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Telecom Italia: debole in Borsa dopo i conti 2011

Italia


Parte male la seduta odierna di Telecom Italia, dopo la presentazione dei conti 2011 – comunicati ieri a mercati chiusi – e caratterizzati da un risultato netto consolidato negativo per 4,7 miliardi di euro a causa della svalutazione dell’avviamento.

Il titolo dell’operatore italiano risulta il peggiore tra quelli a elevata capitalizzazione di Piazza Affari, cedendo in mattinata il 2% netto a 0,88 euro. Il titolo ha chiuso infine le contrattazioni in perdita dello 0,94%.

 

Sui conti 2011 – che escludendo la svalutazione dell’avviamento e le altre partite di natura non ricorrente si sarebbero chiusi con un utile di 2,6 miliardi di euro, sostanzialmente in linea con l’esercizio precedente – ha pesato la svalutazione dell’avviamento sulle attività domestiche per complessivi 7,3 miliardi di euro.

 

La società ha comunque confermato la distribuzione del dividendo in ragione di 4,3 euro cent per le azioni ordinarie e di 5,4 euro cent per le azioni di risparmio per un ammontare totale di circa 900 milioni di euro.

 

“La svalutazione – ha affermato il Presidente Franco Bernabè non determina conseguenze di natura finanziaria e pertanto non modifica il percorso di riduzione dell’indebitamento della società. La situazione finanziaria del gruppo, con riserve disponibili in Telecom Italia S.p.A. che ammontano a oltre 7 miliardi di euro al netto della perdita di esercizio, permette il rispetto della dividend policy annunciata nel piano 2012-2014″.

 

A livello di gruppo, i ricavi si sono attestati a 29,9 miliardi di euro (+8,7% rispetto al 2010) l’Ebitda a 12,2 miliardi di euro (+7,3% rispetto al 2010); l’Ebitda organico a 12,3 miliardi di euro (in linea con il 2010) e l’Ebitda margin organico al 41,2% (-1,1% rispetto al 2010).

 

Nel 2011, gli investimenti si sono attestati a circa 6 miliardi di euro (+33% rispetto al 2010, a seguito principalmente dell’acquisto dei diritti d’uso delle frequenze LTE) e il Free cash flow operativo e 5,76 miliardi.

“Il 2011 – ha commentato Bernabè – è stato un anno difficile per l’economia internazionale e ancora di più lo è stato per l’Italia che è stata investita dalla crisi del debito sovrano. L’aumento del costo del capitale, determinato dalla crescita dei tassi d’interesse, ha portato ad una revisione al ribasso del valore attualizzato dei flussi di cassa futuri utilizzati per determinare il valore dell’avviamento”.

“Di conseguenza, si è dovuto procedere ad una svalutazione di parte del valore dell’avviamento formatosi a seguito delle operazioni Olivetti/Telecom Italia del 1999 e 2003 e di acquisizione delle minorities di TIM nel 2005”.

 

“A livello di Gruppo i risultati industriali e gestionali sono migliorati. In parallelo – ha proseguito Bernabè – è continuato il processo di deleverage che ha consentito di ridurre il debito consolidato di un miliardo di euro su base annua e di 5,5 miliardi dalla fine del 2007″.

 

La riduzione dell’indebitamento, sostenuta dalla capacità di generazione di cassa del Gruppo, è stata realizzata nonostante l’impatto dell’asta delle frequenze LTE in Italia e dell’acquisizione di AES Atimus in Brasile, per un totale di quasi 2 miliardi di euro.

 

C’è intanto chi sottolinea che il riallineamento dell’avviamento poteva essere fatto prima, precisamente già nel 2009, così come chiesto all’epoca dai piccoli azionisti di Asati, secondo i quali muovendosi prima in questo senso la società “avrebbe potuto utilizzare in parte le risorse disponibili nella tesoreria (12 miliardi di euro), avrebbe ridotto l’indebitamento per la quota dividendi e risparmiato circa 5 miliardi di tasse con l’effetto benefico di portare il debito da subito a circa 25 miliardi di euro”.

A fronte di queste considerazioni, Asati chiede alcuni interventi che potrebbero essere utili ad affrontare le difficoltà di mercato da qui al 2013: in particolare, i piccoli azionisti chiedono che “i 15 milioni di euro previsti per il piano long term incentive siano distribuiti a obbiettivi raggiunti all’inizio del 2014” e di rivedere lo statuto sociale per prevedere un posto nel Cda anche per i piccoli azionisti.

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