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Think Tank in Italia: analisi qualitativa e quantitativa dei nuovi luoghi della politica

Italia


Cosa sono i think tank? Qual è la loro funzione? Qual è la differenza tra i think tank italiani ed europei e quelli americani?

A tutte queste domande ha cercato risposta il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Università “Sapienza” di Roma in collaborazione con Vodafone Italia, in quello che è il primo censimento nazionale dei think tank italiani.

La ricerca, diretta da Mattia Diletti, è stata presentata ieri nel corso di un evento nella capitale, cui hanno partecipato Saverio Tridico (Direttore Affari Pubblici e Legali di Vodafone Italia), Marta Dassù, (Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri) Mauro Calise (Ordinario di Scienza Politica Università di Napoli Federico II), Mario Morcellini (Dir Dipartimento Comunicazione e Ricerca Sociale Univ La Sapienza), Linda Lanzillotta (Presidente Glocus), Adolfo Urso (Presidente Fare Futuro), Luciano Violante (Presidente di Italia Decide), Giancarlo Aragona (Presidente ISPI), Andrea Peruzy (Segretario Generale Italiani Europei) Alessandro Aresu (Lo Spazio della Politica), Luca Bolognini (Istituto Italiano Privacy).

 

Svolta nel corso di quest’anno con riferimento all’anno 2011, la ricerca ha censito 105 strutture rilevando dati quantitativi e qualitativi e per 71 di esse si è anche approfondita l’analisi attraverso lo svolgimento di interviste in profondità a una delle figure dirigenziali della Fondazione, Istituto, Associazione.

 

Aprendo i lavori, Saverio Tridico, Direttore Affari Pubblici e Legali di Vodafone Italia ha spiegato che il progetto nasce “da una riflessione sui Think Tank come nuovi luoghi della politica, capaci di interpretare le più attuali dinamiche di aggregazione e confronto a cui stiamo assistendo in questi stessi giorni e ore”.

“L’auspicio è quello di proporre un confronto aperto e costruttivo, in cui il settore delle Telecomunicazioni – i cui temi sono cosi rilevanti per il Paese – possa contribuire attraverso i propri strumenti di riflessione, ricerca e pianificazione di lungo periodo”, ha aggiunto Tridico.

 

I think tank italiani – ed europei – sono organizzazioni indipendenti, permanenti, la cui principale vocazione è quella di fornire soluzione per le politiche pubbliche. Al contrario del caso americano, in Europa non sempre ciò avviene attraverso la costituzione di organizzazioni di ricerca permanenti, ma piuttosto attraverso il coinvolgimento di esperti e l’utilizzo di strumenti grazie ai quali si intende influenzare il dibattito pubblico, il decisore, gli stakeholder di uno specifico settore di politica pubblica. Alcuni centri, negli Usa come in Europa, manifestano esplicitamente la propria adesione a un’area politico-culturale e sulla base di essa definiscono la propria agenda.

 

Le variabili principali che ne determinano la nascita in Italia sono sei: a) la crisi delle organizzazioni di partito; b) i processi di personalizzazione della politica; c) le nuove forme di lobbying indiretto affermatesi negli ultimi venti anni (non solo attività di pressione, ma anche la necessità di una cornice culturale che sostenga specifiche iniziative di lobbying, l’importanza della costruzione del dato e della conoscenza a supporto dell’attività di lobbying); c) l’aumento dei punti di accesso per la competizione tra interessi e idee (la nascita di agenzie e authority, il rafforzamento del livello locale e di quello sovranazionale); d) la crisi della ricerca universitaria (che ha spinto a forme di organizzazione e offerta del sapere più autonome e policy oriented); e) la  trasformazione del ruolo degli intellettuali e degli esperti.

 

Il budget medio, nel 2011, è stato di 800 mila euro; il personale coinvolto nella vita dei think tank, con diverse modalità di relazione, è di circa 1800 unità.

 

Sono state definite quattro tipologie di think tank: 1) i think tank personali, legati a singole personalità politiche (il 32,4%); quelli policy oriented, più simili al modello anglosassone e legati all’idea del primato della ricerca (il 41%); quelli di memoria e cultura politica (dallo Sturzo al Gramsci, il 19%); i policy forum, network di confronto tra classi dirigenti di orientamento plurale (7,6%).

 

Le fondazioni politiche di matrice personale (con leadership di riferimento forti) nascono per oltre il 90% dopo il 2000, sono al 50% di centrosinistra (il 32,4% sono di centrodestra).

 

Il 43,8% dei think tank italiani è specializzato in un unico settore di policy (politica internazionale, politica economica, comunicazione e mass media ecc. ecc.); gli altri mantengono un approccio multi-issue. Il 51% dei think tank esprime esplicitamente nella propria mission un orientamento valoriale e culturale.

 

Il 43,9% di essi si presenta, dal punto di vista giuridico, come fondazione; il 15,2% come associazione riconosciuta; il 36,4% come associazione non riconosciuta.

 

Il 60% dei think tank si concentra a Roma, mentre il sud è quasi completamente assente dalla mappa. Milano, Torino e Bologna sono gli altri luoghi di concentrazione dei think tank.

 

Come detto, nel 2012 i think tank italiani sono 105; erano 63 alla fine del 2005, 33 nel 1993. Negli ultimi venti anni sono nati più di due terzi dei think tank attuali (di questi, la maggior parte nascono dopo il 2000). Il picco più alto di nascite è il 2009 (ben 13).

 

Il 22,4% dei think tank italiani non produce alcuna attività di ricerca, svolgendo di fatto una dimensione di semplice “megafono” del dibattito di policy e di alcuni attori chiave in esso coinvolti; mentre il 19,4% produce almeno 10 prodotti di ricerca annui, che definiamo come indice di produttività scientifica “alto”.

 

Il 46,4% dei think tank non ha alcun rapporto internazionale, contro il 19,6% che interagisce con almeno 5 strutture non italiane.

 

Il 41,8% di presidenti, direttori e segretari generali svolge, attualmente, anche attività accademica; il 17,1% attività imprenditoriali; il 2,4% ha un ruolo di governo (lo ha svolto in passato nel 21,1% dei casi); il 26,8% fa vita politica attiva e di “partito”.

 

Il 21,2% dei think tank non è mai apparso nella stampa italiana nell’anno solare 2011; il 32,7% vi è apparso meno di 10 volte in un anno; il 18,3% ha più di 50 citazioni in un anno.

 

Il modello di finanziamento è sempre meno legato all’erogazione di denaro pubblico (soprattutto per quelli “storici”, abituati in passato a sopravvivere grazie alle tabelle ministeriali); le grandi aziende italiane – e multinazionali – con interessi strategici tendono a investire su molti fronti, ma con cifre non ragguardevoli; in generale, il finanziamento dei think tank è in evidente contrazione.

 

Le criticità del sistema dei think tank italiani

 

Dimensioni scarse (con qualche gigante); internazionalizzazione a intermittenza; poca ricerca di impatto pubblico; autoreferenzialità del sistema delle relazioni; i think tank inseguono l’agenda, piuttosto che cercare di definirla; la dimensione valoriale e di espressione cultura politica è, spesso, eccessivamente cangiante (un sistema “pret-a-porter” di valori e idee); incapacità di “fare sistema” e frammentazione; scarsità degli investimenti; “revolving doors” con le istituzioni ancora molto debole.

 

 

Gli aspetti positivi del sistema dei think tank italiani

 

L’emersione di una ricerca italiana “policy oriented”, anche con ottimi livelli di specializzazione; la dimensione pluralistica (il lato positivo della frammentazione?); l’emersione di giovani ricercatori policy oriented, con un profilo internazionale “consistente” e capacità manageriali oltre che di ricerca; la nascita di sistemi di auto-formazione della classe dirigente, dell’associazionismo e di altre categorie (un modello fai-da-te, ma indice di reattività); il “ponte” col resto del mondo e l’Europa rappresentato da alcune organizzazioni.

 

 

I Think Tank in Italia

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