Big Data: ancora poco sfruttato il potenziale dei dati generati nell’universo digitale

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Studio IDC evidenzia il cosiddetto ‘Big Data Gap’, ovvero la differenza tra la quantità di dati che possiede un valore potenziale ed il valore che ne viene effettivamente ricavato.

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La proliferazione di dispositivi quali PC e smartphone in tutto il mondo, il maggiore accesso a Internet nei mercati emergenti ed il forte incremento di dati prodotti da device, quali telecamere di videosorveglianza o smart meter, ha contribuito a raddoppiare il volume del Digital Universe nel solo corso degli ultimi due anni – arrivando ad un’imponente mole di 2,8 ZB.

È quanto emerge dallo studio IDC “Big Data, Bigger Digital Shadows, and Biggest Growth in the Far East” – commissionato da EMC e secondo il quale nonostante l’espansione del Digital Universe solo lo 0.5% dei dati a livello mondiale viene effettivamente analizzato.

 

Lo studio sul tasso di crescita dei dati nell’universo digitale prevede la quantità di informazioni create e copiate annualmente e le relative implicazioni per gli individui e i professionisti IT di tutto il mondo.

 

IDC stima che il Digital Universe raggiungerà i 40 ZB entro il 2020, una quantità che supera del 14% le precedenti stime. 

 

In termini di volume complessivo, 40 ZB di dati equivalgono a: 

•      57 volte la quantità di tutti i granelli di sabbia su tutte le spiagge della terra.

•      Se potessimo salvare tutti i 40 ZB sui dischi Blu-ray odierni, il peso di tali dischi (senza custodia o copertina) sarebbe quello di una portaerei da guerra, come la 424 Nimitz.

•      Nel 2020, 40 ZB equivarranno a 5.247 GB per ogni persona di tutto il mondo.

 

Per la prima volta all’interno dello studio, IDC rileva la geografia del Digital Universe, ovvero “dove” le informazioni vengono originate, acquisite o utilizzate per la prima volta, evidenziando così l’evoluzione in atto. Lo studio evidenzia inoltre il cosiddetto “Big Data Gap”, ovvero la differenza tra la quantità di dati che possiede un valore potenziale ed il valore che ne viene effettivamente ricavato; il livello di protezione dei dati necessario rispetto a quello fornito e le implicazioni a livello geografico dei dati mondiali.

       

Il valore potenziale dei Big Data risiede nella possibilità di estrarre informazioni significative da grandi quantità di dati, tipicamente non ancora analizzati. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, questi dati sono non catalogati e non strutturati, il che significa che le relative informazioni effettivamente utili sono ancora poche. 

 

Gran parte del Digital Universe, sottolinea lo studio, non è protetto: la quantità di dati che richiede protezione cresce più velocemente  del Digital Universe stesso.

Il livello di protezione cambia a seconda dei paesi, con un un livello di protezione inferiore nei mercati emergenti. 

La presenza di minacce sempre più evolute, le scarse competenze e la generale poca attenzione alle best practice in tema di  sicurezza da parte degli utentti continueranno ad aggravare questo problema.

 

“Il volume e la complessità dei dati che le aziende si trovano ad affrontare non accenna e diminuire, motivo per cui le organizzazioni IT si trovano oggi dinanzi a un bivio: soccombere alla paralisi dovuta al sovraccarico di informazioni o cercare di attrezzarsi per massimizzare l’eccezionale potenziale che risiede all’interno dei dati”, spiega Jeremy Burton, Executive Vice President, Product Operations and Marketing, EMC Corporation.