OTT TV, nel 2017 mercato da 37 mld di dollari. Investimenti urgenti per l’Europa, ma chi si accollerà le spese?

di di Francesca Burichetti |

Stato, telco, OTT oppure utenti finali? Questo è il nodo alla gola con cui Ue e Stati membri devono fare i conti, evitando di mascherarsi dietro altisonanti Agende digitali.

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Stando alle nuovissime previsioni di Informa Telecoms & Media, una delle più importanti società di analisi e consulenza nel settore delle tlc, entro il 2017 il mercato dell’Over the Top Tv (OTT TV) raggiungerà un valore complessivo pari a $37 miliardi, finendo per rappresentare l’8% dell’industria mondiale dell’audiovisivo. Il mercato dei video online è oggi geograficamente molto concentrato: sono gli Stati Uniti a fare da padroni, dal momento che possono vantare un sistema di produzione forte e aperto alla sperimentazione di format e di nuove strategie di story-telling, rese possibili soprattutto grazie all’uniformità linguistica del mercato. Gli USA attualmente raccolgono oltre il 75% delle revenues complessive e la loro posizione di vantaggio è destinata a mantenersi anche nel medio termine, visto che – secondo Informa Telecoms & Media – nei prossimi 5 anni essi raccoglieranno ancora il 60% delle risorse totali. Questo predominio geografico è strettamente legato alla forte concentrazione del mercato dell’OTT TV, che per il momento è sotto il controllo di pochi player, per lo più grandi Internet e Media companies americane, come Netflix, YouTube, Apple e Hulu.

 

Netflix e YouTube, in particolare, sono le star del momento. Nonostante adottino modelli di business diametralmente opposti, in termini di fatturato i due player si rincorrono. Se Netflix nel 2011 ha incassato 3,2 miliardi di dollari dagli abbonamenti degli utenti, YouTube ha realizzato una crescita significativa rispetto all’anno precedente, riuscendo a guadagnare dall’advertising intorno a $2,4 miliardi.

 

La domanda, dunque, sorge spontanea: quale sarà il modello di business del futuro?

 

Difficile a dirsi. C’è da aspettarsi una convivenza di almeno tre modalità di revenue: advertising, destinato a diventare sempre più capillare e interattivo; vendita di abbonamenti light alle piattaforme di video online e vendita diretta del contenuto (nella forma del download to own, DTO). Ma, al di là del modello di business adottato dai singoli attori, c’è una filo rosso che lega Netflix, YouTube e altri operatori fortemente intenzionati a posizionarsi nel mercato dei video online, come Hulu: si tratta della volontà di investire in contenuti web native di qualità, che rappresentano il vero elemento distintivo rispetto all’offerta televisiva e cinematografica tradizionale. Non è un caso, infatti, che negli ultimi anni questi tre giganti del Web abbiano stretto accordi con editori, produttori e main sponsor per la realizzazione di web series, game e talent show, o cartoon riservati ai propri pubblici.

 

In Europa, intanto, vista la frammentazione linguistica del mercato, la forte incidenza della pirateria, soprattutto nei Paesi mediterranei come Italia e Spagna, e una penetrazione ancora poco uniforme delle infrastrutture di rete di ultima generazione, il mercato dei video online fatica a decollare. Stime IDATE lasciano però trasparire dei segnali positivi, prevedendo che entro il 2016 l’UE riuscirà a coprire una quota di mercato del 17%, posizionandosi in seconda linea dopo gli USA. Si tratta di previsioni interessanti, che richiedono comunque una riflessione sulla necessità di un intervento politico trasversale, che miri in primo luogo a potenziare e uniformare le infrastrutture di rete.

 

La vertiginosa crescita del consumo di video sta, infatti, pesantemente incidendo sul traffico Internet, soprattutto in Europa. Dati Cisco mostrano come già nel 2010 il 37% del traffico retail fosse generato dai video, ma il loro peso è destinato a crescere ulteriormente, tanto che entro il 2015 si prevede che il consumo di video rappresenterà addirittura il 58% del traffico Internet complessivo, senza considerare quello derivante da file-sharing, pari a circa il 24% del totale. Insomma, la questione è rovente. Da un lato, si osserva un mercato dell’OTT TV in espansione, che lascia intravedere possibilità di crescita anche per gli attori europei, seppur ancora in difficoltà a competere con i player americani avvantaggiati da un mercato linguistico uniforme. Dall’altro lato, queste potenzialità di espansione rischiano di essere ulteriormente osteggiate dall’inadeguatezza delle infrastrutture di rete.

 

Gli investimenti diventano, quindi, urgenti, ma chi deve accollarsi queste spese?

Lo Stato, gli operatori di telecomunicazione, i gestori di piattaforme OTT TV oppure la società nel suo complesso, che si tradurrebbe di fatto negli utenti finali?

Questo è il nodo alla gola con cui Unione Europea e singoli Stati membri devono al più presto fare i conti, evitando di mascherarsi dietro altisonanti Agende digitali che spesso si traducono in una serie di provvedimenti fin troppo poco incisivi.