Innovazione: la Ue spinge su Open Data e Spazio europeo della ricerca

di Alessandra Talarico |

Varate una serie di azioni volte a massimizzare il rendimento degli 87 miliardi di euro che ogni anno la Ue investe nella R&S e a rafforzare le capacità degli Stati membri di fare ricerca in settori determinanti.

Europa


Maire Geoghegan-Quinn

Un accesso più ampio e più rapido ai documenti e ai dati scientifici per aiutare i ricercatori e le imprese a sfruttare i risultati della ricerca finanziata con fondi pubblici.

È questo uno degli intenti principali delle misure appena varate dalla Commissione europea per migliorare l’accesso all’informazione scientifica prodotta in Europa.

A completamento della sua azione, l’esecutivo comunitario ha anche indicato agli Stati membri le azioni concrete che dovrebbero essere intraprese per realizzare lo Spazio europeo della ricerca (SER), un mercato unico della ricerca e dell’innovazione in Europa per migliorare la circolazione, la concorrenza e la collaborazione transfrontaliera fra ricercatori, istituti di ricerca e imprese.

 

Una serie di azioni volte sostanzialmente a massimizzare il rendimento degli 87 miliardi di euro che ogni anno la Ue investe nella R&S e a rafforzare le capacità  degli Stati membri di fare ricerca in settori determinanti quali i cambiamenti climatici, la sicurezza alimentare ed energetica e la salute pubblica.

 

Gli open data, ossia l’accesso aperto a tutte le informazioni prodotte, raccolte o finanziate da enti pubblici, sono uno dei pilastri della strategia digitale europea. In base a queste nuove misure, a partire dal 2014, tutti gli articoli prodotti con finanziamenti di Orizzonte 2020 dovranno essere accessibili immediatamente dall’editore, che potrà ricevere dalla commissione un rimborso dei costi di pubblicazione (approccio definito ‘via aurea’).

I ricercatori dovranno rendere pubblici i loro articoli dopo al massimo sei mesi dalla pubblicazione o entro un anno nel caso di articoli nel settore delle scienze umane e sociali) (approccio della ‘via verde’).

Allo stesso modo, la Ue ha invitato gli Stati membri ad adottare un simile approccio per la ricerca finanziata da fondi nazionali.

 

Obiettivo della Commissione, spiega l’esecutivo in una nota, “è rendere accessibile, entro il 2016, il 60% degli articoli scientifici su lavori finanziati con fondi pubblici europei secondo la modalità dell’accesso aperto”.

In questo modo, ha sottolineato il Commissario Ue per la ricerca, l’innovazione e la scienza, Máire Geoghegan-Quinn, i ricercatori e le imprese europee potranno “realizzare più rapidamente progressi importanti, a beneficio della conoscenza e della competitività in Europa”.

 

Per il 2012-2013, la Commissione stanzierà 45 milioni di euro per le infrastrutture di dati e ricerca sulla conservazione digitale sostenendo la sperimentazione di nuove forme di trattamento delle informazioni scientifiche (ad esempio, nuovi metodi di valutazione “inter pares” e modalità di misurazione dell’impatto degli articoli).

 

Nell’ambito di questo piano strategico rivolto alla ricerca, la Ue si impegna altresì a “sviluppare e sostenere infrastrutture elettroniche, interoperabili a livello europeo e mondiale, per ospitare e condividere le informazioni scientifiche” e ad “aiutare i ricercatori a rispettare gli obblighi in tema di accesso aperto e promuovere una cultura della condivisione”.

 

Per quanto riguarda invece le proposte volte alla realizzazione di uno spazio europeo per la ricerca, la Commissione ha individuato una serie di priorità che vanno dal rafforzamento dell’efficacia dei sistemi nazionali di ricerca al consolidamento della collaborazione e della concorrenza transnazionali, dalla maggiore apertura del mercato per i ricercatori all’utilizzo più ampio dei mezzi digitali per far circolare le informazioni scientifiche.

Questo, per avere la certezza che i finanziamenti destinati alla ricerca siano assegnati in modo concorrenziale e i posti siano distribuiti in base al merito.

“Nell’economia odierna nessuno Stato membro o regione può permettersi di trascurare la propria base di ricerca”, ha concluso Máire Geoghegan-Quinn