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Google nel mirino della Guardia di Finanza: in Italia 80 milioni di imposte non versate

Italia


Anche Google è finita nel mirino della Guardia di Finanza italiana, che ha rintracciato 80 milioni di euro di imposte non versate. E ora le autorità potrebbero fare da apripista a quelli di altri paesi. Regno Unito in testa. E’ quanto dichiara L’Espresso, puntando il dito contro il gruppo di Mountain View che, come altre web company americane (Apple, Facebook e Amazon), “fa affari miliardari in Paesi come la Gran Bretagna, la Francia, l’Australia e l’Italia, versa nelle casse di questi Stati imposte sui redditi risibili, quando non pari a zero”.

 

In tempi di crisi economica e spending review, però, “l’impalcatura fiscale della società inizia a dare qualche grattacapo”.

L’Espresso ricorda che “Lo scorso maggio, in Australia, la scoperta che con Google il fisco va quasi in bianco, a dispetto di un giro d’affari stimato in oltre 900 milioni di dollari locali, ha spinto il ministro delle Comunicazioni del governo di Julia Gillard a lanciare l’idea di una stretta per impedire alle multinazionali di trasferire i profitti nei paradisi fiscali”.

 

In Europa è stata la Francia con la presidenza di Nicolas Sarkozy ad aver iniziato la battaglia a Google e a tutti gli OTT (Over-The-Top) che bypassano il fisco (Leggi Articolo Key4biz).

François Hollande ha raccolto il testimone e costituito una commissione di esperti col compito di avviare un esame approfondito, per elaborare proposte con l’obiettivo di ridurre il gap competitivo che penalizza le aziende d’oltralpe (Leggi Articolo Key4biz).

Entro l’autunno questo team presenterà le proprie osservazioni sui provvedimenti da adottare per trovare nuove risorse e rilanciare la digital economy.

Gli OTT americani sono ovviamente nel mirino del Ministero francese dell’economia. I ‘giganti del web’, che svolgono la loro attività sul territorio nazionale, avvantaggiandosi delle infrastrutture locali, senza contribuire al fisco, sono ormai l’incubo del governo.

 

“Il nostro sistema fiscale accoglie difficilmente le nuove forme di transazione legate allo sviluppo dell’economia digitale“, hanno scritto in comunicato congiunto i Ministri del Tesoro, della Produzione, del Bilancio e dell’Economia digitale.

“Il risultato – continuavano i Ministri – è un mancato guadagno per le finanze pubbliche e uno svantaggio competitivo per le aziende francesi, rispetto alle compagnie internazionali che si organizzano per eludere o ridurre il loro carico fiscale”.

 

I partiti politici, di destra come di sinistra, da tempo denunciano quella che ritengono una ‘concorrenza sleale’ da parte dei grossi gruppi americani, che hanno sede nei Paesi europei con un regime fiscale più favorevole, ma operano in Francia. Google ha sede in Irlanda e paga meno tasse di quanto non ne pagherebbe certamente nell’Esagono.

 

Ma la Francia ha anche fatto di più. Ha deciso di coinvolgere Italia, Spagna e Germania in questa operazione, come ha annunciato Philippe Marini (UMP), presidente della Commissione finanze del Senato, in visita a Roma in un’intervista rilasciata a Il Mondo (Leggi Articolo Key4biz).

 

I tre Paesi potrebbero allearsi con l’obiettivo di inserire la fiscalità sulle web company nell’Agenda europea e spingere Bruxelles a trovare una soluzione condivisa.

“Non possiamo sopportare il fatto di essere semplicemente un mercato da sfruttare al massimo per questi gruppi che hanno in Europa posizioni dominanti”, ha detto Marini.

Per questa ragione il senatore UMP tornerà in Italia, ma anche nelle altre capitali, “per sensibilizzare i governi nazionali e arrivare, entro fine anno, a elaborare delle proposte di legge sulla fiscalità di queste multinazionali”.

 

Secondo il Consiglio nazionale del digitale (CNN), i quattro colossi americani – Google, Apple, Facebook e Amazon – generano in realtà un fatturato dai 2,5 a 3 miliardi di euro, ma non pagano che 4 milioni di euro di imposte in Francia mentre, se fossero sottoposti al regime fiscale francese, avrebbero dovuto versare alle casse dello Stato almeno 500 milioni di euro.

Ma, avendo sede spesso in Irlanda o Lussemburgo, questi gruppi si sottraggono in modo del tutto legale al pagamento di numerose imposte. Se si considerano i cinque maggiori mercati europei, si possono stimare perdite annue, in termini di mancati incassi per gli Stati, superiori al miliardo di euro.

 

“Se arriverà davvero la Google Tax, come la chiamano a Parigi, e se altri governi ne trarranno esempio, si vedrà”, scrive L’Espresso.

(La Google Tax prevede di fissare una tassa sui ricavi pubblicitari online Leggi Articolo Key4biz, ndr).

“Nel frattempo, però, potrebbero essere le autorità fiscali italiane ad assestare un primo colpo al sistema del gigante americano”.

 

Da anni, infatti, le attività italiane di Google sono al centro di un’indagine che, secondo L’Espresso, dovrebbe essere non lontana dalla conclusione.

Tutto risale al triste episodio del 2006, quando alcuni minorenni picchiarono un ragazzo disabile, riprendendo la scena e caricando il filmato su Google Video.

La Procura di Milano aprì un’indagine per verificare eventuali responsabilità e la Guardia di Finanza si recò negli uffici del gruppo, sequestrando alcuni documenti.

Dal materiale raccolto, scrive L’Espresso, venne fuori il contorto meccanismo fiscale che permette a Google di trasferire in Irlanda i profitti realizzati operando in Italia.

 

Il giornale fornisce anche qualche esempio su come il motore di ricerca, che appare come uno strumento completamente gratuito, in realtà nel tempo abbia sviluppato una serie di attività commerciali molto redditizie.

Se si effettua una ricerca con la parola chiave ‘cellulari’, i primi tre link dell’elenco, definiti “sponsorizzati”,  riportano ai siti di Nokia, Saturn e Vodafone. Per ogni click effettuato dagli utenti, questi tre operatori del settore pagheranno una certa somma a Google. Oppure, se si recupera l’articolo online del quotidiano “The Australian” dove si ricostruiscono le accuse di elusione al gruppo, si può vedere che su questo come su altri milioni di siti internet la pubblicità è fornita da Google stessa, che la raccoglie attraverso diversi sistemi.

Pronta la replica di Google che, attraverso un portavoce, ha fatto sapere: “Google paga le tasse in Italia. Abbiamo l’obbligo verso i nostri azionisti di mantenere un sistema fiscale efficiente e la nostra attuale struttura rispetta le leggi in vigore in tutti i paesi in cui operiamo. Google contribuisce alle imposte locali e nazionali e da lavoro a oltre un centinaio di persone in Italia”.

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