Tariffe dati a consumo: ecco perchè anche le telco Usa stanno abbandonando i piani illimitati

di Alessandra Talarico |

Secondo uno studio della New America Foundation, servono nuove regole per promuovere la concorrenza.

Stati Uniti


Netflix

Un nuovo studio, incentrato sulle tariffe dati praticate dagli operatori americani, rimarca la necessità di implementare riforme che promuovano la concorrenza sul mercato della banda larga fissa e mobile.

Lo studio ‘Capping the Nation’s Broadband Future?‘ – realizzato dall’Open Technology Institute (OTI) della New America Foundation – sottolinea come negli ultimi anni i principali fornitori di accesso a internet d’oltreoceano, da AT&T a Verizon, abbiano gradualmente eliminato i piani dati illimitati per i loro servizi a banda larga in favore di tariffe più costose, differenziate in base al livello di consumo. Per giustificare questo cambiamento gli ISP hanno sottolineato la necessità di ridurre la congestione delle reti e di coprire i costi operativi legati all’incremento dell’uso di servizi ad alto consumo di banda come lo streaming video.

L’analisi di OTI, tuttavia, confuta queste giustificazioni e spiega che questi piani dati più costosi servono solo a una cosa: gonfiare le casse degli ISP e soffocare la concorrenza da servizi come Netflix.

 

I cosiddetti ‘data caps’, secondo gli autori dello studio, non sono certo una necessità, soprattutto per le reti fisse: il loro utilizzo è motivato, piuttosto, ​​dal desiderio di incrementare ulteriormente i ricavi dagli abbonati esistenti e proteggere i servizi preesistenti, come la televisione via cavo, dai servizi Internet concorrenti”.

“Anche se il traffico sulle reti a banda larga negli Stati Uniti sta aumentando ad un ritmo costante, i costi per fornire servizi a banda larga sono in declino, compreso il costo della connessione a Internet o di transito IP, così come le attrezzature e gli altri costi operativi: il risultato è che la banda larga è una struttura incredibilmente redditiziai”, aggiungono.

 

Innanzitutto, evidenzia l’analisi, i tetti applicati ai dati non risolvono la congestione delle reti, che deriva dagli elevati livelli di traffico sulle reti nelle ore di punta: quindi il fattore critico è il momento in cui una persona usa la connessione dati, non quanti dati una persona consuma nel corso di un mese.

Cosa ancora più importante, lo studio afferma che gli operatori hanno usato come giustificazione per applicare questi ‘caps’ “l’enorme aumento del traffico dati“: tuttavia, le proiezioni su cui hanno basato i loro calcoli si sono dimostrate imprecise.

“Nel 2008, per esempio, Cisco Systems aveva previsto che il traffico dati mobile sarebbe aumentato di 18 volte entro il 2012. Nel 2011, quando divenne evidente che questa previsione non si sarebbe avverata, il numero è stato ridotto a circa il 60% della proiezione originale”, spiega OTI.

 

Lo studio si riferisce quindi a una nota di Credit Suisse del 2011, in cui si sottolinea che, col passare del tempo, una fatturazione ‘a consumo’ “avrebbe ridotto l’attrattiva dei servizi video over the top (come Netflix o Hulu)”.

 

Un atteggiamento miope, oltre che deleterio per i consumatori e l’innovazione e che, per di più, non tiene conto del fatto che “il futuro non è solo film o programmi Tv in streaming, ma anche accesso ai servizi di telemedicina o di apprendimento online, che stanno cominciando a prendere piede. Mettere un tappo al loro futuro – affermano ancora gli analisti – potrebbe voler dire mettere un tappo al futuro della nazione”.

 

La Fondazione propone quindi diverse opzioni per facilitare la concorrenza sul mercato broadband fisso e mobile. Prima di tutto “le aste delle frequenze wireless dovrebbero essere strutturate per favorire la concorrenza e l’ingresso di nuovi operatori e le licenze dovrebbero contenere disposizioni per la rivendita all’ingrosso e condizioni per garantire che lo spettro acquistato non resti inattivo”.

 

Il gruppo raccomanda quindi la regolamentazione di inputs critici per la banda larga mobile, quali le linee di accesso speciali che forniscono alle reti mobili connessioni di backhaul a internet “per prevenire tariffe anti-competitive da parte di Verizon e AT&T”.

I decisori politici dovrebbero inoltre abbattere le barriere che limitano la capacità degli utenti di cambiare operatore e promuovere misure che consentano a nuovi player di entrare nel mercato della banda larga fissa e di incoraggiare la concorrenza sia dal settore pubblico che da quello privato.

“Invece di cercare di frenare l’uso da parte dei consumatori e di proteggere gli elevati margini di profitto dei servizi sulle reti esistenti, è fondamentale che gli ISP per costruiscano un futuro in cui gli Stati Uniti siano in grado di fornire velocità e prezzi competitivi rispetto agli omologhi internazionali”, conclude lo studio, raccomandando infine anche una maggiore trasparenza per quanto riguarda l’uso di sistemi di gestione della rete e le pratiche di data caps.