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Google nel mirino del fisco: la Francia apre procedura di accertamento sul meccanismo tributario degli OTT

Francia


La Francia ha deciso: gli OTT che operano in Francia devono contribuire alle casse dello Stato. A più riprese Nicolas Sarkozy è tornato a parlare delle web company straniere per dire che “Non è ammissibile che realizzino fatturati di diversi miliardi di euro senza pagare alcuna imposta“.

 

Intanto il governo ha nuovamente messo mano alla legge, nota come Google Tax, che prevede di fissare una tassa sui ricavi pubblicitari online (Leggi Articolo Key4biz).

Ma non s’è fermato qui. E’ di oggi la notizia che è in corso una procedura di accertamento fiscale nei confronti di Google, che potrebbe costarle oltre 100 milioni di euro.

La notizia sarebbe stata rivelata da una fonte vicina al Ministero del Bilancio, che però s’è rifiutato di commentare l’indiscrezione, trincerandosi dietro il segreto d’ufficio.

Pronta la replica di Google France che, attraverso un suo portavoce, ha fatto sapere che l’azienda “è in linea con tutte le leggi fiscali dei Paesi nei quali opera“.

“Siamo convinti – ha aggiunto – d’essere conformi anche alla legge francese“.

 

Il sito lexpress.fr ha svelato una notizia rimasta fino a oggi segreta. Il 30 giugno 2011 la Direzione nazionale responsabile degli accertamenti tributari ha effettuato una perquisizione della sede francese di Google, che ha portato al sequestro di numero eMail, fatture e contratti, per determinare l’importo delle imposte sulle società e l’IVA che il motore di ricerca non avrebbe pagato tra il 2008 e il 2010.

Secondo L’Express, l’azienda, per la quale la Francia è il quarto Paese in termini di attività, ha dichiarato d’aver realizzato un fatturato di soli 68,7 milioni di euro nel 2010.

Una somma, scrive il giornale francese, di ben 37 volte inferiore a quella fatturata nel Regno Unito (2,5 miliardi di euro).

 

Gli acquisti di link sponsorizzati in Francia sono stati imputati direttamente alla sede irlandese di Google.

Se il motore di ricerca dovesse essere condannato, si creerebbe un precedente importante che potrebbe avere ripercussioni per gli altri player americani che usano la stessa procedura di ottimizzazione fiscale come Apple, Facebook o Amazon.

Anche quest’ultima, del resto, è sottoposta a un controllo fiscale per gli anni che vanno dal 2007 al 2010.

Amazon France ha dichiarato un turnover di 21,7 milioni di euro nel 2010 contro i 26 miliardi di euro della casa-madre. In più, sul servizio di musica online, AmazonMP3, la società non paga IVA in Francia.  

 

Come sottolinea il Consiglio nazionale del digitale (Conseil national du numérique – CNN), “l’applicazione del concetto di ‘ciclo commerciale completo’ consente senza modifiche legislative di tassare i principali attori stranieri che operano sul territorio francese sull’effettivo importo delle loro attività. Questo permetterebbe di generare quasi 500 milioni di euro di entrate aggiuntive”.

 

Negli USA, l’Autorità di regolamentazione della Borsa (SEC) ha obbligato le web company quotate in America a chiarire quali sono i benefici fiscali di cui godono.

Dal report della SEC risulta che Google ha dichiarato 7,6 miliardi di dollari di ricavi all’estero e 4,7 miliardi di ricavi negli USA: l’ammontare delle tasse è di 2,3 miliardi di dollari per gli Stati Uniti e di soli 248 milioni di dollari per l’estero.

I tributaristi chiamano questo meccanismo, legale ma al confine con l’elusione fiscale, del “doppio irlandese” e “panino olandese”.

“Un meccanismo –  spiegato molto bene da Valentina Furlanetto in un servizio per Radio24 (Il Sole 24 Ore) – che permette a Google, nata in California, di concedere in licenza la proprietà intellettuale a Google Irlanda, che però ha sede alle Bermuda, questa possiede un’altra Google in Irlanda, unico Paese in Europa ad avere una tassazione per le aziende al 12,5%. Ma non basta, le royalty passano per l’Olanda e alla fine Google paga di tasse il 2% alle Bermuda”.

Un’indagine simile è stata condotta anche in Italia, partita dalla Guardia di Finanza di Milano, che nel 2008 è stata chiusa da Carlo Nocerino che ne ha chiesto l’archiviazione. Secondo il magistrato non si può individuare in modo certo e univoco quali sono i ricavi di Google originati in Italia. Di sicuro Google Italia ha un centinaio di dipendenti a Milano, chiude molti contratti pubblicitari nel nostro Paese, ma fattura pochissimo e non paga le tasse.

 

Intanto Google si trova nel mirino anche dei Garanti Privacy della Ue. Il Gruppo Articolo 29 ha affidato alla Cnil (il garante francese) il dossier sulle nuove norme in materia di data protection dell’azienda, entrate in vigore lo scorso 1° marzo.

Come aveva già annunciato lo scorso 28 febbraio, la Cnil ha inviato alla compagnia un questionario dettagliato (69 domande) al quale dovrà rispondere entro il prossimo 5 aprile.

Le risposte consentiranno di verificare se le nuove norme sono in linea con le disposizioni Ue in materia di privacy.

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