Editori vs motori di ricerca: esiste anche la terza via. Gli investimenti nella digital economy salveranno l’industria

di Raffaella Natale |

Norme nuove e condivise per tutelare il copyright online e capacità di sapere cogliere le opportunità di guadagno che provengono dal web. Solo così i giornali si salveranno.

Europa


Editoria web

Editoria e internet, nemici o amici? La domanda continua a incalzare alla luce della recente battaglia tedesca contro i motori di ricerca, Google in primis, che usano le notizie dei giornali senza pagare alcun compenso e guadagnando laute cifre dalle pubblicità collegate a queste pagine (Leggi Articolo Key4biz).

Anche in Francia gli editori sono scesi in campo per chiedere una nuova legge che li tuteli davanti all’avanzata del mondo del web (Leggi Articolo Key4biz).

 

Tanti hanno lanciato lo stato d’allerta, si corre il serio rischio di posizione dominante da parte di alcune aziende del mondo della web search. E tutti sappiamo di chi.

 

Oggi i contenuti digitai delle case editrici non sono sufficientemente protetti. Diventa quanto mai urgente avere delle leggi comuni e condivise che tutelino tutte le parti coinvolte. Ma soprattutto nuove regole per il diritto d’autore, per adeguare anche il contesto dell’industria editoriale alla realtà di internet.

Rupert Murdoch lo va dicendo da anni ormai ed è forse stato il primo editore a scagliarsi contro Big G, definendo il loro operato da ‘parassiti’ che rubano ai giornali, senza versare alcun compenso.

 

Ma tra l’editoria e il mondo digitale c’è la terza via. Quella indicata da chi, come Murdoch, o anche l’editore tedesco Hubert Burda, ha cominciato a indirizzare sempre più la loro attività sul web. Ma non solo. C’è chi abilmente ha capito che bisogna sfruttare i nuovi canali offerti dal digitale, per arrivare a un numero sempre maggiore di utenti. Anche proponendo servizi aggiuntivi, come l’eCommerce, giusto per fare un esempio.

Serve, ha sottolineato Burda al Sole24Ore, puntare sempre di più sulla qualità dei contenuti e sulla correttezza delle informazione, sapendo integrare vecchi modelli con le novità provenienti dalla rete.

Per esempio, del miliardo e duecento milioni di euro che Burda genera col digitale, circa il 75% è dato dall’eCommerce, legato a un vero e proprio ecosistema di siti internet legati a marchi come Focus.

 

Nel 2011 la media company di Burda ha generato quasi 2,2 miliardi di euro di ricavanti consolidati (dati riportati dall’edizione odierna del Sole24Ore), la metà dei quali realizzati appunto grazie al web, offrendo servizi multimediali. Oggi la fruizione dei contenuti è sempre più multiscreen. Il boom di smartphone e tablet ha creato la necessità di rivedere tutti i modelli di business e pensare a nuove piattaforme mediatiche che possono veicolare i propri prodotti.

 

L’economia digitale tedesca sta crescendo a un tasso annuo dell’8% e nel 2016 arriverà a valere 118 miliardi di euro, circa il 4% del nostro PIL, mentre per la Gran Bretagna si stima un 12,4%, per gli USA il 5,4% e infine per l’Italia il 3,5%.

In Germania, come altrove, le media company avranno un ruolo strategico perché stanno investendo denaro in questo comparto da anni e in qualche modo sono state obbligate a spostarsi verso un cambio importante di modello di business.

 

Dalla rete arrivano anche preziose informazioni. Si pensi alla mole di dati su abitudini dei consumatori in possesso dei motori di ricerca o degli Over-The-Top e all’importanza che potrebbero avere strategicamente per l’economia.

Per Burda, fatto salvo il rigoroso rispetto della privacy di tutti, “bisogna evitare che una legislazione troppo soffocante ci faccia rimanere indietro”.

Ma soprattutto eliminare le attuali asimmetrie. Le regole che valgano per le media company europee devono valere anche per le compagnie statunitensi o di altri Paesi, altrimenti si creano le condizioni perché non ci sia un’equa concorrenza sul mercato.