Indietro non si torna: il valore della scrittura online

di di Lorenzo Monfregola (Jr Manager - Twago Italia) |

“Credete dunque che sia opera frammentaria perché ve la si dà (e si deve dare) a pezzi?” (Friedrich Nietzsche sul web content).

Italia


Lorenzo Monfregola

Internet alla nascita: una strana roba da smanettoni

Agli albori Internet era solo sinonimo di tecnologia pura. Roba da programmatori ed esperti informatici, al massimo fantasia cyberpunk. Vent’anni dopo, anche il Web, che nacque con propositi di diffusione più forti, fu accolto con sospetto.  Sarebbe curioso e istruttivo rileggersi le perplessità e gli anatemi che furono lanciati contro la rete negli anni Novanta. C’è ancora un video, che è già storia digitale, dove in un talk show americano si cerca, con scarso successo, di spiegare il mondo che stava irrompendo nella vita del pianeta.

In Italia per anni si è parlato di Internet più per denunciarne i pericoli (crimini informatici, truffe, incontri pericolosi online, maniaci di ogni tipo) che le enormi potenzialità. Un atteggiamento di cui paghiamo le conseguenze ancora oggi che l’economia digitale è sulla bocca di tutti.

 

Le prime parole online

Malgrado l’accoglienza, il web bruciò le tappe e ben presto iniziò a riempirsi di contenuti di ogni tipo. Contenuti IT nati online o che online iniziavano ad essere trasferiti. Trasferiti, ma non ancora tradotti per il nuovo medium. Infatti, quando iniziò ad aumentare la presenza di contenuti classicamente cartacei in rete, questi rimasero a lungo solo un contenuto che si trovava “anche in rete”. Vale a dire un contenuto subordinato alla propria esistenza analogica.  La stessa cosa valeva per chi scriveva sul web: in maggioranza giornalisti o accademici che semplicemente passavano da un mezzo all’altro senza troppo interrogarsi sulle forme specifiche di una nuova era della comunicazione. Non solo: se la diffusione culturale più tecnologica aveva fatto il salto nel web con una certa naturalezza, quella più prettamente umanistica o giornalistica opponeva forti resistenze. Resistenze molto spesso legate al rifiuto di diversi intellettuali classici di mettere in discussione posizioni acquisite nel tempo. Del resto, fermo restando che quella rivoluzione si svolse all’interno di un lungo periodo di coesistenza, nemmeno gli amanuensi salutarono con gioia l’irrompere nella storia dei caratteri a stampa.

 

We’re blogging.

E’ noto come il ponte più concreto e definitivo tra il mondo della scrittura e il web sia stata la diffusione dei blog. Per la prima volta il termine blog uscì nel 1999 dalla tastiera di Peter Merhol. Con il nuovo millennio, poi, diverse piattaforme e servizi di blogging diedero la possibilità di pubblicare contenuti a costi ridotti o gratuitamente. Improvvisamente i contenuti di chiunque potevano essere potenzialmente letti da tutti, senza particolari filtri di accessibilità. Non solo: con il diffondersi dei blog, chi scriveva su Internet iniziava a non essere più solo qualcuno proveniente dalle vecchie redazioni. Iniziavano a spuntare i primissimi nativi digitali, cioè personaggi che, almeno per quanto riguardava la loro recente formazione, avevano sviluppato le loro capacità nel e con il web. E questi nativi non erano informatici o programmatori, ma anche studenti o cultori di materie più umanistiche. Insomma, gente che scriveva. E che, sempre più spesso, scriveva anche bene.

 

Scrivere (per) leggere online.

Lo shock fu grande, più di quanto si creda. Di nuovo, sarebbe interessante andare a rileggersi gli incredibili sforzi che alcuni fecero, fino a pochi anni fa, per tracciare una linea di netta separazione tra un blogger ed un giornalista, tra chi scrive sul web e chi su un giornale ufficiale, tra uno scrittore con contratto presso una casa editrice ed un poeta digitale. Paradossalmente, la questione del valore giornalistico del blog è emersa in occasione della loro equiparazione ai giornali per dinamiche di controllo legislativo. Dell’enorme valore della lingua scritta sul web si è invece continuato a tacere per molto. Chi prendeva atto della svolta digitale rischiava, piuttosto, di essere liquidato come un ingenuo tecnoentusiasta.

Certo, con l’orizzontalità del web si diffusero anche le parole scritte di chi non era esattamente un letterato: restano anche oggi decine di migliaia i blog carichi di scrittura di bassissima qualità.

Con l’emergere dei social network, poi, milioni di persone che non avrebbero mai scritto su un giornale iniziarono a spargere le loro parole in rete, aggiornando semplici status di facebook o esprimendosi nei 140 caratteri di Twitter. C’è chi iniziò a chiamarlo il “popolo di Internet”, utilizzando “popolo” con una vena di sufficienza.

Oggi vediamo come, con l’affermazione di massa dei social media, la scrittura è divenuta una nuova forma di oralità di cui, però, resta una traccia evidente. Una realtà che per alcuni sembra un incubo di fronte a contenuti al 100% user generated.

Chi vuole continuare a snobbare la scrittura in rete può sviluppare critiche suggestive proprio sulla scarsa qualità di una quantità enorme di dati scritti e poco ragionati, istintivamente “parlati”, espressi come semplici esclamazioni, che irrompono sugli schermi di pc e laptop come il ronzio di una piazza affollata.

In pochi hanno fatto notare che un illetterato che scrive male sul web è sempre meglio dell’illetterato che passivamente accettava l’autorità di un televisore. Altrettanto poco si è scommesso sul fatto che da una simile massa di parole emergeranno certamente parole distinguibili per la loro capacità descrittiva, analitica, artistica.

La stessa cosa vale per la lettura sul web. Sono stati fatti diversi collegamenti tra la scarsa qualità della scrittura sul web e le esigenze dovute alla sua lettura. Come si ripete in continuazione: la scrittura sul web è diversa. Ma a cambiare è, piuttosto, la lettura. Più distratta, più veloce, meno tollerante. Ma, come sopra, chi esagera con questa critica trascura che il web ha riportato a forme di lettura persone che mai avrebbero letto un libro e nemmeno un giornale. Certo un lettore poco esperto e poco smaliziato rischia di perdersi nell’oceano delle informazioni in rete, ma può anche, lentamente, sviluppare capacità di selezione autonoma. Di nuovo, non si può rimpiangere chi si informava unicamente guardando un telegiornale o consumava solo narrazioni cinematografiche. O, meglio, oggi, lo si può rimpiangere solo in nome di sentimenti di conservazione gerarchica della cultura e dell’informazione.

 

Hi, my name is Seo.

Se si vuole fare una critica non ottocentesca al web, bisogna piuttosto concentrarsi su un elemento fondamentale e non trascurabile della scrittura online: la Search Engine Optimization. La Seo, cioè le tecniche, anche di scrittura, per cui un sito è rintracciabile e visibile sui motori di ricerca. Diverse critiche contingenti hanno indicato nelle necessità della Seo i veri ostacoli alla qualità della scrittura online. Si scrive per farsi scegliere dagli algoritmi di Google! Ma si tratta di un giudizio che non tiene conto delle potenzialità di evoluzione della scrittura in rete. Sicuramente la Seo ha favorito il proliferare di testi scritti esclusivamente per raccogliere link e far salire specifiche keyword nelle Serp di Google. E certamente molti blogger hanno rinunciato a qualsiasi vocazione per la qualità della scrittura e hanno scelto di adorare unicamente le potenze algoritmiche della Big G.

Ma vanno fatti doverosi aggiornamenti e precisazioni. La Seo non ha mai portato a storture per un blog o un sito di mera diffusione culturale, artistica o giornalistica. Questi ultimi siti fanno ben poca strategia Seo e la loro visibilità nei motori di ricerca cresce in maniera tendenzialmente proporzionale al loro valore e ai link naturali che ricevono. Del resto se solo uno di questi siti si mettesse a fare della cattiva Seo, perderebbe automaticamente il proprio valore e i propri lettori. La Seo funziona come promozione e ottimizzazione, ma far notare quanto si è bravi non è certo disonorevole.

Per quanto riguardi i siti più commerciali, passato il periodo in cui si sono verificati episodi da Seo selvaggia, vale ormai la stessa cosa. La “black hat” Seo e il linkbuilding ossessivo sono morti e sepolti da un pezzo. Non servono a nulla, se mai sono serviti. Certo possono essere ancora fatti, ma non portano molto beneficio sul lungo termine (cioè il solo che conta in economia). Anche qua la rete non perdona, basti guardare ai pubblicitari che lavorano sul web: la tacita consapevolezza è che in rete è molto più difficile essere ambigui con i consumatori; e la scarsa qualità, prima o poi, viene severamente punita.

Non si può, poi, non ricordare come le recenti evoluzioni degli algoritmi di Google sembrino chiedere definitivamente che il web content non sia spazzatura che cerca di attirare traffico. Google non cambia i suoi metri di giudizio per beneficenza o per spirito illuministico, ma per rendere un servizio più funzionale ai propri users. Fatto sta che, a partire da Google Panda, divenuto a fine 2011 un po’ il simbolo (sopravvalutato) della nuova era della qualità sul web, Google ha sancito anche culturalmente la necessità di premiare i buoni contenuti. Se, poi, il destino della scrittura online debba essere deciso solo dalle politiche di un motore di ricerca, beh…questo è un altro discorso che andrebbe approfondito.

 

Si scriveva sulla pietra, si scriverà su un’interfaccia utente.

Il fatto è che, più continuerà a crescere, più il web e la sua eterogeneità toccheranno svariati livelli di qualità. Ripeto, i livelli più bassi si affermano in continuazione. Ultimamente sono emersi anche programmi di scrittura automatica, robotica, finalizzati unicamente a creare quantità di contenuti online. Senza contare le farm di articoli da pochi centesimi a parola. Una scrittura nemmeno più umana che si affianca a quella umana senza pretese. Ma non si capisce perché questo dovrebbe bloccare il diffondersi di contenuti di alto livello in rete. Sono ormai diversi gli scrittori che si sono affermati unicamente via web, i blogger capaci di comunicare vero sapere e buona informazione via Twitter, i copywriter che hanno fatto del web writing una nuova e affascinante arte. Forse nel secolo scorso la presenza di pessimi scrittori ha impedito a Mann, Calvino e Camus di scrivere?

Certo, oggi siamo di fronte ad una profonda metamorfosi del concetto di autore, il cui romantico isolamento di un tempo non sembra essere ottimale per l’interazione costante richiesta dalla rete. E le stesse forme del testo scritto muteranno in lunghezza, geometria, interrelazione e organizzazione. Le opere “a pezzi” che già individuava Nietzsche sono oggi l’anima scritta del web. Così come già sono mutate le capacità richieste a chi scrive: capacità di essere rintracciabile sul web, di dialogare con le esigenze dell’IT, di diffondere socialmente i propri contenuti. Ed è anche mutata la diffusione, la critica, la circolazione. La critica, ad esempio, da elitaria è diventata crowd: ogni articolo o pezzo può essere praticamente commentato da chiunque, talvolta pure attaccato con rara e ingiustificata aggressività. Ma al tempo stesso può essere diffuso, condiviso e integrato. A costo vicino allo zero.

Ecco perché non ci sono molti motivi per credere che le nuove forme orizzontali di comunicazione in rete possano ostacolare o scoraggiare una buona scrittura, che sia artistica, informativa o commerciale. Sarebbe infatti un errore imperdonabile confondere l’orizzontalità dell’espressione con l’omologazione. La diffusione orizzontale non esclude percorsi potenzialmente verticali, a patto che ci sia la volontà di non fermarsi ai primi filtri digitali mainstream (motori di ricerca e social media più generalisti) . Il web permette ancora a chiunque di accedere a contenuti alti e autorevoli. Quello che il web non permette forse più è che all’autorevolezza si sostituisca l’autorità che pretende di non essere mai giudicata, criticata, rielaborata. Ma nessuno che abbia un’idea di futuro dovrebbe rammaricarsi di una simile evoluzione.

 

Content Economy

Un’ultima considerazione, molto più pragmatica. Anche per la scrittura con fini commerciali sarebbe il caso di non farsi sfuggire le potenzialità della rete. Anche qua i contenuti banali fatti per riempire qualche pagina possono essere sempre più affiancati da contenuti scritti di qualità superiore, così come un tempo la poco nobile pubblicità ha permesso diverse espressioni creative. Più si continuerà in questo senso più la scrittura online potrà assumere un’importanza chiave anche a livello direttamente economico. Del resto è indispensabile prendere atto di come sia proprio il web lo spazio economico, sociale e culturale che può realmente assorbire il valore della formazione umanistica di tanti giovani e meno giovani.

Proprio quegli umanisti che l’attuale assetto produttivo non sembra saper considerare, possono cercare e tracciare una strada nel lavoro dei contenuti online. Certo non è una strada in discesa e saranno necessari sforzi di autovalorizzazione e riconoscimento. Ad esempio le retribuzioni, sia per dipendenti che freelance, devono rispecchiare quello che è l’effettivo valore della creazione e l’organizzazione di buoni contenuti scritti. Intanto, la crescita esponenziale dei servizi di content marketing ci dice qualcosa su un possibile futuro della scrittura online, che può affermarsi come una delle colonne delle nuove professioni della web economy. Un’economia che, al di là di quelli che potrebbero essere dei riassestamenti dovuti ad alcune incertezze finanziarie (vedi Facebook a Wall Street), non sembra certo destinata a restare una nicchia, quanto, piuttosto, sul punto di integrarsi definitivamente con la produzione e la circolazione di beni e servizi.

 

Non c’è bisogno di immaginarsi un web semantico per vedere come il web, dopo appena vent’anni, non è più solo roba da informatici smanettoni, ma uno spazio globale di comunicazione e interazione in cui le multiple potenzialità della scrittura sono sempre più necessarie, vitali, propulsive.

Il resto, è, appunto, ancora da scrivere.