Dumping e aiuti di Stato: la Ue valuta intervento su Huawei e ZTE. ‘Danneggiano le aziende europee’

di Alessandra Talarico |

La cautela è d’obbligo - l’esecutivo attende risposte da Berlino prima di aprire un’indagine formale - ma secondo un documento Ue visionato dal WSJ, senza un intervento dall’alto le aziende europee potrebbero presto finire fuori gioco.


Karel De Gucht

Huawei e ZTE, i due principali vendor cinesi di infrastrutture per le tlc, stanno danneggiando le aziende europee offrendo i loro prodotti sotto costo (attraverso una pratica nota come dumping).

E’ questo il risultato emerso da un’analisi della Commissione europea, secondo cui le due aziende starebbero vendendo le loro infrastrutture per le reti wireless a un prezzo inferiore di almeno il 35% rispetto ai prezzi di mercato definibili ‘equi’.

 

La tesi supportata dalla Ue è che questi prezzi siano possibili grazie al sostegno del governo di Pechino ma l’esecutivo – secondo quanto riferito dal Wall Street Journal – sarebbe ancora indeciso sulla prossima mossa, vista anche l’opposizione che i vendor europei hanno manifestato verso l’ipotesi di un’indagine formale che potrebbe innescare una guerra commerciale con la Cina, che è il secondo partner commerciale della Ue dopo gli Stati Uniti con scambi che nel 2012 potrebbero toccare i 500 miliardi di euro.

 

Il documento della Commissione sottolinea che in un settore in cui le sovvenzioni sono fondamentali “qualsiasi pratica sleale – come un finanziamento agevolato da parte del governo cinese – ha un effetto immediatamente destabilizzante e crea un indebito vantaggio competitivo su un’industria, quella europea, altrimenti molto concorrenziale”.

 

L’analisi, sempre secondo il WSJ, sarebbe stata consegnata all’inizio di quest’anno ai governi nazionali e suggerisce che senza un intervento dall’alto le aziende europee potrebbero presto finire fuori gioco, come per altro sostenuto lo scorso maggio anche dal Commissario Ue al Commercio Karel De Gucht (Leggi articolo Key4biz).

“Queste pratiche sleali richiedono un’azione tempestiva poiché, in questo settore guidato dall’innovazione, le nostre aziende possono uscire dal mercato molto bruscamente”, si legge nel documento.

 

La Ue, comunque, vuole agire con molta cautela e attende dunque la promessa replica delle autorità cinesi a queste preoccupazioni, riferisce il WSJ, secondo cui l’apertura di un’indagine sarebbe vista da Pechino non come una risposta a una disputa tra aziende ma come un attacco frontale alla Cina. Sarebbe infatti la prima volta che la che la Commissione avvierebbe un’indagine senza aver prima ricevuto una denuncia.

 

I vendor europei, inoltre, hanno forti interessi commerciali nell’immenso mercato cinese e contro la possibilità di un’indagine si è schierata proprio la svedese Ericsson, leader mondiale del settore, che ritiene sbagliato il modo di procedere di Bruxelles.

“Ericsson – ha sottolineato qualche mese fa il responsabile delle relazioni istituzionali e industriali del gruppo Ulf Pehrssonsostiene fermamente il libero scambio e non crede in questo tipo di misure unilaterali che, prendendo di mira singole aziende, potrebbe creare una spirale negativa”.

 

Gli interessi in gioco sono altissimi: sia la Ue che la Cina guardano al settore delle comunicazioni come una speranza per la crescita dell’economia e dell’occupazione.

Il governo di Pechino, dal canto suo, sostiene ampiamente le proprie aziende: ZTE, ad esempio, ha appena stretto un accordo con la banca statale China Development Bank per l’ampliamento della linea di credito da 15 a 20 miliardi di dollari.

 

Tra il 2006 e il 2011, il mercato europeo delle infrastrutture wireless si è contratto del 65% sia per via della crisi, ma anche per l’assalto dei vendor cinesi e dei loro prezzi aggressivi.

 

Le conseguenze, sulle principali aziende europee sono molto pesanti: Alcatel-Lucent si appresta a licenziare 5.500 persone (pari al 7,2% della forza lavoro); Nokia Siemens Networks 17 mila (pari al 23% dei dipendenti). Ericsson, leader mondiale del settore, ha registrato un calo del 63% dei risultati nel secondo trimestre di quest’anno.