rappresenterà il 54% del traffico consumer nel 2016, rispetto al 43% del 2011.

 

Il traffico video costituirà oltre la metà del traffico complessivo consumer già nel 2012. Inoltre, sempre in Europa Occidentale, il traffico video su reti mobili crescerà di quasi 20 volte tra il 2011 e il 2016, a un tasso medio annuo dell’80%, e il video costituirà il 51% del traffico dati mobile nel 2016, rispetto al 39% del 2011.

 

Questo richiederà reti sempre più capaci di veicolare tali contenuti, sostitutive o complementari rispetto alle reti attuali?

 

In tutti i casi, visto dal punto di vista dell’industria televisiva, il quadro che emerge è che gli spettatori vogliono sempre più contenuti video di intrattenimento, i produttori di tali contenuti vogliono distribuirli sul maggior numero di piattaforme e di schermi possibili e i titolari dei diritti sui contenuti vogliono essere sicuri di essere adeguatamente remunerati. Una volta che queste condizioni si realizzano, anche per l’operatore televisivo, pay o free, che opera in un mondo broadcast ormai maturo e prossimo alla saturazione, diventa complicato giustificare assenze o ritardi sull’unico versante in crescita: internet.

 

Di fronte alla sfida di internet, la questione chiave per i broadcaster è dunque come adottare lo stesso modello che si è rivelato distruttivo per l’industria dei media (vedi discografia ed editoria) ed utilizzarlo per continuare a rimanere centrali e sostenibili anche nel nuovo contesto.

 

Due aree di sviluppo sono la social TV e gli schermi secondari. I broadcaster ammettono la necessità di avere una presenza sui social media e di collegarla all’esperienza TV attraverso dispositivi secondari. Ma le opportunità non sono affatto chiare. La monetizzazione tramite pubblicità non è al momento sostenibile, mentre permangono barriere dovute alla frammentazione delle app e alla carenza di economie di scala. E la correlazione tra attività sui social network, ascolti e ricavi da pubblicità tradizionale – che intuitivamente dovrebbe essere positiva – si è dimostrata più complicata del previsto.

 

Accanto all’offerta su televisore della tv connessa, che però stenta a decollare, il settore si caratterizza per una crescente attenzione al multiscreen e agli schermi “secondari” (tablet, smartphone, pc). In questo ambito la programmazione televisiva, in contemporanea con il tv set, ha come obiettivo di fidelizzare lo spettatore e mantenere elevati i tempi di ascolto delle propri contenuti, che tendono a segmentarsi e a ridursi in un universo sempre più ampio e competitivo di offerte e di canali concorrenti.

 

Si tratta di un cambiamento epocale nel modo in cui i consumatori/utenti fruiscono i contenuti audiovisivi e in particolare in questa fase i prodotti a utilità ripetuta (libraries) come film e serie. Gran parte dei ricavi generati negli Stati Uniti derivano ormai da modelli di business basati sull’offerta legale via internet e non più dall’homevideo fisico o la tradizionale tv a pagamento, dando al contempo  anche un colpo significativo al fenomeno della pirateria.

 

Il problema principale, soprattutto in Europa, è che fino ad ora non è emerso alcun modello di business chiaro e convincente per questi nuovi servizi, che però nei fatti, attraverso l’offerta legale di contenuti pregiati e professionali, hanno il merito di ridurre l’impatto, ancora oggi rilevante, della pirateria, che distrugge il valore dei contenuti protetti da copyright.

 

In questo contesto la sfida si sposta dalla dimensione nazionale a quella globale. La competizione per un editore televisivo è oggi più che mai sui contenuti e sulla loro capacità di essere attraenti, convenienti e accessibili in ogni momento, in ogni luogo e su ogni device e piattaforma. Tutti i broadcaster dunque da quelli in chiaro (tv generaliste in primis) fino agli operatori multicanale a pagamento sono dunque chiamati ad affrontare un processo di trasformazione e di riposizionamento strategico che include anche il sistema distributivo più efficiente in termini di piattaforma distributiva e che richiede una profonda revisione dei modelli d’offerta all’interno della nuova catena del valore.

 

 

Il futuro della televisione: lo speciale di Key4biz