Web company e paradisi fiscali, le aziende francesi sul piede di guerra: ‘Basta aiuti pubblici a chi non paga le tasse’

di Raffaella Natale |

Le procedure di ottimizzazione fiscale adottate dalle multinazionali stanno affondando le piccole aziende che restano vittime di questa ‘concorrenza sleale’. La Ue non può stare a guardare.

Francia


Jeff Bezos

In prossimità delle festività natalizie, si acuisce l’opposizione dei piccoli distributori francesi contro Amazon, già nel mirino del fisco per le sue discutibili pratiche di ‘ottimizzazione fiscale’.

Il Natale, si sa, rappresenta un momento importante per chi opera nel commercio, perché in questo periodo per tradizione si vende di più, ma se si è costretti a fare i conti non solo con la grave crisi economica che attanaglia tutta l’Europa, ma anche con sistemi di profit shifting, che creano indirettamente una concorrenza ‘sleale’ sul mercato, beh allora la protesta assume toni più drammatici.

 

Le recenti cronache hanno evidenziato la condotta poco corretta delle web company che sfruttano i cavilli legali per bypassare il fisco con grosse perdite per le casse degli Stati dove vendono i loro servizi, ma pochi hanno messo in luce i danni economici che subiscono le piccole aziende (OTT, tasse e paradisi fiscali: e se a farne le spese sono proprio i piccoli imprenditori?)

 

E sono proprio queste che adesso sono sul piede di guerra e denunciano le sovvenzioni pubbliche accordate ai giganti americani del web, che non pagano tasse o ne pagano poche, e le mancanze di un sistema fiscale armonico a livello europeo.

 

Il CEO di Système U, Serge Papin, in un’intervista a Les Echos arriva a parlare di ‘ingiustizia’ commessa dal governo francese che indirettamente avvantaggia gli operatori stranieri, accordandogli una serie di agevolazioni, a danno di quelli nazionali.

“Pensiamo che gente come Amazon non debba essere favorita“, ha detto senza mezzi termini Papin.

 

Amazon ha aperto tre hub in Francia, l’ultima a settembre, e per questo ha goduto di sovvenzioni pubbliche per oltre 3 milioni di euro in cinque anni.

Per ogni hub, il gruppo riceverà inoltre 3.400 euro per impiegato dalla regione, 1.100 euro per dipendente dal dipartimento, ai quali si aggungeranno tra i 1.000 e i 2.000 euro a lavoratore da parte dello Stato a titolo di premio per la pianificazione del territorio.

Recentemente Amazon ha anche annunciato che entro il 2015 aprirà nel nord del Paese una quarta piattaforma logistica, per la quale beneficerà di altri aiuti pubblici (Leggi Articolo Key4biz).

 

Da qui la protesta. Risolvere i problemi di disoccupazione è importante, ha detto qualcuno, ma non è corretto dare denaro a qualcuno che realizza centinaia di milioni di fatturato e in più deve al fisco francese 198 milioni di euro di tasse per il periodo 2006-2010.

Le aziende chiedono, quindi, che con urgenza venga avviato un esame di riforma del sistema tributario.

 

Come altri multinazionali (Facebook, Google o Apple), Amazon ottimizza le imposte trasferendo i fatturati nella sede di Lussemburgo, Paese con un sistema fiscale più vantaggioso. Questo gli ha consentito di dichiarare un fatturato di soli 110 milioni di euro in Francia, mentre secondo le stime di Euromonitor, le sue vendite oltralpe ammontano a 1,3 miliardi di euro.

 

Amazon ha respinto le accuse d’evasione fiscale e ha già fatto sapere che non è disposto a corrispondere alcuna somma e si opporrà con forza al provvedimento in tutte le sedi opportune anche quelle legali.

“Non siamo d’accordo con i calcoli effettuati e abbiamo tutta l’intenzione di contestarli vigorosamente”, ha detto il colosso dell’eCommerce in un documento che accompagna la presentazione degli ultimi dati finanziari.

 

I distributori francesi ritengono che anche se Amazon non opera nell’illegalità, “gioca con le regole dell’Europa”.

 

Alexandre Bompard, CEO della Fnac, dal suo account Twitter ha condannato le ‘pratiche egemoni’ e il ‘dumping fiscale e regolamentare praticato da queste aziende statunitensi’.

Sulla stessa linea, il CEO di Vente-privée.com, Jacques-Antoine Granjon, che al Ministro dell’Economia digitale, Fleur Pellerin, ha dichiarato che “non vede alcun motivo perché Amazon non debba pagare le tasse in Francia, pur avendo sede a Lussemburgo”.

Pellerin ha reagito, sottolineando la differenza tra aliquote IVA a livello europeo, di cui beneficia il gigante americano, che crea una ‘concorrenza sleale’.

In Europa l’IVA si applica, infatti, in funzione del Paese di residenza dell’azienda. In questo caso, Amazon, che è domiciliata a Lussemburgo, gode di un’IVA al 15% contro un tasso del 19,6% pagato dai suoi competitor francesi.

 

Il Ministro ha confermato la volontà del governo francese a spingere sulla Ue per chiedere la riforma delle attuali disposizioni fiscali: “Non possiamo aspettare fino al 2019 perché questa concorrenza sleale cessi d’esistere”.

 

Ma Amazon non evade le tasse solo nei Paesi europei. Il gruppo ha dichiarato lo scorso anno che l’Agenzia delle entrate americana (Internal Revenue Service) gli ha chiesto 1,5 miliardi di dollari di tasse arretrate.

Al momento sono almeno sei gli Stati che negli ultimi sei anni hanno avviato accertamenti sui bilanci di Amazon, ma i dettagli restano coperti dalle norme sulla privacy.

 

Il gruppo ha preferito declinare ogni commento, limitandosi a dire che ‘paga tutte le tasse previste dalla legge nei Paesi nei quali opera’, questo è vero, come è anche vero che è obbligata nei confronti dei propri azionisti a ‘ottimizzare al massimo i rendimenti’.

Il punto cruciale è che attualmente c’è un sistema legislativo che gli consente di far legalmente profit shifting, sebbene l’OCSE lo vieti, mentre i governi stanno a guardare.