Tlc e web: l’Europarlamento contro l’esportazione di tecnologie ‘pro-censura’

di Alessandra Talarico |

Gli eurodeputati chiedono nuove norme per migliorare il controllo delle esportazioni di quegli strumenti o servizi che possono essere utilizzati per censurare la navigazione, bloccare l'accesso ai siti e monitorare le comunicazioni su cellulare.

Unione Europea


Censura

La Ue non deve rendersi complice dei regimi che censurano internet o controllano le comunicazioni telefoniche. Per questo l’Europarlamento ha adottato – con 580 voti a favore, 28 contrari e 74 astensioni – una risoluzione non legislativa volta a ‘responsabilizzare’ le aziende che esportano prodotti che potrebbero essere utilizzati con fini repressivi.

 

Sulla scia dei moti della cosiddetta ‘primavera araba’ che ha mostrato al mondo la potenza di internet e dei social media per “esercitare il diritto alla libertà d’opinione e espressione”, gli eurodeputati chiedono in sostanza nuove norme “per migliorare il controllo delle esportazioni di quegli strumenti o servizi che possono essere utilizzati per censurare la navigazione, bloccare l’accesso ai siti e monitorare le comunicazioni su cellulare”.

 

Se, infatti, l’Europa e gli Usa puntano spesso il dito contro i regimi autocratici, che reprimono il libero accesso ai nuovi strumenti di comunicazioni, è un dato di fatto che molte di queste tecnologie provengono proprio da aziende del vecchio continente o americane. E spesso, gli operatori telefonici occidentali che lavorano nei Paesi repressivi non esitano a ottemperare alle richieste provenienti da questi regimi, bloccano le comunicazioni o consentendo alle autorità di monitorarle in maniera illecita.

Un doppio registro che vanifica gli sforzi di chi lotta per promuovere  i diritti umani e la libertà dei media e per proteggere i giornalisti e i blogger indipendenti dagli impulsi censori dei regimi.

 

L’Europarlamento ha inoltre espresso ‘rammarico’ per il fatto che alcuni Stati membri “…non abbiano considerato in modo completo e aperto la questione della propria complicità nella violazione, a livello globale, dei diritti umani verificatasi nel contesto del programma di consegne e di detenzione segreta degli Usa”.

In seguito agli attentati alle Torri Gemelle del 2001, denunciava infatti l’eurodeputato Claudio Fava, molti governi Ue non si sono opposti con la dovuta forza alle prassi e ai soprusi della CIA nei confronti dei presunti terroristi, che hanno prodotto una pericolosa erosione dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

E il nostro Paese, anche in questo caso, non ha brillato per eccesso di zelo: insieme a Cipro, Repubblica ceca, Ungheria, Lussemburgo e Portogallo l’Italia è stata chiamata a firmare e ratificare una serie di accordi quadro per facilitare il lavoro della Corte internazionale penale (CIP), in particolare per quanto riguarda la collaborazione nelle indagini sulle persone ricercate.

 

I deputati europei chiedono quindi che vengano applicate le raccomandazioni contenute nella Relazione sul presunto uso dei paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegali di prigionieri presentata da Fava del 2007 e hanno invitato le istituzioni europee a proseguire nella loro opera di pressione sui governi con l’obiettivo di condurre indagini “chiare e complete” sulle presunte attività illegali della CIA in Europa