AGCom: the day after. La rete termometro di malumori e speranze (frustrate) di cambiamento

di Alessandra Talarico |

Tra ironia e delusione, la rete si conferma il termometro degli umori del ‘giorno dopo’. Senza mettere in discussione il valore e la serietà dei nominati quello che brucia maggiormente è il metodo usato per le nomine.

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‘Occasione sprecata’, ‘spartizione’, ‘autogol dei partiti’, ‘schiaffo alle istituzioni e ai cittadini’.

Sono queste, sui social network, le espressioni più ricorrenti all’indomani delle nomine per i nuovi consigli delle Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni (AGCom) e per la Privacy.

Senza mettere in discussione il valore e la serietà dei nominati quello che brucia maggiormente è il metodo usato per le nomine: che fino hanno fatto le centinaia di curricula, le promesse di audizioni parlamentari per vagliarne la qualità?

 

Tra ironia e delusione, la rete si conferma il termometro degli umori del ‘giorno dopo’: un utente Twitter scrive: “Richiedere il cv per le nomine #agcom è stato un grosso passo avanti per la meritocrazia. Il prossimo passo sarà leggerli!”, altri si chiedono dove sia il cambiamento di rotta auspicato e necessario per ridare credibilità alla classe dirigente.

Roba da ‘sPARTITIzione‘ da ‘manuale Cencelli’ in stile Prima Repubblica, degna di una classe politica chiusa nel suo castello e indifferente alle istanze dei cittadini, commentano in molti, con malumori che emergono dall’interno degli stessi partiti, forse consci della clamorosa attenzione riservata a queste nomine, alimentata dalle molte battaglie, in rete e fuori, inneggianti a nomine trasparenti, qualificate  e distanti dalla politica.

Non dimentichiamo, infatti che – come recita lo stesso sito dell’Agcom – si parla di Autorità il cui operato dovrebbe essere caratterizzato da ‘indipendenza e autonomia’.

La mancanza di riguardo verso questi due principi è, forse, il sentimento che prevale, anche tra alcuni esponenti degli stessi partiti: lo stesso Ignazio Marino del PD sottolinea su Twitter che “I partiti, cominciando dal mio, non riusciranno mai a lasciarsi alle spalle l’epoca delle spartizioni”.

Marino approfondisce quindi le motivazioni che lo hanno portato a non esprimere il suo voto per la nomina dei consiglieri delle due Authority: “Assenza totale di trasparenza…Da un partito che si dice ‘democratico’ ci si aspetta un impegno senza tregua per scardinare i sistemi di spartizione estranei al criterio del merito”.

 

Linda Lanzillotta, sempre su Twitter, scrive: “#Agcom #privacy io voto ma contro le indicazioni dei partiti”, mentre anche l’agenzia di stampa Reuters fa notare che, pur non avendo poteri legislativi, l’AGCom “ha molta voce in capitolo su un’industria televisiva altamente politicizzata, a lungo dominata dall’ex primo ministro Silvio Berlusconi, così come sulla crescita di Internet e delle telecomunicazioni”.

Una questione, quella dell’indipendenza dai palazzi del potere, che assume ancora più rilievo in vista delle elezioni politiche del 2013, quando l’Agcom sarà chiamata a gestire la questione della par condicio, ossia regolare la parità di accesso dei politici ai mezzi di informazioni.

 

Perché, ci si chiede, al di là della competenza delle persone chiamate a far parte dei nuovi consigli, la classe politica – già bistrattata alle ultime elezioni amministrative dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo – non ha voluto dare un segnale forte di cambio di marcia, non ha fatto uno scatto d’orgoglio?

Non a caso, qualcuno causticamente sottolinea che “Quando su twitter molti ‘protestano’ contro le scelte della politica i politici scendono in #silenziotweet”,  mentre il giornalista Alessandro Gilioli commenta: “Spartizione #Agcom Pdl-Pd-Lega-Udc. Altre idee per fare arrivare #Grillo al 51 per cento?”.

Quel Beppe Grillo che tuona – amplificato dai microfoni di mezzo mondo – che l’Agcom è “uno spreco di soldi pubblici, una copertura per il controllo dei media da parte dei partiti”.

 

Sarebbe bastato davvero poco per smentirlo, ma così non è stato.