Accesso disaggregato: ecco perchè sarebbe una norma ‘mal concepita, impraticabile e poco tempestiva’

di Alessandra Talarico |

Il parere di Andrea Renda, docente di diritto della concorrenza e della regolamentazione all’Università LUISS sulla norma contenuta nella Legge Semplificazioni.

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Separare le attività di attivazione e manutenzione correttiva della rete telefonica, oggi svolte esclusivamente da Telecom Italia, dalle altre componenti del servizio per consentire una riduzione delle tariffe all’ingrosso per l’accesso alla rete: su questa norma, contenuta nella Legge Semplificazioni, si è sollevato un polverone che ha oltrepassato i confini nazionali per approdare a Bruxelles, con l’esecutivo comunitario che ha inviato due lettere al Governo per chiedere chiarimenti, entrambe senza ancora una risposta (Leggi articolo Key4biz).

Il problema è che così come è stata concepita – anche con le modifiche apportate dal Governo in corso d’opera – la norma scavalca le competenze dell’Agcom definite dal quadro comunitario, andando a incidere sull’indipendenza del regolatore e sulla certezza del diritto.

Sulla questione si è espresso nei giorni scorsi Andrea Renda, docente di diritto della concorrenza e della regolamentazione all’Università LUISS, che ha parlato – dalle pagine de Il Sole 24 Ore – di una norma “mal concepita, impraticabile e poco tempestiva”.

 

Spiegando nel dettaglio la sua affermazione, Renda sottolinea che la norma, oltre che prevedere un rimedio non contemplato in alcun riferimento normativo comunitario e scavalcare la competenza del regolatore, risulta “impraticabile, se non a costi eccessivi, per il consumatore”.

Nello specifico, afferma Renda, “l’affidamento ai soggetti che utilizzano la rete della gestione dei servizi di manutenzione sul tratto da questi utilizzato appare soluzione quanto meno acrobatica: in molti casi si tratta infatti di tratti di rete ‘passiva’ utilizzati da più di un operatori, per i quali sarebbe antieconomico immaginare un intervento di squadre di manutenzione specifiche per ciascun concorrente”.

A quale operatore si attribuirebbe, in sostanza, la responsabilità di un eventuale guasto e il relativo costi di manutenzione?

 

Oltre a questo effetto, un’altra conseguenza di questa norma sarebbe la “riduzione delle economie di scala connesse non solo all’intervento di manutenzione in sé quanto alla raccolta delle informazioni necessarie all’individuazione dello specifico elemento o tratta di rete in cui sì è verificato il guasto a cui è attribuibile il malfunzionamento riscontrato da uno o più utenti”.

 

C’è poi un’altra questione direttamente legata al diritto della concorrenza e in particolare, spiega Renda, al concetto di ‘infrastruttura essenziale’: in base alle impostazioni comunitarie, infatti, la rete e i suoi servizi non possono essere ‘espropriati’ (di esproprio ha parlato anche il presidente Telecom Italia, Franco Bernabè), ma al massimo messi a disposizione dei concorrenti !in modo equo e non discriminatorio”.

La situazione avallata dalla norma è equiparata a quella in cui in un albergo sarebbero i clienti a decidere quale ditta debba pulire la camera.

 

I servizi al centro del contendere (attivazione e manutenzione correttiva della rete) rientrano nei “all’interno del quadro dei poteri di intervento Agcom” in quanto fanno parte di un servizio regolamentato ma non sono oggetto né  di regolamentazione specifica né di liberalizzazione.

“Se vi è una qualche forma di fallimento, si tratterebbe di un fallimento della regolazione, non del mercato”, afferma quindi Renda, che da ultimo denuncia che la norma è anche ‘anacronistica’, in quanto concepita esclusivamente per la rete in rame e non per quella in fibra ottica, verso cui è puntato l’interesse nazionale e, soprattutto, della Ue e in un contesto in cui la priorità è quella di garantire “una rapida transizione verso le reti in fibra senza creare ostacoli per gli ex monopolisti né alibi per i nuovi entranti”, conclude Renda.