CSC lascia l’Italia (o quasi) e sbatte la porta a ministero e sindacati. Modi censurabili, ma prova quanto siamo poco considerati

di di Raffaele Barberio |

Nonostante le intese di massima, CSC avrebbe proceduto alla vendita a Dedagroup senza dichiarare formalmente lo stato di crisi e senza ricorrere alla mediazione con i sindacati peraltro già concordata. Prevista la fuoriuscita di circa 500 persone.

Italia


Raffaele Barberio

Cura anoressica per CSC Italia, forse in vista di un definitivo disimpegno. La casa madre (www.csc.com), un colosso mondiale con 96.000 dipendenti e fatturato globale di 16 mld. di dollari, ha deciso di mollare l’Italia o quasi, cedendo un cospicuo ramo d’azienda (CSC Italia srl circa 1.000 persone) a Dedagroup Spa (capofila di Dedagroup ICT Network), importante player informatico italiano.

Con l’operazione, Dedagroup si ritrova in dote un portafoglio clienti aggiuntivo nei mercati Pubblica Amministrazione centrale, banche, assicurazioni, moda, telecomunicazioni, utilities e grandi aziende industriali. Da canto suo CSC mantiene ancora la CSC Computer Sciences Italy S.r.l. (180 persone circa) che continuerà a fornire un portafoglio selezionato di soluzioni nel campo dei servizi finanziari, infrastrutture, business process outsourcing e healthcare) ai propri clienti multinazionali.

Naturalmente si tratta di processi non indolori. La cessione vuol dire, di fatto, apertura formale di uno stato di crisi, nonostante le rassicurazioni di entrambe le società e si prevede già sin da subito la fuoriuscita di circa 500 persone.

Sindacati e governo avrebbero dovuto e potuto fare al meglio la loro parte se si fosse dato luogo a circostanze negoziali già avviate e tradite dal comportamento di CSC, secondo quanto denunciato dal ministero dello sviluppo economico in una dura lettera (prot. 0223267 del 29.10.2012) indirizzata a Mike Lawrie, Presidente e CEO di CSC  e Claude Czechowski, VicePresidente e General Manager, South and West Europe di CSC.

Nonostante le intese di massima, CSC avrebbe infatti proceduto alla vendita senza tenere in conto la necessità di dichiarare formalmente lo stato di crisi e senza ricorrere alla mediazione ministeriale con i sindacati peraltro di fatto già concordata.

Vi abbiamo chiesto con una lettere del 3 luglio scorso la vostra disponibilità a discutere con noi le conseguenze della vostra scelta di vendere la branch italiana di CSC – si legge nella lettera a firma di Giampietro Castano del Dipartimento per l’impresa e l’internazionalizzazione, Direzione Generale per la politica industriale e la competitività, Struttura di Crisi di Impresa e Gestione Vertenze – Successivamente in un incontro con i vostri legali siamo stati informati di come non fosse stata assunta alcuna decisione circa il possibile acquirente e abbiamo programmato un incontro presso il nostro ministero con CSC e i sindacati. In questa occasione i vostri legali ci hanno chiesto di posporre il meeting per assicurare la vostra partecipazione.)

L’incontro era stato concordato da tutte le parti in causa per il giorno 25 ottobre scorso, ma CSC non si è presentata. In più nello stesso giorno ha comunicato ufficialmente la vendita della branch italiana a Dedagroup.

Il vostro comportamento – conclude la lettera di Giampietro Castano – è da considerare offensivo e non in linea con i comportamenti di una multinazionale come CSC.”

Si tratta di una vicenda amara, anche per la qualità delle relazioni tra le nostre istituzioni e l’investitore straniero, che in questo caso si è comportato senza alcuna considerazione per il Paese nel quale ha fatto per anni business.

Rimane il problema dei dipendenti che in questo modo hanno la difficoltà di un luogo entro il quale negoziare le relazioni industriali, al di là del rapporto diretto e individuale tra azienda e dipendente in uscita, come denunciato anche dall’interrogazione parlamentare dell’on. Pierpaolo Baretta.

Una storia amara, che crediamo non debba mai più ripetersi, anche se l’allarme rimane per lo stato di difficoltà di altri grandi marchi multinazionali (IBM, HP ecc.) che sembrano sulla strada di un ridimensionamento del personale italiano.

Su tutto pesa infine la scarsa considerazione per l’Italia. Dobbiamo sollecitare gli investimenti stranieri in Italia, non perderli, ma dobbiamo anche pretendere il rispetto nelle relazioni internazionali. A nessun investitore può essere consentito di comportarsi come si sono comportati i vertici di CSC in Italia.