Radiografia mediatica della Lega Padana: il complesso di inferiorità del Narcisus Politicus Lumbard

di di Barbara Collevecchio (Psicologa) |

Bossi incarna il mito e l’archetipo del briccone e del nomade errante che porta la buona novella. Con pochi soldi e una sgangherata combriccola gira il Nord in macchina per diffondere il suo verbo.

Italia


Barbara Collevecchio

Tutto il percorso di Umberto Bossi è segnato da un filo conduttore: la Cultura

Disprezzata, osteggiata, considerata come roba da sapientoni, dileggiata in ogni modo, con frasi a effetto ed esternazioni triviali, la Cultura è il concetto attorno al quale nasce il complesso d’inferiorità di Bossi ed è il motivo per cui questo speciale Narciso della politica italiana reagisce al senso d’inferiorità sotteso con la volontà di potenza.

 

Il linguaggio di Bossi è volutamente e sapientemente ignorante e volgare :

 

“…Rivolgendosi a una signora che aveva esposto il tricolore alla finestra: “Il tricolore lo metta nel cesso, signora. Ho ordinato un camion a rimorchio di carta igienica tricolore, personalmente, visto che è un magistrato che dice che non posso avere la carta igienica tricolore (durante il comizio a Venezia del 14 settembre 1997…” citato in Vilipendio alla bandiera la Camera salva Bossi, La Repubblica, 23 gennaio 2002.

 

Una persona che parla in questo mondo mi ricorda il bambino o l’adolescente che dovendo rompere con la tradizione paterna e materna, inizia a dire le parolacce.

La parolaccia è uno dei primi modi che il bambino usa per trovare una propria identità. Il linguaggio è il territorio della condivisione, dell’attenzione, dell’appartenenza a  un contesto e del dialogo.

Cosa fa l’adolescente ribelle per distruggere quel contesto e per affermare di non appartenere più al gruppo familiare? Inizia a usare un suo linguaggio, ne costruisce uno nuovo, personalissimo, da usare non più con la famiglia alla quale si oppone ma con i suoi pari e affini.

Il nuovo linguaggio rompe gli schemi genitoriali, la sintassi parentale ed entra nel regno del nuovo, della ribellione, della ricerca dell’identità che passa per la ricerca di una nuova semantica.

La parolaccia viene usata come rottura, come opposizione, come rivoluzione del pensiero che si estrinseca in rivoluzione del linguaggio. 

 

Perché è così importante ribellarsi e uccidere psicologicamente i genitori?

 

“…Il genitore è la nostra ferita. In termini letterali questo significa che riteniamo responsabili i nostri genitori; ma stesso enunciato, visto come metafora, può significare che quel che ci ferisce di più ci può anche essere genitore. Le nostre ferite sono i padri e le madri dei nostri destini…” ( Hillman ) .

 

Il genitore nella dinamica inconscia della Lega Padana è identificato, attraverso una mitopiesi politica, in una madre ladrona (Roma Capitale), moglie di uno Stato/padre ingrato ed escludente un figlio ribelle (il Nord), incarnato dall’eroe Umberto Bossi che, imprigionato nel complesso di Edipo è impegnato nella battaglia volta alla liberazione e alla conquista dell’indipendenza. 

Bossi incarna subito il mito e l’archetipo del briccone e del nomade errante che porta la buona novella.

Con pochi soldi e una sgangherata combriccola gira il Nord in macchina per diffondere il suo verbo.

Un verbo diretto, emozionale, triviale e spicciolo che ripete costantemente il solito slogan e messaggio:Roma è lacapitale crassa di uno Stato degenere, che ha dimenticato i suoi figli del Nord, i figli lavoratori sono stanchi di mantenere il lassismo dello Stato e vogliono l’indipendenza. 

Come abbiamo visto per uccidere simbolicamente un genitore una delle prime tecniche è quella di usare un linguaggio diverso, un linguaggio ribelle. In secondo luogo ci vuole giustizia.

La giustizia arriva nei panni di un aiutante perfetto: i magistrati di Mani Pulite

Come in una fiaba, l’eroe vagabondo trova un aiuto da parte di una semi divinità: la dea Giustizia incarnata da un pool di magistrati proprio di Milano.

Ecco che la contrapposizione mitica dell’eroe e antagonista si fa più forte e suffragata da indagini giudiziarie che scoperchiano il vaso di Pandora dell’elite partitocratica romana.

 

Lo slogan “Roma Ladrona” alla luce di mani pulite funziona sempre di più e il nostro eroe fa man bassa di voti di protesta. 

 

Al lassismo, assenteismo e distacco dalla realtà quotidiana di questa madre politica romana, assente e disinteressata si contrappone un partito leghista estremamente esigente con i suoi stessi iscritti.

Mentre gli altri partiti accettano chiunque in un eterno trasformismo privo di identità e si regalano tessere a iosa, la Lega fa l’opposto: per ottenere la tessera di militante devi fare una lunga gavetta e partecipare attivamente con volantinaggi e altre attività al lavoro del partito.

 

I membri attivi della Lega hanno un contatto costante e capillare con il territorio “La Lega non ti abbandona” dice il motto ed è reale, perché davvero il politico di questo gruppo dimostra una fervente attività partecipativa con i cittadini. 

In tutto questo però non scordiamoci che il Capo del partito, il leader massimo è sempre un Narcisus politicus. Bossi come tutti i leader carismatici e narcisi, riesce a creare una mitologia attorno alla sua persona, da figlio ribelle diventa barbaro onesto. Il partito stesso è costruito attorno ad una simbologia celtica che ricordi ai militanti le origini nordiche, che unisca le genti attorno al mito fondatore. L’atto fondativo della Lega, il parossismo mitologico e fondante trova il suo apice a Pontida

 

Bossi, capo dei ribelli, brutale e barbaro, troneggia sul suo scranno idolatrato dalla tribù, i simboli leghisti sono Alberto da Giussano, un guerriero padre della patria nordica, un cerchio con un fiore a sei petali che ci ricorda i mandala celtici eil lupo di Venezia.

Ai più questo uso di immagini arcaiche (che arriva a toccare l’apice nella celebrazione del matrimonio celtico di Calderoli, con l’uso di druidi e simbologie nordiche profonde) sembra ridicolo.

Ai più sembra ridicolo lo stesso Bossi quando dice parolacce, minaccia di morte gli italiani, affermando che la Lega è pronta alla guerra per la secessione con i forconi, ma è evidente come dietro tutto ciò ci sia molta più furbizia e intelligenza di quel che si pensi.

I casi sono due: o Bossi e compagnia sono dei geni della comunicazione, talmente abili da capire che nel profondo Nord per costruire un partito che attecchisca e si basi su un profondo coinvolgimento emotivo bisogna usare strumenti fondativi arcaici e tribali, sfoderando miti celtici e teorie della razza, oppure siamo di fronte ad uno spontaneismo archetipico dei più interessanti da studiare. 

 

I simboli arcaici e archetipici sono quelli che riescono a emozionare il singolo come la folla, questi simboli sono la croce, il mandala etc. abbiamo visto come la Lega riesumi dal passato questi simboli per risvegliare il senso di identità di un popolo intero, quello del Nord, facendo leva anche sul concetto di razza.

Il nemico numero due, non a caso, dopo Roma ladrona saranno gli extra-comunitari, i terroni, insomma tutti i non appartenenti alla razza padana. Si fonderà il giornale padano, la radio padana, uno show come miss Padania. 

 

Questo neo paganesimo si fonda su un complesso d’inferiorità o sull’ideale di supremazia di una razza? 

 

Non me ne vogliano i militanti leghisti ma a mio avviso il loro leader, Narcisus politicus basa il suo culto della persona, il suo senso di rivalsa e di ricerca di potere proprio su un grosso complesso d’inferiorità. 

Il narcisista infatti non è una persona realmente sicura di sé. Può apparire sbruffone, disinvolto, prepotente ed esibizionista, ma in realtà quello che nasconde è un grosso senso di vuoto interiore e dei gran complessi.

 

Oltre al tipo di narcisista overt, cioè aperto e estroverso, esiste un narciso chiuso, timido, di poche parole, molto rabbioso, costantemente preoccupato di far brutte figure.

In ogni caso il narciso ha una ferita. La ferita che si porta dentro Narciso è la mancanza di amore, di stima e di affetto primario che la madre non gli hamai dato. Comeabbiamo visto la Lega fonda la sua politica su un tema di rivalsa e di indipendenza da una madre/Stato ritenuta insufficiente e matrigna. Bossi stesso con a su storia di vita mi lascia perplessa e mi persuade a pensare che tutta la sua carriera si fondi su una menzogna che ha detto a se stesso. 

 

Perché un uomo che predica un linguaggio semplice e ne  rivendica la volgarità, perché un uno che si scaglia contro i “sapientoni” , i dotti professoroni romani corrotti, finge per anni di avere una laurea in medicina?

Perché lo stesso ribelle, lo stesso saggio ignorante che parla con orgoglio delle sue umili e ignoranti origini, finge di festeggiare una laurea mai ottenuta per ben tre volte? 

 

Perché lo stesso uomo, paladino dei campi, del lavoro duro e della semplicità e diplomatosi frettolosamente a radio Elettra per non perdere tempo e lavorare, finge per anni con la moglie di uscire di casa per andare a lavorare in ospedale in qualità di medico? La prima moglie di Bossi ha chiesto per via di questa menzogna il divorzio. Aveva comperato al marito persino una borsa di pelle da dottore, ma arrivati i sospetti, si recò dal rettore dell’università di Pavia, dove Bossi sosteneva di essersi laureato. Da quell’incontro con il rettore la moglie di Bossi scoprì che a suo marito mancavano 11 esami dalla laurea. 

 

Perché tutto questo, ci chiedevamo?

Perché un uomo che rivendica la semplicità attraverso il linguaggio e la struttura del suo partito politico, arriva a simulare una laurea, pur non avendone bisogno per lavorare?

 

Non scordiamoci infatti che tutta questa colossale menzogna (i narcisi sono i Re delle menzogne) non è nata per un bisogno materiale, ma psicologico.

Bossi criticava tanto i sapientoni laureati perché era invidioso. Tutto qui. E’la vecchiastoriella della volpe che non raggiunge l’uva e la disprezza. Il bambino che non può compiere l’incesto con la madre non può far altro che odiarla e lottare contro il padre anche se il suo vero sogno è essere come il padre e fare l’amore con la madre e sposarla.

Bossi, probabilmente per la sua situazione sociale o psichica, vittima di una ferita narcisistica, invidiava, come solo un narciso sa fare, i successi ed il potere altrui. Fino a 35 anni  pare abbia avutouna vita abbastanzabighellona, con poche o nessuna conquista sociale o personale. Al Narciso, convinto di essere speciale e migliore, di non avere successo proprio non va giù. Prova, con lo pseudonimo di Donato a incidere un disco ma non sfonda. Ecco il lampo di genio: quale palcoscenico migliore di quello della politica? E così inizia il suo viaggio in direzione della volontà di potenza.

 

Bossi parla per un popolo emarginato perché LUI si sente emarginato, impreca contro la famiglia del sud perché LUI vorrebbe una famiglia calorosa e unita come quella del sud, però divorzia.

 

E nel secondo matrimonio crea un nucleo familiare che a quello della più tradizionalista famiglia campana farebbe un baffo. Non solo sforna un bel po’ di figli (grazie a Thor tutti maschi!) ma li vizia, li seduce, li riempie di cibo come la migliore delle mamme siciliane.

Ne sceglie uno e lo elegge suo successore, lo chiama teneramente il Trota, si addolcisce e cala le braghe, il barbaro ribelle.

 

Poi si ammala e questa stessa famiglia, così unita, così terrona negli usi e costumi, forma attorno a lui un “cerchio magico“, così definito dai media dopo lo scandalo dei soldi che la famiglia e i fogli di Bossi usavano ai propri fini, soldi pubblici, del partito. 

La Lega che ha sempre predicato la sua diversità e coerenza, si sfalda proprio sul declino incoerente del suo leader, che purtroppo è stato manipolato dopo la malattia dal suo stesso cerchio magico e corte.

Rampolli viziati che collezionano macchine e divertimenti tutto a spese dello Stato e con i soldi dei militanti.

Falsi in bilancio, truffa ai danni dello Stato… “altro che Roma ladrona!”, tuonano in molti.

Bossi cerca ancora di fare l’eroe e dice: “…Chiedo scusa per i miei figli, l’hanno fatto a mia insaputa, li ho viziati…”.

Ci ricorda papà Goriot del celebre libro di Balzac, rovinato dall’avidità delle figlie, in una tristissima  ma reale commedia umana.

 

Questa di Bossi è una storia in cui il mito è ricorrente.

 

Il mito o complesso della laurea non si è spezzato, si ripete nel copione familiare: anche Renzo Bossi, il delfino del Capo, si è comprato prima il diploma, poi la laurea, come lui anche la fedelissima del Boss, chiamata da tutti La nera, ha comperato per il suo amante una laurea in Svizzera.

La domanda è: ma che ci fa questa gente, già al potere, strenua sostenitrice del danè rispetto alla cultura, di tutte queste lauree?

Forse il complesso d’inferiorità del leader ha influenzato e contagiato psichicamente tutto il narrato del partito.

Il mito fondante sull’invidia ha coinvolto tutto e inflazionato tutti.

Forse questa gente dileggiava Roma ma ne invidiava l’odore, i tramonti, le opere storiche, la cultura, così egemonica e potente, da impero, rispetto a quella striminzita del neo paganesimo leghista. 

 

Sembra che la Gelmini, da ministra della Pubblica Istruzione combatté per far concedere aBossi una laurea honoris causa in comunicazione. Pareva che la cosa fosse fatta, ma molti docenti dell’università che fu coinvolta si ribellarono con il rettore (amico di Bossi) e non se ne fece più nulla.

Questa ossessione per la laurea, evidenzia che per la psicologia bossiana essa non è un semplice pezzo di carta ma uno status di potere, un vessillo, un obiettivo, tanto più deprecato quanto più desiderato. 

E così, uno degli uomini più ignoranti, volgari degli ultimi 20 anni, che si presentava in canottiera facendo gestacci ed esibendo il dito medio in televisione contro il potere, dal potere stesso é stato sedotto, tramite il potere ha rovinato e viziato i suoi figli, tutto per una ferita narcisistica, tutto per un complesso di inferiorità che cercava di riscattare attraverso il suo ruolo di leader.

 

ForseUmberto Bossise avesse avuto la forza di laurearsi davvero in medicina, sarebbe stato più felice? Avrebbe lenito la sua ferita? Di certo il suo progetto politico ha creato una xenofobia nel Nord produttivo ed è stato veicolo di valori errati, non compatibili con uno stato civile e rispettoso delle minoranze e degli stranieri.

Attorno al carisma di quest’uomo sono state scritte tante cose, persino che fosse un genio.

Di sicuro è stato un volitivo, un furbo, ha saputo usare intelligentementela comunicazione, i miti, i simboli e creare un movimento forte.

Di sicuro il funzionamento della Lega, se svincolato dai valori xenofobi e talvolta razzisti che lo compongono, è funzionale e vincente.

 

Ma non c’è stato un lieto fine.

 

Un lieto fine non c’è mai quando a muovere i nostri passi e decisioni nella vita, non è il bisogno legittimo di auto realizzazione sana e fruttuosa delle nostre capacità, ma un bisogno più meschino e patologico di rivalsa, motivato dall’invidia e dal riscatto sociale. 

Alla luce di questo, il nemico extracomunitario della Lega non è altro che la proiezione sul diverso del senso di inferiorità intrinseco del leder e del partito che ha assorbito il suo complesso e si è strutturato attorno a questo senso patologico di inferiorità e bisogno di riscatto.

Ci sono due possibilità di riscatto sociale e umano nella vita, se essa è stata così difficile da farci sentire reietti ed emarginati: cercare l’affiliazione con l’altro, la solidarietà e l’amore, o puntare sulla vendetta, sul riscatto violento, sulla rivendicazione aggressiva e sulla secessione.

 

Bossi probabilmente per motivi personali (e la Lega tutta) ha scelto la seconda via.. Poi tutto è finito a suon  di indagini della magistratura e il futuro deve ancora arrivare.

Staremo a vedere. 

 

 

“…avremo tutti un mitragliatore in mano e sarà un piacere portarne un po’ all’altro mondo…” ( Il Mattino, 8 aprile 2008)

“…Il popolo della padania condivide con quello del Tibet l’aspirazione ad essere ciascuno padrone a casa sua…” ( Corriere della Sera, 5 maggio 2008)