La politica e i suoi linguaggi: il narcisismo del PD?

di di Barbara Collevecchio (Psicologa) |

Il mito fondante del PD non è né l’ideologia comunista, né quella centrista ma rischia d'essere piuttosto un ibrido costruito a tavolino cui manca una visione chiara non solo futura, ma anche passata e presente.

Italia


Barbara Collevecchio

Per narcisismo s’intende una netta propensione all’autoreferenzialità e un atteggiamento mentale semiautistico, un’introflessione dell’ego.

Come ho spiegato più volte, un’organizzazione come un partito politico può essere analizzata psicologicamente e intesa come una costellazione di significati e significanti strutturati attorno ad un mito di fondazione.

 

Per rendere più chiaro il concetto usiamo il paragone con la famiglia: una famiglia si struttura in base alle dinamiche parentali, alle relazioni tra i suoi componenti e la stessa coppia vive e convive con gli spettri dei rispettivi genitori e nonni.

Ogni famiglia ha un mito e una serie di regole e dinamiche più o meno consapevoli. Allo stesso modo, un’organizzazione si struttura attorno a un mito fondante, al mito dei padri.

 

Il partito democratico che voglio analizzare vive un’anomalia interna: da una parte ha come mito fondativo il vecchio padre dell’ideologia comunista, dall’altra un mal celato centrismo che va da tutt’altra parte.

Quello che emerge è una dissonanza cognitiva tra i membri, che non possono diventare fratelli in quanto figli di diversi padri.

Il mito fondante del PD allora non è né l’ideologia comunista, né quella centrista ma rischia d’essere piuttosto un ibrido costruito a tavolino cui manca una visione chiara non solo futura, ma anche passata e presente. 

 

Da ciò deriva che il PD è percorso da forti correnti interne, figli ribelli, e che la sua maggiore preoccupazione è tentare di dare una parvenza di democrazia diretta, attraverso le primarie che purtroppo però sono quasi sempre a perdere.

 

Perché i personaggi partoriti dal partito vincono le primarie ma non le elezioni?

 

Probabilmente perché questo partito è così percosso da disagi interni e correnti che non riesce per sua natura a partorire candidati amati dagli elettori.

Il PD è diventato autoreferenziale perché non può concentrare la sua attenzione sugli elettori, preso com’è nella gestione del suo stesso interno.

Come dire che se una persona è altamente e disfunzionalmente egodistonica e nevrotica, non riesce certo a relazionarsi in modo sano e positivo all’interno di una relazione amorosa. 

Se per via della personalizzazione vediamo in Italia il pullulare di partiti padronali e schiavi di leader egocentrici e carismatici, questo non è possibile nel PD che è diviso in correnti e non sa dove andare.

 

Tanto meglio, direte voi, e potrei convenirne, ma come ho già scritto in altri articoli questa nostra società necessita di comunicazione chiara e semplice, emozionante, per essere scossa nelle fondamenta.

Un partito, un leader deve sedurre l’elettorato e dare risposte chiare.

 

Come si posso unire anime così diverse, europeisti, cattolici, comunisti, socialisti e poi verso l’esterno dipietristi e vendoliani assieme?

 

In nome del voto utile si è fatta molta confusione, ma non pare a tutt’oggi che la creazione di questo partito socialdemocratico italiano abbia creato una possibile alternanza governativa.

Certo, la libertà e la mancanza di visione chiara e l’esistenza di diverse anime ci salva dal pericolo del pensiero unico, ma visioni così dissimili rischiano di paventare l’ingovernabilità.

 

Su questo gioca la destra, che per quanto si trovi in cattivissime acque può contare su un gregarismo assicurato, sul culto atavico della persona che coinvolge molti simpatizzanti e su una più netta propensione al seguire i dictat dall’alto. 

Inoltre, la maggiore snellezza della destra nel formattarsi e ricambiare la classe dirigente è figlia anche della sua giovinezza, la sinistra italiana o centrosinistra ha per sua storia personale un vecchiume gerontocratico e una tendenza a sclerotizzare ruoli e leadership.

 

Per farla semplice, bisogna riconoscere che un Civati nel Pdl sarebbe immediatamente arruolato, messo in trincea, forse indottrinato.

 

Ma nel PDL i giovani non se li fanno scappare.

 

Nel PD invece le anime ribelli vengono ostracizzate, bollate come eretiche, vengono esposte a prove erculee prima di poter arrivare alle stanze dei bottoni e spesso se ci arrivano hanno già evidenti segni di vecchiaia. 

 

Detto questo, suona forse ingenuo invitare i PD a prendere una strada, qualunque sia, purché chiara e volta alla seduzione di quel 44% di elettori che si astengono e che oggi come oggi sono un enorme bacino di voti. 

 

La destra e il terzo polo, Grillo, sono già in trincea e la campagna elettorale è cominciata.

 

Il PD che fa?

 

In Sicilia c’è una vera e propria battaglia in corso.

 

Il Pd non può continuare a guardarsi la punta delle scarpe e ad avere un atteggiamento narcisista e un dialogo con se stesso.

In molti invocano le primarie.

Nel frattempo se si scende per strada si percepisce una rabbia, uno sdegno e un odio viscerale nei confronti della politica, sdegno e irritazione che aumentano quando si leggono su Twitter esponenti importanti del PD parlare tra di loro di presidenzialismo, di giochini di potere e riforme, come se fossero loro ad essere in ballo, la loro sopravvivenza e non quella di un popolo che si sta portando a livelli di insofferenza pericolosi ma, forse, davvero motivati.